Meredith, mi chiamo Meredith

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Era un giorno di inizio primavera, quando Derek Shepherd era stato chiamato a Seattle per la risoluzione di un caso di neurochirurgia davvero molto complicato.
Era uno dei migliori chirurghi d'America, uno dei più preparati e, inoltre, con maggior stima da parte dei colleghi, per questo Richard Webber, il capo di chirurgia del Seattle Grace Hospital, lo aveva voluto nella sua equipe, anche solo per un caso.
«Ehilà Derek» avevano detto alcuni colleghi, «Abbiamo sentito che andrai a Seattle» avevano continuato entusiasti, ma l'uomo non lo era più di tanto.
Cosa ci poteva trovare di entusiasmante nel dover attraversare il paese in aereo per arrivare in un luogo totalmente privo di comfort?
Lui abitava nella Grande Mela, il posto più conosciuto al mondo e non sapeva il motivo di cotanto interesse, da parte dei suoi colleghi, per Seattle.
Però, se il suo mentore lo aveva cercato, era forse perché ricordava ancora le sue doti, ricordava ancora quanto valessero le sue mani, oppure la sua fama di recente acquisizione lo  aveva preceduto ancor prima di atterrare.
«Tornerò presto, vedrete» aveva detto lui con convinzione e molte delle infermiere lo avevano visto partire con le lacrime agli occhi.
Era un trentenne di bell'aspetto, sicuro di se, che avrebbe potuto avere qualsiasi donna volesse, ma non si era messo in situazioni spiacevoli con loro: era sempre stato molto attento a non far succedere nulla con nessuna di loro, preferendo la carriera.
Era una mattina di pioggia, quando era atterrato a Seattle. Già la giornata si preannunciava pessima, lui odiava la pioggia, non poteva far altro che cambiargli l'umore, forse la odiava con tutto se stesso per diversi motivi, forse perché gli ricordava il passato, ma, più probabilmente, perché odiava doversi riparare sotto ad un ombrello.
Un taxi, mandato da Richard in persona, lo stava aspettando fuori dall'aeroporto e, dopo averlo portato in albergo a portare la valigia, lo aveva consegnato nelle abili mani del dottor Webber, direttamente al Seattle Grace.
Era un edificio grigio e molto alto, non sembrava nemmeno un ospedale, visto da fuori, forse poteva sembrare uno studio televisivo, un albergo di lusso, ma tutt'altro che un albergo.
«Dottor Shepherd» aveva esordito Richard stringendogli la mano con veemenza, «È un piacere averla qui tra noi» aveva continuato l'uomo e Derek aveva ricambiato con una stretta di mano.
Aveva la mano salda e ferma, degna di un grande chirurgo e nessuno pagava la gioia di Webber di averlo lì in quel momento.
«Venga, dottore» aveva detto Richard mettendogli una mano intorno alle spalle, «Le presento i giovani specializzandi che si sono preparati all'intervento. Sa, abbiamo giovani promesse nel nostro corpo di specializzandi» aveva annunciato, ma Derek non credeva a nessuna delle sue parole, forse perché conosceva quanto gli insegnanti mentissero riguardo i loro studenti.
«Benissimo» si era limitato a dire l'uomo e Richard aveva sorriso bonariamente.
«Può cambiarsi in quella stanza» aveva detto Richard indicandogli una porta e lui aveva eseguito.
Era la stanza in cui gli strutturati si cambiavano, senza mischiarsi con le matricole, cosa che non aveva proprio intenzione di fare.
Non aveva aspettato ordini alcuni e, chiedendo ad una delle infermiere -o almeno così gli sembrava- si era diretto nella stanza del caso neurochirurgico.
Si trattava di David Bucket, un neonato con un tumore esterno al cervello. Chiunque avrebbe trovato quella piccola e misera figura ripugnante, ma per lui era qualcosa di magico e di totalmente fico.
«Chi espone il caso?» aveva detto lui sentendo i leccapiedi, o meglio, i tirocinanti entrare nella stanza.
«David Bucket, nemmeno un anno. È stato ricoverato qui per quel bozzolo sulla testa, la madre pensava si fosse fatto male cadendo dal letto e fosse solo un bernoccolo, ma dalle analisi è rinvenuto che si tratta di un tumore esterno nel lobo anteriore destro» aveva esposto George O'Malley, uno degli specializzandi.
Derek non si era scomodato a guardarlo nemmeno una volta, fissava la cartella clinica come se fosse un codice criptato di analisi e, soprattutto, risoluzione del caso.
Aveva sentito, in un attimo, il rumore di passi molto veloci, probabilmente una corsa, è una persona era entrata nella stanza.
«Ancora tua madre?» aveva sentito sussurrare da una degli specializzandi, di cui, onestamente, non ricordava nemmeno il nome.
«Si, non so più come...» aveva cercato di rispondere l'altra, ma la sua voce possente le aveva interrotto.
«Benarrivato!» aveva detto lui fissando sempre la cartella clinica del neonato, «Il ritardo non è accettabile per uno specializzando, lo sa?» aveva continuato Derek e, dopo pochi secondi, aveva alzato lo sguardo verso lo specializzando in questione.
Aveva notato davanti ai suoi occhi una ragazza bionda, magra e con due occhi molto profondi, quasi verdi. Non era sicuro che stesse davvero succedendo a lui, non poteva essere così bella una degli specializzandi.
Era rimasto un solo attimo interdetto dalla sua bellezza e dalla sua semplicità e poi aveva ripreso il tono dello strutturato.
«Lei» aveva detto l'uomo con tono duro e autoritario, «Che farebbe al posto mio?» le aveva detto scrutandola.
«Penso che...» aveva iniziato lei con voce piuttosto tremolante, evitando il suo sguardo.
«Lei non pensa, lei fa, altrimenti lui muore» le aveva detto l'uomo in tono brusco, voleva metterla alla prova e vedere fino a che punto sapeva essere un chirurgo.
«Inciderei la testa, cercando di estrarre il corpo estraneo, quanto più possibile, per lo meno» aveva affermato guardandolo fisso negli occhi. Era un modo per sfidarlo e per evitare di lasciarsi intimidire.
Oltre che bella, Meredith Grey, così si chiamava la specializzanda, era anche intelligente ed era una qualità che adorava in una donna.
L'unico pensiero che aveva avuto in quel momento era stato quanto sarebbe stato bello spogliarla, saggiarle i seni morbidi e appena accennati sotto al camice, sentire il suo sedere pieno a contatto con le sue mani e farla sua, magari contro a quella porta e prenderla da dietro, avendo come visuale il suo collo pronto ad essere morso di passione.
Si era perso nei suoi pensieri, fino a che Cristina, la specializzanda che prima stava parlando con l'oggetto del suo desiderio, gli aveva esposto il caso alla perfezione, non dimenticando di dirgli quale misura di bisturi dovesse usare.
Non voleva distrazioni in sala operatoria, non voleva che quel bambino morisse per un suo errore e, così, aveva deciso di scegliere lei, Cristina Yang.
Aveva lavorato con lei per qualche ora e, molto spesso si era ritrovato a chiedere informazioni su Meredith.
«Meredith Grey?» aveva chiesto Cristina leggermente imbarazzata e l'uomo aveva annuito, «A quanto ne so non ha un'ottima situazione familiare, ma non credo che abbia nessuno che la aiuti, non so se capisce» aveva detto la ragazza e lui si era dileguato all'istante dandole appuntamento in sala operatoria.
Erano tutti in fermento per l'intervento del secolo, tutti erano sulla gradinata pronti ad assistere all'evento, da Meredith a Richard.
Erano passate ormai cinque ore e, dopo quel lasso di tempo, Derek aveva dichiarato che l'operazione era andata a buon fine e aveva ordinato all'infermiera di richiudere.
«Derek» aveva detto Richard vedendolo uscire dalla sala operatoria, «Arriverò subito al dunque: verresti a lavorare in chirurgia? Ti offro il reparto di neuro» gli aveva annunciato l'uomo e Derek si era sentito leggermente imbarazzato, ma al contempo felice.
«Come potrei rifiutare? Ho tutto quello che mi serve» gli aveva annunciato lui dandogli una sonora pacca sulla spalla.
A New York era più alto in grado, ma, dopotutto, Seattle era quel porto in cui si aspettava di lavorare da tanto tempo, aveva forse trovato quella serenità che meritava.
Pochi secondi dopo aveva notato Meredith passargli accanto e dirigersi verso l'ascensore.
L'aveva seguita ed era entrata con lei per parlarle, la donna era emozionata di essere a stretto contatto.
«Ho letto il suo ultimo articolo» aveva detto Meredith guadandolo di sottecchi, «Quello sul New York Times riguardo a...» aveva cercato di continuare, ma l'uomo si era girato e l'aveva guardata negli occhi sorridendo appena.
L'aveva baciata a stampo con irruenza e, quando la donna aveva aperto la bocca per respirare, si era inoltrato in lei con la lingua, assaporandola con ardore.
«Meredith, mi chiamo Meredith» aveva sussurrato senza che nemmeno glielo chiedesse, come se i suoi occhi parlassero da soli.
«Vieni a letto con me, Meredith, nessuno lo saprà mai. Domani prenderò il primo volo per New York e sparirò per sempre dalla tua vita» le aveva chiesto come se fosse una supplica, come se fosse davvero disposto a rinunciare a tutto ciò che gli era stato offerto pur di averla per una notte nel suo letto.
Le porte dell'ascensore si erano aperte e l'uomo aveva intrecciato le dita con quelle confuse di lei.
«Non la conosco nemmeno» aveva detto la ragazza entrando nella hall dell'albergo dove lui alloggiava pochi minuti dopo.
«Non serve conoscermi» l'aveva rimproverata aprendo la porta e trascinandola dentro con se.

Fifty Shades Of Seattle Grace HospitalDove le storie prendono vita. Scoprilo ora