capitolo 3

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Arrivai a Pechino nel tardo pomeriggio, stanca e un po' disorientata. La città mi sembrava un'altra dimensione: frenetica, moderna, ma anche pregna di una storia che aleggiava in ogni angolo. La metropolitana era affollata e l'aria, seppur più fredda di quanto mi aspettassi, aveva qualcosa di particolare, quasi carico di energia.

In hotel, fui accolta da un'assistente che mi diede tutte le indicazioni per la conferenza che avrei seguito il giorno dopo. «Jannik Sinner sarà con noi stasera, a cena», mi disse, notando l'espressione sorpresa sul mio volto. «Non preoccuparti, non è come sembra. Ti troverai bene.»

Non ero sicura di cosa volesse dire con "non è come sembra", ma il pensiero di incontrarlo mi agitava. Il mio lavoro mi aveva preparata a interviste difficili, ma nulla mi aveva mai preparato a stare faccia a faccia con qualcuno così famoso, soprattutto qualcuno che avevo già giudicato senza davvero conoscerlo.

La cena si svolgeva in un ristorante elegante, all'interno di un hotel a cinque stelle. La luce soffusa e l'atmosfera raffinata cercavano di creare un'illusione di intimità, ma sapevo bene che eravamo tutti lì per lavoro, non per svago. Jannik arrivò poco dopo, accompagnato dal suo team e da alcuni sponsor. Era più alto di quanto immaginassi, e la sua presenza era silenziosa ma indiscutibile.

Indossava una camicia bianca, ben stirata, e un paio di pantaloni scuri, ma quello che colpiva di più era la sua postura: un po' rigida, come se non sapesse mai bene come adattarsi all'ambiente che lo circondava. Il suo viso, giovane ma segnato dalla fatica, tradiva una vita di sacrifici. Forse avevo sbagliato a giudicarlo così in fretta.

Mi salutò con un sorriso timido, come se avesse esitato un attimo prima di farlo, ma poi fu subito gentile. «Ciao, piacere di conoscerti», disse, con un tono che non riuscivo a interpretare. Era sinceramente interessato o stava solo facendo il suo dovere? Iniziai a sentirmi a disagio.

Durante la cena, il suo comportamento fu impeccabile, ma notai che sembrava sempre un po' distaccato, come se fosse abituato a vivere in una bolla tutta sua. Non parlava molto, ma quando lo faceva, era incisivo. Ascoltava attentamente e, quando esprimeva un'opinione, sembrava che non volesse semplicemente rispondere, ma che fosse davvero coinvolto nella conversazione.

Era evidente che amava il tennis, ma anche che si sentiva un po' alieno da tutto ciò che lo circondava. Mi resi conto che, sotto quella corazza di professionalismo, c'era una persona fragile. Non riusciva a nascondere completamente la sua insicurezza. Non era affatto l' "eroe" che avevo immaginato, ma un ragazzo che cercava ancora di trovare il suo posto nel mondo, tra la fama, la pressione e le aspettative.

Mi resi conto che avevo sbagliato giudizio. Jannik non era il divo snob che avevo immaginato, ma un ragazzo che cercava di restare ancorato a qualcosa di reale, lontano dal clamore che lo circondava. Era umano, vulnerabile. Non ero certa di capire completamente la sua realtà, ma ero felice di aver visto quella faccia nascosta dietro la sua fama.

Realizzai  che forse avevo appena fatto un piccolo passo in più nella mia carriera... e forse anche nella mia comprensione di ciò che significa essere una persona "famosa".

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