CAPITOLO 23

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ORE:14:00. POGGIOREALE

I due sicari e il detenuto corrotto si incontrarono in un angolo appartato della prigione. Il detenuto, pieno di curiosità e sospetto, voleva comprendere il motivo dietro l'omicidio -Perché l'avete ucciso? Era una persona importante?- chiese, fissando i due sicari con occhi indagatori.

Il primo sicario rispose in maniera beffarda -Era il nostro legale più prezioso. È stato lui a mandare in galera Aurelio D'Altavila, lo stesso tizio a cui abbiamo ucciso il padre-

Il secondo sicario aggiunse, con un tono di amarezza -E adesso che è libero, ci sta dando la caccia. È stato lui a farci arrestare durante la sparatoria a Bacoli-

Il detenuto corrotto, ancora perplesso, insistette -Ma questo Ernesto Santoro cos'ha fatto di così grave?-

Il primo sicario spiegò, con un tono intriso di disprezzo -Dopo essere stato rapito da Aurelio, Santoro ha barattato i suoi dati compromettenti in cambio della libertà. Aurelio, ovviamente in cambio ha ottenuto informazioni cruciali su dove erano nascosti i soldi del nostro boss-

Il detenuto corrugò la fronte e sorpreso replicò -E quanto si è preso?-

Il secondo sicario -Circa 30 milioni-.

Il detenuto spalancò gli occhi, incredulo -30 milioni? È una cifra enorme!-

-Sì- confermò il primo sicario -Ma adesso, quando lo prenderanno, dovrà restituire tutto-

La conversazione tra i due sicari inconsapevoli di ciò che avevano appena fatto e il detenuto corrotto che ora aveva una informazione importante terminò, ma l'impatto delle loro parole era appena cominciato. La notizia del furto non rimase confinata alla cella. Il detenuto corrotto, motivato dall'opportunità di guadagnare rispetto e potere, iniziò a diffondere la voce in tutto il carcere.

Come un virus letale, la notizia si propagò rapidamente, infettando ogni angolo dell'ambiente criminale. La voce si insinuava tra le sbarre, passando di bocca in bocca, diffondendosi con la velocità e la forza di un'epidemia inarrestabile. Ogni detenuto ne parlava.

La prigione, un microcosmo di criminalità e disperazione, divenne una polveriera pronta a esplodere. Ogni nuovo frammento di informazione si trasformava in una scintilla, accendendo la tensione tra le mura del carcere. I detenuti, già in fermento, si agitavano ancora di più, alimentati dalla brama di sapere di più e dalla paura delle possibili conseguenze.

La notizia si diffondeva come una bolla pericolosa, pronta a scoppiare e a riversarsi nel mondo esterno. Ogni angolo buio del carcere ne era infettato, ogni sussurro portava con sé il peso della verità letale.

La morte di Ernesto Santoro non era solo un evento isolato, ma il catalizzatore di una serie di eventi che avrebbero sconvolto l'intero sottobosco criminale. La tensione aumentava, il carcere divenne un campo di battaglia, una metafora perfetta di una società corrotta, pronta a implodere sotto il peso delle sue stesse colpe.

E così, come un virus che infetta ogni cellula del corpo, la notizia si preparava a uscire dalle mura della prigione, pronta a scatenare il caos e a riscrivere le regole del gioco.

ORE:23:00. PALAZZO D'ALTAVILA

Ignari il di tutto questo trambusto che si era formato. La sera avvolgeva i D'Altavila riposati nel loro palazzo come un manto di tranquillità. Le luci della città brillavano sotto di loro, e la luna illuminava il cielo con un bagliore argentato. Elena e Augusto si trovavano sulla terrazza del palazzo, un luogo di ritrovo abituale dove spesso si incontravano per fumare e parlare.

Durante la conversazione, Augusto bevendo dal suo bicchiere di vino disse -È un ottimo posto per riflettere. Comunque, so che è andato tutto bene per quel incontro con quel politico?-

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