IV-Pieces on the Chessboard

1 0 0
                                    

♟️

Ogni pezzo sulla scacchiera ha un destino, ma solo chi osa rischiare può cambiare il proprio. -Riddle Clayton Rosehearts

La prima volta che la vidi fu di mattina. L'aria frizzante sembrava promettere infinite possibilità, ma io sapevo già che nulla sarebbe stato come appariva. Mi trovavo nel corridoio, pronto a fare il mio ingresso, e l'idea di accogliere una nuova coinquilina mi suscitava un misto di curiosità e cautela. Quando aprii la porta, la vidi mentre sistemava i suoi pochi effetti personali in una stanza che puzzava di vernice fresca. Le pareti bianche e spoglie sembravano riflettere il caos che le si agitava dentro, e in quel momento mi resi conto che l'aria di ansia che la circondava era palpabile.La osservai mentre cercava di organizzare i suoi libri, un'espressione di dubbio scritta sul volto. Era chiaro che si sentiva fuori posto, e mi chiesi se fosse consapevole di quanto fosse già intrigante. Aveva un modo di muoversi, quasi timido, che catturava la mia attenzione. Sapevo che non avrei potuto ignorarla. Quando la porta si chiuse alle mie spalle, il suono secco sembrò accentuare il silenzio tra di noi.
«Benvenuta, Enora,» dissi, cercando di mantenere un tono che fosse sia amichevole che autoritario. La mia voce profonda risuonò nel silenzio della stanza, e osservai attentamente la sua reazione. Il suo viso si illuminò, ma c'era anche un velo di diffidenza nei suoi occhi, come se stesse cercando di capire se fossi amico o nemico. Le sue parole erano cariche di significato, e la sensazione che il mio arrivo fosse stato previsto da un disegno più grande mi fece sorridere interiormente. «Spero ti troverai a tuo agio qui,»continuai, consapevole che il mio compito non sarebbe stato facile. Volevo che capisse che io ero il maestro di questo gioco, il leader nel nostro piccolo universo condiviso. Il suo "grazie" era carico di tensione, e il modo in cui il suo cuore accelerava era evidente anche a distanza. C'era qualcosa di affascinante nel modo in cui cercava di apparire calma, mentre io sapevo che in realtà era in preda all'insicurezza. «Cercherò di sistemarmi al più presto,» disse, ma sapevo che il termine "presto" era solo un modo per rimandare. C'era una fragilità in lei che mi intrigava e mi preoccupava allo stesso tempo. La osservai muoversi nella stanza, con le mani tremanti che tentavano di sistemare i suoi libri e i suoi effetti personali. Era come se volesse mettere ordine nella sua vita, ma non sapevo se avesse davvero compreso la complessità di ciò che l'aspettava. Quando mi avvicinai, notai come il suo sguardo mi seguiva, come se cercasse di decifrare il mistero che rappresentavo. C'era un'aria di controllo in me, un'affermazione di autorità che si rifletteva nel mio modo di camminare e di parlare. «Non preoccuparti,» dissi con un sorriso sicuro. «La vita qui non è così complicata. Basta seguire le regole.» La parola "regole" uscì dalla mia bocca con un peso particolare, come se avessi appena lanciato una sfida. La sua espressione cambiò, e un velo di inquietudine si posò sul suo volto. Sapevo che quel termine evocava immagini di una scacchiera, di strategie e di mosse, e non mi dispiaceva affatto. Osservai i suoi gesti, notando come le sue mani tremavano leggermente. Non sapevo se fosse nervosismo o qualcosa di più profondo, ma era chiaro che sentiva la mia presenza. C'era una sfida nei miei occhi, un invito a esplorare i limiti del suo coraggio e della sua curiosità. Ero consapevole che non era facile per lei trovarsi in una situazione del genere, eppure il suo spirito di determinazione mi colpì.«Ehi,» dissi, cercando di alleggerire l'atmosfera. «Non preoccuparti, non morderò. A meno che tu non faccia qualcosa di veramente stupido.» La battuta fu un tentativo di ridurre la tensione, ma c'era una verità sottesa alle mie parole che non potevo ignorare. Siamo solo coinquilini, giusto? Il concetto di una semplice coabitazione nascondeva un significato più profondo, e mentre la guardavo, capii che la mia vita, e quella di Enora, erano destinate a incrociarsi in modi che non avrei potuto prevedere.Ogni movimento che faceva, ogni esitazione, era un pezzo del puzzle che avrei dovuto assemblare. Mi chiesi quanto tempo ci sarebbe voluto per farle capire che, in questo gioco, non ero solo un semplice avversario. Ero il giocatore che tirava le fila, il re che muoveva i suoi pezzi sulla scacchiera. E sebbene fosse solo una nuova coinquilina, sapevo che il suo ruolo era molto più significativo di quanto lei potesse immaginare.C'era un accordo non scritto tra di noi, eppure entrambi sapevamo che non sarebbe stato così semplice. Enora si muoveva nella stanza, i suoi gesti affrettati e nervosi tradivano la sua incertezza. I confini tra amicizia e attrazione, tra controllo e libertà, avrebbero sicuramente iniziato a confondersi. Era evidente che la sua presenza era carica di potenzialità, ma c'era anche un'ombra di vulnerabilità che non potevo ignorare. Osservavo come l'ansia si leggeva sul suo viso mentre cercava di sistemare i suoi effetti personali. Era come se avessi aperto una porta verso un territorio inesplorato, e ogni oggetto che sistemava era un tentativo di riprendere il controllo su una situazione che, in realtà, stava rapidamente sfuggendo dalle sue mani. La stanza, che fino a poco prima era solo un luogo neutro per me, si era trasformata in un campo di battaglia invisibile, con Enora al centro.Il suo sguardo, incerto ma determinato, si incrociò con il mio, e in quel momento mi resi conto di quanto fossi a mio agio. La mia presenza riempiva la stanza in modo opprimente; mi sentivo come se fossi colui che dettava le regole di quel piccolo mondo che considerava il suo. «Siamo solo coinquilini,» avevo detto, ma il tono della mia voce tradiva un'altra verità, una verità che entrambi conoscevamo ma che nessuno di noi voleva affrontare. Era incredibile come una semplice frase potesse contenere così tanto. Il modo in cui la guardavo, come se fossi già in grado di prevedere ogni sua mossa, mi dava un senso di dominio che era quasi elettrizzante. Ogni suo gesto, ogni esitazione, era un segnale che traducevo in strategia. Volevo che comprendesse che la sua vita qui non era un semplice caso di coabitazione; era una danza in cui avrei preso il comando.Le strade luminose e ordinate di Rosecliff contrastavano con l'oscurità silenziosa che sembrava circondarmi. Mentre Enora cercava di calmarsi, mi tornò in mente il suo sorriso nervoso. C'era una bellezza nella sua vulnerabilità, ma non potevo permetterle di illudersi. «Non devi sentirti a disagio,» dissi, incrociando le braccia con disinvoltura. La mia voce era calda, rassicurante, ma c'era un filo di serietà nel tono. «Siamo adulti, e le cose andranno bene finché... seguiamo le regole.»Sapevo che le mie parole avevano un peso, che avrebbero piantato semi di dubbio e di curiosità nella sua mente. Non era solo una questione di convivere; era un gioco di potere, un gioco di scelte. Le regole che avremmo stabilito insieme avrebbero determinato il corso della nostra relazione, e in quel momento, ero io a tenere le redini. Il suo sguardo rivelava che, nonostante la sua paura, c'era anche una scintilla di curiosità. La desideravo, la volevo nel mio mondo, ma non avrei mai permesso che si sentisse veramente al sicuro. Perché in questo gioco, la sicurezza era un'illusione, e io ero il giocatore che avrebbe definito le regole.Le regole. Di nuovo quella parola. Ero consapevole del potere che essa deteneva, sia per me che per lei. Non sapevo se stavo parlando di regole non dette della convivenza, o se c'era qualcosa di più oscuro nascosto sotto la superficie. Sentivo che, in qualche modo, stavo cercando di tirare le fila di un gioco più grande, un gioco che avrebbe messo alla prova la sua capacità di resistere e la mia di controllare.Mentre la osservavo sistemare i suoi effetti personali, notai come la sua ansia si tramutasse in un certo magnetismo. Non riuscivo a negare che c'era qualcosa di affascinante nel modo in cui tentava di mantenere il controllo, nonostante fosse chiaramente sopraffatta. Ma l'abbisso dietro i miei occhi non poteva essere ignorato. La mia presenza era una calamita e, mentre si sentiva attratta, un'altra parte di lei sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi. Era un bel contrasto.Mentre il sole mattutino si alzava, illuminando l'appartamento con una luce che sembrava calda e accogliente, capii che la mia vita, e la sua, erano appena cambiate. La sua reazione alle mie parole era esattamente quella che avevo previsto: un mix di curiosità e apprensione. Ma a me interessava di più. Ogni movimento che facevo, ogni sguardo che lanciavo, era una parte di una coreografia ben studiata, e lei non era altro che una nuova pedina sulla mia scacchiera.
Il resto della mattinata passò lentamente, un silenzio denso e carico di tensione circondava la stanza. Mi muovevo nell'appartamento con una disinvoltura perfetta, come se fossi abituato a dirigere ogni spazio in cui entravo. Ogni passo che compivo era un'affermazione della mia presenza e della mia padronanza. La guardai mentre si affannava a sistemare, e una parte di me si divertiva nel vedere come la sua tranquillità fosse così fragilmente costruita. Era come se avesse bisogno di quella struttura per sentirsi al sicuro, ma io ero lì per sfidare ogni sua certezza.Quando le dissi che avevo una riunione con i professori, notai il rapido cambiamento nel suo sguardo. C'era una scintilla di sorpresa, seguita da una piccola ombra di delusione. La curiosità nei suoi occhi era palpabile. «Cosa farai oggi?» le chiesi, soppesando le parole, desideroso di sondare i suoi pensieri. Sapevo che non era genuina, ma non me ne importava. Stavo solo tracciando il confine tra noi, un test di quanto fosse pronta ad aprirsi.
Quando parlò della lezione di psicologia, notai come il suo tono cambiasse. C'era una sfumatura di ansia nelle sue parole, un piccolo segnale che rivelava la sua vulnerabilità. «È una materia interessante,» dissi, sorseggiando il suo nervosismo come se fosse un buon vino. «Studiare la mente umana, capire come funziona... o come si spezza.»La scelta delle mie parole non era casuale. Volevo colpirla, volevo che sapesse che stavo guardando nel profondo della sua anima, cercando di scoprire le crepe.Il suo sorriso forzato mi fece capire che avevo toccato un nervo scoperto. Era divertente quanto fosse facile provocarla. Eppure, dentro di me, un piccolo avvertimento si attivò: non spingerla troppo, non ora. Dovevo costruire lentamente la mia narrativa, svelare il mistero del nostro legame passo dopo passo. Quando lasciai l'appartamento, un sospiro di sollievo sembrò riempire lo spazio. Non mi importava di come si sentisse in quel momento. Sapevo che l'aria avrebbe continuato a pesare su di lei, a meno che non avesse imparato a convivere con il mio peso. La mia ombra sarebbe rimasta con lei, un monito e un promemoria della mia presenza. Mi allontanai, il suono della porta che si chiudeva dietro di me era solo l'inizio.L'appartamento era suo quanto era mio, ma io avevo le carte migliori. E mentre mi allontanavo, un sorriso sottile si dipinse sul mio volto. La partita era cominciata, e io non avevo intenzione di perdere.La riunione si svolse in una delle aule più grandi del dipartimento, con finestre alte che lasciavano entrare una luce calda e dorata. Il tavolo ovale era circondato da professori e assistenti, ognuno intento a discutere progetti e programmi. Ma mentre le voci si sovrapponevano, la mia mente vagava altrove, ancorata a pensieri ben più affascinanti. Enora. Il suo nome rimbombava nella mia testa come un eco. La sua vulnerabilità, la sua ansia, la frustrazione che traspariva dai suoi occhi quando avevo parlato di regole. Volevo sapere di più su di lei, su come il suo cuore e la sua mente funzionassero. Era una nuova pedina nel mio gioco, e non avevo intenzione di perderla. La mia attenzione si distaccò lentamente dalla discussione in corso, mentre immaginavo come sarebbe stato il nostro prossimo incontro.Le parole dei professori mi giunsero come un brusio lontano, l'argomento si era spostato sulla prossima conferenza e su chi avrebbe dovuto tenere le presentazioni. «Riddle, hai qualche idea?»chiese uno dei professori, riportandomi bruscamente alla realtà. Mi ricompusi, schiarendomi la voce. «Sì, sto