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Nel silenzio, spesso scopriamo le verità che non osiamo pronunciare ad alta voce-Enora Emerald VanRouge
Il giorno seguente mi svegliai con una sensazione di quiete inaspettata, quasi irreale. La casa sembrava immersa in un silenzio denso, in cui ogni rumore, ogni più piccolo movimento, assumeva un peso nuovo, amplificato. Mi alzai lentamente, cercando di orientarmi in quella strana calma che sentivo quasi opprimente. Nonostante non fossi mai stata a mio agio nei silenzi, quella mattina ne percepivo uno spessore diverso, una sorta di presenza che non potevo ignorare.
Con passi leggeri, mi avviai verso la cucina. Non sapevo bene cosa stessi cercando, ma la verità era che, senza accorgermene, speravo di trovare Riddle, di coglierlo forse in uno dei suoi rari momenti di vulnerabilità. E, in effetti, lui era lì, seduto al tavolo, con lo sguardo perso fuori dalla finestra e una tazza di caffè tra le mani. Sembrava immerso nei suoi pensieri, con un’espressione che non gli avevo mai visto prima: un misto di inquietudine e serenità che mi colpì profondamente. Rimasi sulla soglia, osservandolo per qualche istante. Non volevo interrompere quel momento, ma allo stesso tempo desideravo con tutta me stessa avvicinarmi, rompere il silenzio che sembrava avvolgerci. Alla fine, un leggero rumore tradì la mia presenza, e lui si voltò, irrigidendosi appena. Per un istante, mi sembrò di scorgere un velo di fragilità nel suo sguardo, ma fu questione di un attimo; subito dopo, era di nuovo lui, impenetrabile e misterioso.
«Vuoi del caffè?» mi chiese, accennando alla caffettiera con un tono che tentava di essere casuale, anche se avvertivo la tensione nella sua voce.Accettai con un leggero sorriso e mi sedetti di fronte a lui, prendendo la tazza che mi porse in silenzio. Non sapevo cosa dire, né volevo forzare una conversazione, quindi rimasi lì, a sorseggiare il mio caffè, lasciando che fosse la quiete a parlare per noi. La stanza sembrava avvolta da una strana intimità, un’atmosfera sospesa in cui tutto era al tempo stesso pesante e leggero, carico di significati nascosti.Dopo qualche minuto, senza nemmeno rendermene conto, iniziai a parlare. «Sai, Riddle,» dissi con un filo di voce, «a volte penso che ci si perda non solo per paura, ma anche perché si ha troppa paura di essere trovati.» Avevo detto quelle parole quasi senza pensarci, ma appena le ebbi pronunciate, mi resi conto che riflettevano esattamente ciò che provavo in quel momento. Lui abbassò lo sguardo verso la sua tazza, come se quelle parole avessero colpito un punto delicato. Lo osservai mentre cercava di evitare il mio sguardo, e in quel momento sentii una strana connessione tra di noi, come se avessimo toccato un punto comune, una ferita condivisa. Non avevo bisogno che mi rispondesse, non cercavo una conferma. Mi bastava sapere che aveva ascoltato.
Dopo qualche secondo, alzò di nuovo lo sguardo, ma questa volta nei suoi occhi c’era qualcosa di diverso. Non saprei dire se fosse determinazione o vulnerabilità, ma sentii che, forse, per la prima volta, stava lasciando cadere una piccola parte della sua maschera. Restammo lì, in silenzio, ma quel silenzio non era più pesante come prima. Era diventato un momento sospeso, un attimo di autentica condivisione. In quell’istante, mi resi conto che forse, senza volerlo, avevamo fatto un passo oltre, dentro quel labirinto che entrambi temevamo, ma che sembrava inevitabilmente unirci.
«Forse… forse è così,» mormorò Riddle, e la sincerità nella sua voce mi colse di sorpresa, facendomi sentire come se fossimo entrambi sul ciglio di qualcosa di profondo e fragile. Rimasi in silenzio, limitandomi a sorseggiare il mio caffè. Non volevo affrettarlo né spingerlo oltre ciò che era disposto a rivelare. La luce del mattino gli illuminava il volto, rivelando un’inquietudine che percepivo da sempre, e in quell’istante mi sembrò quasi di sfiorarla, di toccare quel nodo di paure e dubbi che lo portava a ritrarsi. Qualunque cosa stesse affrontando, avevo deciso di esserci. Non per cambiarlo, ma per esserci semplicemente, lasciando che il mio silenzio fosse un invito aperto.
«Non è facile abbassare la guardia,» disse infine, con un tono che trasudava stanchezza. «Non lo è mai stato, e… non sono sicuro che cambierà.» Lo guardai, lasciando che capisse che non avevo fretta, e che il peso di quelle parole, così come il loro significato, li avrei accolti entrambi senza giudizio. Annuii, ma non perché avessi una risposta per lui. Era piuttosto un segno di ascolto, di comprensione. Avevo già intuito che nei suoi silenzi c’erano domande mai poste, paure che lo tenevano bloccato, e che forse avrebbe voluto scappare anche ora. Eppure, a dispetto di tutto, era lì.
«Non mi aspetto che tu cambi,» risposi, consapevole che ciò che provavo era una verità inattesa anche per me. La mia voce, calma e calda, riempì lo spazio tra noi. «Non è per quello che sono qui. È solo che… a volte sento che nei tuoi silenzi c'è qualcosa che non riesci a dire, e vorrei solo… capire.»
Riddle sembrò colpito, come se quelle parole fossero state inaspettate. Il suo sguardo sfiorò il mio, e in quell’istante, percepii un’incrinatura, una lieve crepa in quel guscio che si era costruito. Capii che forse era proprio questo, il punto. L’impenetrabilità di quei muri sarebbe stata assoluta, indistruttibile se avessi tentato di oltrepassarli con la forza. Ma restare, rispettare il suo bisogno di spazio, era l’unico modo per fargli capire che non gli avrei chiesto più di quanto fosse disposto a dare.
«A volte nemmeno io capisco tutto quello che sento,»ammise, ed era un’ammissione che mi colpì per la sua vulnerabilità. «È come se ci fosse… un confine invisibile tra ciò che sono disposto a mostrare e tutto ciò che, invece, resta nascosto. E oltre quel confine… non so nemmeno se ci sia qualcosa che valga la pena vedere.»Sorrisi, ma non per fargli sentire compassione. Al contrario, volevo che sentisse quel sorriso come un segno di fiducia, di rispetto per ciò che era, per ciò che sentiva. Il valore di ciò che aveva da offrire non era qualcosa che spettava a lui giudicare, ma qualcosa che, in qualche modo, scoprivamo insieme. «Forse non sta a te decidere cosa vale la pena,» risposi dolcemente, sentendo il significato delle mie stesse parole illuminarmi dentro. «Forse vale la pena di esserci e basta. Di esserci… insieme.» Le mie parole rimasero sospese tra di noi, un piccolo ponte che, sebbene incerto, cominciava a prendere forma. Riddle mi guardò, e per un istante credetti di vedere in lui un’ombra di speranza, o almeno una tregua nel conflitto che portava dentro.La sua voce fredda mi sorprese, come se il gelo nelle sue parole avesse improvvisamente offuscato il calore del momento appena condiviso. Rimasi per un istante ferma, immobile, cercando di capire cosa avesse scatenato quel cambiamento. Quel confine tra noi, che avevo quasi creduto di superare, era ora di nuovo evidente, ben delineato. Non avevo bisogno di chiedergli spiegazioni; nei suoi occhi, nel modo in cui evitava il mio sguardo, c'era già tutto quello che mi serviva sapere. Stava cercando di prendere le distanze, di ricordarmi che c'erano ancora delle barriere, e forse, lo stava facendo più per sé stesso che per me.Abbassai lo sguardo, mascherando il piccolo disappunto che sentivo crescere dentro di me. Era un’incomprensione familiare, e sapevo che pressarlo non avrebbe fatto altro che farlo chiudere ancora di più. Con calma, posai la tazza sul tavolo, prendendomi un istante per rimettere a posto le mie difese, per ricordarmi che era un percorso difficile, e che qualunque piccola apertura richiedeva pazienza.
«Devo andare,» dissi, mantenendo la voce ferma, senza lasciar trapelare nulla.Riddle non replicò, limitandosi a un cenno. Mi lanciò uno sguardo rapido, come se cercasse di capire fino a che punto le sue parole mi avessero ferito, ma rimase impassibile. Era come se quel momento di fragilità condivisa non fosse mai esistito. E forse era proprio questo a fare più male: vedere che preferiva tornare a rifugiarsi dietro la sua maschera di distacco piuttosto che lasciare che io vedessi la sua vulnerabilità ancora per un po’.
Sorrisi appena, un sorriso lieve, quasi impercettibile. Non era una resa, ma piuttosto una promessa silenziosa, a me stessa e a lui, che sarei rimasta. Avevo accettato che ci sarebbero stati momenti in cui avrebbe eretto quei muri, in cui sarebbe stato difficile superare le sue difese. Ma sapevo anche che quei brevi momenti di apertura avevano un valore inestimabile. Forse ci sarebbero voluti altri silenzi, altre incomprensioni, ma ero pronta ad affrontarle, perché sapevo che dentro quei muri c'era qualcosa di autentico. Mi girai e uscii dalla cucina, lasciandolo solo, senza voltarmi indietro.La porta si chiuse dietro di me, e una lieve corrente d’aria mi fece rabbrividire, ma non era il freddo a causare quella sensazione. Avvertivo un peso, un’ombra indefinibile che si era insinuata nei miei pensieri. Non mi aspettavo che aprisse i suoi sentimenti come un libro aperto, sapevo che non sarebbe stato semplice. Eppure, nel momento in cui mi ero voltata per lasciarlo alla sua solitudine, avevo sentito il gelo delle sue parole insinuarsi dentro di me, creando una distanza che mi colpiva più di quanto volessi ammettere.
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Twisted Hearts ||Enora Emerald Vanrouge & Riddle Clayton Rosehearts
FanfictionALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE AU. "Twisted Hearts" - Due cuori in affitto segue la storia di Enora, una studentessa universitaria che si ritrova a condividere un appartamento con il carismatico e manipolatore Riddle Clayton Rosehearts, figlio del...