Pov Debby
L'aeroporto di Palermo è caotico, un'onda di lingue diverse e trolley trascinati sul pavimento lucido.
L'aria è calda, pesante, anche qui dentro, e sembra appiccicarsi alla pelle come un promemoria costante che è estate.
Siamo sedute su una panchina vicino al gate d'imbarco, io, Callie e Lily, ma il mio sguardo è perso oltre la vetrata, dove la pista si stende verso l'orizzonte polveroso. Non riesco a smettere di ripensare alla telefonata con Zayn di ieri sera. Le sue parole ancora mi rimbombano in testa, dure, come pietre lanciate contro un muro che non cede.
"Non è così semplice, Debby" aveva detto. Sempre quel muro, invalicabile, che si erge tra noi ogni volta che provo a scavare più a fondo. La frustrazione mi brucia ancora, un groviglio di emozioni che non riesco a districare.
Mi sono svegliata questa mattina con la voglia di chiamarlo, di chiedergli scusa, ma poi mi sono fermata. Scusa per cosa, esattamente? Per avere chiesto di essere parte della sua vita, per volere che mi lasci entrare? No, non posso continuare così.
«Debby, sei con noi o ti sei persa nel tuo mondo?» la voce di Callie mi strappa dai pensieri. Lei mi guarda con un sopracciglio alzato, un sorriso divertito che però nasconde una leggera preoccupazione.
«Scusa, stavo pensando...» rispondo, cercando di scuotermi. Lily inclina la testa, i suoi lunghi capelli biondi che le ricadono su una spalla.
«A lui?» mi chiede pur sapendo la risposta. Non riesco a trattenere un sospiro.
«Sì. Abbiamo litigato ieri sera. Di nuovo» come se ormai le incomprensioni fossero diventate all'ordine del giorno.
«Che è successo questa volta?» Callie si sistema meglio sulla panchina, pronta ad ascoltarmi come sempre. Abbasso lo sguardo, giocherellando con il bordo della mia maglietta.
«Non lo so nemmeno più. Ogni volta che provo a parlare di noi, delle cose importanti, lui si chiude. È come se avesse paura di qualcosa, ma non vuole dirmi cosa» mi lascio andare sullo schienale afflitta.
«E pensi che verrà a prenderti oggi?» chiede Lily, la sua voce morbida ma realista. Scrollo le spalle.
«Non credo. Non ha detto nulla dopo la litigata. Nessun messaggio stamattina. Niente» le mie amiche si scambiano uno sguardo che non mi sfugge. È il tipo di sguardo che dice "vorremmo aiutarti, ma non sappiamo come". La delusione si annida nel petto, una compagna ormai familiare.
Durante il volo continuo a controllare il telefono, i messaggi che ci siamo scambiati per capire qualcosa fra le righe. Ma lui è così enigmatico che risulta impossibile comprenderlo.
E ogni minuto che passa, il nodo nella mia gola si stringe sempre di più.Quando atterriamo a Londra, l'aria è completamente diversa: più fresca, umida, quasi pungente dopo il caldo secco della Sicilia. Respiro profondamente, cercando un sollievo che non arriva.
Mentre attraversiamo il terminal, i miei occhi scrutano la folla, cercando una figura familiare, quel viso che conosco così bene. Ma non lo trovo.
Solo Benji è lì, il sorriso caldo di mio fratello che non riesce, però, a scaldare il gelo che sento dentro.
Mi avvicino a lui, abbracciandolo, ma la rabbia e la delusione mi bruciano come una ferita aperta. Non dico nulla, non voglio parlare di Zayn. Non ora. Non con Benji, e soprattutto non di Zayn stesso.
Decido che lo ignorerò finché questa rabbia non si sarà placata.
Ma, mentre ci avviamo verso casa, il pensiero che lui non sia venuto a prendermi continua a tormentarmi.Il mio zaino è ancora a terra, aperto, con i vestiti ammucchiati in disordine come se aspettassero di raccontarmi della vacanza appena finita. Mi inginocchio accanto, afferrando un vestito leggero che odora ancora di mare e di vento caldo. Lo piego lentamente, quasi meccanicamente, cercando di tenere la mente occupata. Ma il pensiero di Zayn si insinua lo stesso, come un'ombra che non riesco a scacciare. La sua voce durante quella maledetta telefonata continua a rimbombarmi in testa. Fredda. Distanziata. Mi sembra di sentire di nuovo quel muro che si alza tra noi ogni volta che provo ad avvicinarmi di più.
Un colpo alla porta interrompe il flusso dei miei pensieri.
«Posso entrare?» è la voce di Benji, calda e familiare, ma intrisa di una sfumatura che non mi piace: preoccupazione.
«Sì, entra pure» mi alzo e mi siedo sul bordo del letto mentre lui fa capolino nella stanza, il suo solito sorriso disinvolto che però non riesce a nascondere del tutto la tensione.
Si avvicina e si siede accanto a me.
«Callie mi ha detto che sei un po' giù - esordisce, senza troppi giri di parole - che succede?» lo sapevo.
Non appena sento il nome di Callie, mi irrigidisco. Non voglio parlare, non con Benji. Lui non ha mai sopportato Zayn. Non voglio dargli la soddisfazione di dire "te l'avevo detto", perché so che lo farebbe. O almeno, così credo.
«Non è niente, sto bene» mento, guardando il pavimento. Lui non mi risponde subito, e sento il suo sguardo fisso su di me.
«Debby, non sono qui per farti una ramanzina» dice infine. La sua voce è sorprendentemente morbida, quasi timida.
«Non voglio giudicarti, te lo giuro. Ma sembri... persa. Vieni fuori con me, facciamo due passi. L'aria fresca potrebbe farti bene» esito. Vorrei mandarlo via, rifugiarmi di nuovo nei miei pensieri e nel mio caos. Ma poi lo guardo e vedo qualcosa nei suoi occhi: genuina preoccupazione, non il fastidio che mi aspettavo. Annuisco lentamente.
«Va bene. Facciamoci una passeggiata» dico accennando un sorriso.
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Fatherhood
FanfictionNon è facile raccontare la storia di un ragazzo padre, non è facile esserlo... Zayn cercherà di conciliare il suo ruolo di padre con il suo essere un giovane ragazzo. Ma chi gli sta intorno saprà vederlo in entrambi i ruoli? Riuscirà a vedere oltre...