lavorando a un progetto che esplora la narrativa e il subconscio umano,» risposi, scegliendo le parole con cura. «Penso che potrebbe essere interessante collegare alcuni degli studi recenti alla psicologia creativa.» Le teste si voltarono verso di me, e io sapevo di aver colpito un tasto dolente. La psicologia creativa, un argomento che sapevo sarebbe piaciuto a molti, specialmente considerando il mio background e la mia reputazione. «Molto bene, Riddle,» commentò un professore con un cenno approvante. «Assicurati di inviarci un'idea più dettagliata. Potrebbe essere un ottimo spunto per il nostro programma.»Mentre i discorsi continuavano, mi sentii sempre più distante. La mia mente tornava a Enora e alla sua determinazione di seguire le lezioni di psicologia. La sua curiosità, la sua passione per la conoscenza, erano tratti che mi intrigavano. Era come se ci fosse un legame invisibile tra noi, qualcosa che andava al di là delle parole e delle interazioni superficiali. Mi chiesi se avrebbe mai compreso la vera natura del gioco in cui era entrata.La riunione si trascinò, dilatando il tempo in un modo che sembrava quasi surreale. Le discussioni si intensificarono, e l'atmosfera si fece via via più seria. I professori si scambiavano opinioni e critiche, e io dovevo mantenere la mia maschera di interesse mentre la mia mente continuava a tornare a Enora e a quell'appartamento che ora condividevamo. Ogni tanto, mi trovavo a osservare le espressioni dei miei colleghi, cercando di carpire indizi sulla loro prossima mossa. Ma l'unico pensiero che davvero mi preoccupava era come Enora stesse trascorrendo il suo tempo mentre io ero bloccato lì. La sua immagine riempiva la mia mente come una fissazione, e non potevo fare a meno di chiedermi se stesse già mettendo in dubbio la sua decisione di venire a Rosecliff.Mentre il tempo passava e le luci della sala si affievolivano, percepivo la stanchezza nei miei compagni. La riunione stava diventando un susseguirsi di frasi ripetitive e dibattiti che si perdevano in un mare di dettagli tecnici. Decisi di approfittarne: dovevo lasciare che il mio nome continuasse a risuonare nelle menti degli altri, perciò intervenni strategicamente in ogni discussione, portando avanti le mie idee con una sicurezza che sapevo avrebbero consolidato la mia posizione.Dopo ore interminabili, finalmente la riunione giunse al termine. I professori si alzarono, visibilmente sollevati di poter finalmente lasciare quella sala che sembrava rimpicciolire il loro entusiasmo. «Riddle, ottimo lavoro come sempre,» disse uno di loro, mentre io mi alzavo, pronto a tornare a casa. Un leggero sorriso si fece strada sulle mie labbra; sapevo di avere il controllo su questa situazione.Quando finalmente liberai la stanza e feci un respiro profondo, decisi di andare in biblioteca. Era un posto dove sapevo che lei si rifugiava, un angolo protetto dove si sentiva al sicuro. Entrai, e subito fui accolto da quell'odore familiare di libri e carta ingiallita. La luce calda delle lampade da lettura illuminava il silenzio assordante, e tra gli scaffali trovai la sua figura.Era lì, immersa nei suoi appunti, con i capelli sciolti che le cadevano sulle spalle, e il suo sguardo concentrato su un libro. Il tempo sembrava fermarsi mentre la osservavo. La sua bellezza era avvolta in un'aura di vulnerabilità che mi affascinava. Mi avvicinai lentamente, attento a non disturbare il suo momento di studio.

Twisted Hearts ||Enora Emerald Vanrouge & Riddle Clayton Rosehearts Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora