Capitolo 5

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Helena

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Helena.

Sarah non perdeva occasione: "Dobbiamo comprare scarpe, borse, gioielli... tutto!" Come se avessi bisogno di una scusa per fare shopping. Solo che stavolta non usavo i miei soldi. Ogni negozio sembrava un regno dorato, e io, regina improvvisata, non potevo dire di no.

Certo, non mi dispiaceva. Ma infilare nel carrello una borsa che valeva quanto l'affitto di un anno mi faceva venire una domanda: quando il lusso comincia a dettare le regole, che fine fa la libertà?

E poi c'era Helena. Cameriera perfetta, impeccabile, fredda come il marmo. Entrò senza bussare – ovvio – e mi squadrò come si fa con una macchia sul pavimento. "Patrick la aspetta per la colazione."

Colazione? Più che un pasto, sembrava un interrogatorio con argenteria. "Arrivo subito," mentii, mentre il suo sguardo mi diceva chiaramente: Scendi o ti trascino per i capelli.

Due minuti dopo ero davanti a Patrick. Perfetto come una statua greca, mi accolse con un'occhiata che mescolava rimprovero e noia. "Sei in ritardo."

"Buongiorno anche a te," risposi con un sorriso tagliente.
"Nei prossimi giorni dovremo organizzare sicuramente un'intervista," disse, con la calma di chi ha già deciso tutto in anticipo. "Per chiarire la situazione, sai, la gente è curiosa. Ho già fatto una dichiarazione alla stampa, ma un'ulteriore chiacchierata non fa mai male."

La sua sicurezza era quasi disturbante. A quanto pare, l'unico "problema" che gli interessava era quello che pensava il pubblico, non se io avessi voglia di essere trascinata in questo circo mediatico. Ma non c'era nemmeno il tempo di riflettere, perché intanto i membri della sua campagna politica continuavano a gironzolare per la casa, come animali in cerca di attenzione, con i loro sguardi avidi puntati su di lui.

E poi, come se fosse un'improvvisa epifania, Patrick alzò la voce, cacciandoli via con un tono che sembrava più infastidito che autoritario: "Andatevene, devo parlare con... con mia figlia," disse, ma prima di completare la frase si corresse con una rapida occhiata verso di me, aggiungendo subito, "con Caroline."

Un piccolo momento di imbarazzo, forse? Oppure stava cercando di non sembrare troppo familiare? In ogni caso, il suo tentativo di correggersi mi fece sorridere, ma non ne parlai. Non era certo il momento giusto per aggiungere altro.

Patrick, con un sorriso che cercava di sembrare rassicurante, continuò: "La mia famiglia è davvero entusiasta di conoscerti." C'era un po' di orgoglio nelle sue parole, ma anche una formalità che non potevo ignorare. Non riuscivo a non pensare che, sebbene il suo sorriso fosse amichevole, ci fosse qualcosa di distante nei suoi occhi.

Non riuscendo a trattenermi, feci una domanda che mi bruciava sulla punta della lingua. "Ah, e... ti sei mai sposato?" Lo guardai con un sorriso, ma nel momento stesso in cui le parole uscirono, sentii subito che avevo toccato un tasto dolente. Patrick esitò per un istante, gli occhi scivolarono verso il basso, e un'ombra rapida attraversò il suo volto.

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