XIV • 𝑌𝑜𝑢 𝑐𝑜𝑢𝑙𝑑 𝑏𝑒 𝑚𝑖𝑛𝑒

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Si osserva spesso il ticchettio delle lancette, che vogliose di ricordare quanto tempo è passato e quanto ancora ne deve passare, restano lì, puntigliose nel farti sapere che la pellicola di quel film si deve puntualmente ripetere, in sottoforma di anniversario o ricordo memorale di qualcosa a cui spesso scappi.

Scappiamo spesso da ciò che ci fa male come forma di sopravvivenza, nonostante il nostro volto girato, a osservare comunque quel puntino che, brutto da ammettere, è divenuto il nostro cavallo di battaglia.

Quando ammettiamo di aver perso qualcuno, di averlo tenuto troppo poco tra le braccia e aver sentito l'essenza di quell'essere, lì, percepiamo la totalità dell'aver perso anche noi stessi, un lato che nemmeno si pensava di conoscere o avere.

Chiudi gli occhi e l'unica cosa che ti rimane è il ricordo, sbiadito delle volte, nitido delle altre, impossibile per le notti e pressante durante il giorno.

Un piccolo filo che, nonostante tutto, rimane legato ai nostri pensieri, trovando il proprio luogo chissà dove, pronto quasi a sussurrare un: "non dimenticarti di me, nonostante il tempo" e  dopo aver ignorato parecchie volte quel sussurro, posso dire che nonostante il tempo io non l'ho mai dimenticato.

Il primo anno di morte di qualcuno è sempre brutto da affrontare, soprattutto se si tratta di tua madre e se tu hai trovato il corpo. Ora, dopo 365 giorni dal giorno che ha segnato la tua vita, ti trovi davanti alla sua lapide con in mano l'ultima cosa che ti ha donato, quella chiave che secondo lei apriva le porte del sole.

365 giorni. E ti trovi seduta davanti alla sua lapide mentre ti chiedi se la leggenda della chiave d'oro sia vera, e perché ora si trova in mano a te. 365 giorni di pura apatia, di pura disconnessione, ma solo di una grande curiosità per quella maledetta chiave.

365 giorni, troppi giorni persi per iniziare ora a capire qualcosa dell'oggetto, ora è troppo tardi.

730 giorni. Due anni. Due anni e quella chiave non ha storia, non ha passato e nemmeno futuro. Chiusa in un luogo nascosto.

730 giorni. Due anni. È forse arrivato il momento.
*

Mi alzai di botto spaventata dal sogno che stavo facendo intanto che un dolore improvviso iniziò a farsi spazio sulla mia testa. Mi passai una mano e sentii un rigonfiamento, che al toccarlo aumentò quel dolore lacerante. Tirai un sospiro non dando ancora la giusta importanza a quella ferita, e mi ributtai sul materasso del letto.

Osservai il soffitto come presentava la vernice crepata dal muro, di un colore azzurro chiaro.

Aspetta, ma dove sono?

Esattamente come pochi minuti prima mi rialzai di botto, guardandomi attorno e osservando bene la stanza in cui mi trovavo. Mi alzai dal letto che si presentava nel mezzo, affiancato a due comodini neri che riprendevano lo schienale del letto dove mi ero svegliata.

Davanti al letto un'immenso armadio, mi avvicinai e per pure istinto andai ad aprire le ante. Sorprendente all'interno vi erano dei cambi e delle scarpe, insieme a quella che era la mia borsa. La strattonai tirandola fuori da lì, controllai all'interno e sembrava esserci tutto, tutto tranne il telefono.

Iniziai a respirare a fatica, non riuscivo a connettere la mente alla situazione, tutto sembrava così confusionario e senza senso, fino a quando..

'Tin'

Girai lo sguardo verso uno dei comodini seguendo il rumore che aveva attirato la mia attenzione. Lì, sopra al ripiano in legno nero, si trovava un telefono. Salì sul letto e presi il dispositivo tra le mani, lo osservai attentamente e notai come quello non fosse il mio di telefono.

𝑻𝒉𝒆 𝑩𝒆𝒔𝒕 𝑴𝒊𝒔𝒕𝒂𝒌𝒆 - JJ Maybank, Rafe Cameron & Arabella DallasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora