Perché avrebbe dovuto fidarsi di lui? In effetti non lo sapeva, glielo aveva chiesto per capire cosa avrebbe avuto da risponderla, ma l'uomo si era limitato a sorridere lievemente.
«Quando abbiamo fatto sesso ti sei fidata» le aveva detto senza un minimo di rimpoverisco nella sua voce, solo con una lieve punta di ironia, «Non vedo perché tu non ti debba fidare di un parere medico» le aveva strizzato l'occhiolino e Meredith si era sentita nettamente più rilassata.
Così si era seduta sul sedile del passeggero e aveva aspettato che lui prendesse posto su quello del guidatore.
Derek aveva ripercorso quelle strade come era accaduto la sera prima, come quando era andato a cercare l'abitazione del suo desiderio più grande: Meredith.
Erano scesi dalla macchina, appena imboccato il viale selciato di casa della ragazza e si erano ricongiunti davanti alla porta di casa.
Lui stava leggermente più indietro rispetto a lei, le soffiava suo collo e a lei, quel semplice contatto faceva venire i brividi, come se fosse stato pronto a saltarle addosso in qualsiasi momento.
In effetti quella situazione ricordava molto la sera in cui loro avevano fatto sesso, quando Meredith guardava attentamente Derek aprire la porta della camera, da dietro le sue spalle.
Una volta entrati in casa, i due avevano sentito un gran silenzio: c'era qualcosa che non tornava, almeno non per Meredith.
Derek, apparentemente tranquillo, si era limitato a sostare nell'ingresso per qualche minuto, fino a che Meredith non si era decisa ad aprire la porta dello studio di sua madre.
Una volta fatta scendere la maniglia della porta, Meredith si era rivolta a Derek, dicendogli di entrare.
L'uomo si era precipitato all'interno della stanza e la ragazza, solo dopo qualche secondo, aveva compreso il motivo.
C'era sangue sparso per terra e sulla sua scrivania, poi lei, sua madre, a terra svenuta con ancora la lametta con cui si era tagliata le vene nella mano destra.
Derek si era tolto la giacca, poco prima di accasciarsi sulla donna, in modo da aiutarla ad alzarsi e aveva sentito la carotide che pulsava debolmente: era ancora viva.
Meredith non aveva più parlato, era sotto shock, non riusciva a dire nemmeno più una parola riguardo a ciò che era successo alla madre, se solo quel giorno non fosse partita, si era rimproverata nella sua mente.
«Meredith, mi senti?» aveva detto Derek con tono autoritario, forse non era nemmeno la prima volta che la chiamava, ma lei non era riuscita a captare le prime, «Dobbiamo portarla in ospedale» aveva detto l'uomo legando con due bende i polsi di Ellis.
«Ti prego» aveva affermato la ragazza con voce flebile, «Non lo fare» aveva affermato lei con il respiro accelerato.
«C'è in gioco la vita di tua madre» aveva asserito l'uomo guardandola fissa negli occhi. Avevano fatto un giuramento prima di entrare in medicina e Derek, ad ogni modo, lo avrebbe rispettato, non poteva lasciare che Ellis morisse, portandosi con sé il vuoto di una persona così importante per Meredith e lasciando il dolore della morte.
«Ti prego» aveva detto lei con voce tremante, «Non portarla in ospedale, prenditene cura tu» era stata quella la sua richiesta e Derek, anche se andava contro la sua etica morale, aveva accettato.
Derek aveva preso un kit per le medicazioni, lì nello studio, e si era apprestato a medicarle i polsi. Le aveva cambiato le bende, in modo che aderissero perfettamente ai polsi, e, sollevandola di peso, l'aveva portata nella sua stanza da letto.
Mentre Meredith era rimasta sempre nella stessa posizione a fissare tutto il sangue che, pian piano, si stava raggrumando e diventava sempre più scuro.
Aveva sentito dei passi sulla scala e, voltandosi, aveva notato Derek scendere le scale. La camicia bianca era leggermente imbrattata di sangue sulla zona delle spalle e dell'addome, cioè dove, rispettivamente, il braccio e busto di Ellis si erano scontrati con Derek.
Meredith lo aveva guardato fisso, non voleva piangere nonostante sapesse che quel sangue fosse quello di sua madre e, ad oggi modo, non voleva assolutamente farsi vedere in lacrime davanti a lui.
Non voleva farsi vedere fragile, perché lei, dopo tutto ciò che le era capitato, non era fragile e nessuno al mondo l'aveva vista piangere.
«Te ne devi andare, Derek» aveva detto dopo che lui si era sentito in dovere di pulire tutto il sangue nello studio.
«È già la seconda volta che me lo dici» aveva affermato lui guardandola negli occhi, «Ma non lo farò, vieni, ti porto a letto» aveva detto lui con convinzione, ma Meredith lo aveva fermato.
«No» aveva affermato lei con convinzione,«Ho bisogno di starmene da sola e di piangere».
«Meredith» l'aveva chiamata lui in un sussurro accarezzandole leggermente il braccio, «Se vuoi piangere fallo davanti a me, non ti nascondere» aveva detto lui prendendole la mano in una presa salda.
L'uomo si era diretto nel salotto e si era seduto sul divano, trascinando Meredith a sedere sulle sue ginocchia.
La ragazza aveva cercato di controllarsi, quantomeno in un momento, e poi si era abbandonata alle lacrime, appoggiando la sua testa sulla spalla di Derek, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
Non ricordava più nemmeno lei per quanto aveva pianto, l'unica cosa che sapeva era che Derek le era stato accanto sempre, accarezzandole dolcemente la schiena e sistemandole i capelli dietro le orecchie.
Si era lasciato imbrattare il colletto della camicia di mascara, senza fare il newyorkese altezzoso che glielo faceva notare.
«Ora devi andare» aveva sussurrato lei alzando la testa dal suo petto permettendogli di asciugare con la punta delle dita le sue lacrime.
«Posso rimanere, se vuoi, Meredith» le aveva detto lui accarezzandole ancora la schiena.
«No» aveva agitato dolcemente la testa in segno di dissenso, «Voglio stare con mia madre e, be', grazie per quello che hai fatto» aveva sussurrato alzandosi dalle sue ginocchia.
Anche Derek si era alzato dal divano e aveva percorso a grandi passi il corridoio per prendere la giacca, che aveva lasciato nello studio di Ellis, e aveva chiuso la porta.
«Questa deve rimanere chiusa» le aveva detto lui infilandosi la giacca e sorridendole lievemente, «Quantomeno per il tuo bene» aveva proseguito lui parandosi di fronte alla ragazza.
Meredith l'aveva guardato per alcuni secondi e poi, in un attimo, si era alzata sulle punte dei piedi, gli aveva messo una mano sul petto e gli aveva lasciato un bacio a stampo.
«Ci vediamo, Derek» aveva sussurrato lei sorridendogli appena e aprendo la porta d'ingresso.
«Ci vediamo, Meredith» aveva asserito lui di rimando uscendo da quella casa.
Quella volta, Derek, salito in macchina, aveva la percezione di conoscere meglio Meredith, si sentiva più sollevato di essere andato a controllare personalmente, non voleva nemmeno pensare a come sarebbe stato se lui non l'avesse accompagnata quella sera.
Nonostante si sentisse meglio, però, non riusciva a togliersi la sensazione di irrequietezza nel sapere com'era la situazione familiare di Meredith.
Sapeva che la ragazza non sarebbe riuscita a reggere a lungo quella situazione e ciò che era successo quella sera stessa ne era solo la conferma.
Stava tornando nella sua stanza d'albergo, quando gli era venuto in mente cosa dovesse fare esattamente.
La mattina seguente, non appena Derek aveva varcato la soglia dell'ospedale, era andato immediatamente nell'ufficio di Richard.
«Derek» aveva esclamato dopo aver permesso alla persona che aveva bussato alla porta di entrare nella sua stanza, «Accomodati, come sono andati questi giorni?» aveva chiesto l'uomo sorridendogli.
«Bene, Richard» aveva esclamato l'ospite sedendosi sulla poltrona, «Avrei un favore da chiederti» aveva detto poco dopo cercando di evitare il suo sguardo accusatorio, «Sto cercando di aiutare una persona».
«Non hai nessun caso importante oggi?» aveva chiesto l'altro perplesso cercando di ignorare la sua richiesta d'aiuto.
«Si tratta di Meredith» aveva detto Derek in fretta per poi correggersi immediatamente, «Della dottoressa Grey».
«Chiami uno specializzando per nome?» aveva chiesto il capo di chirurgia sgomento, «Non ti ho dato il posto per fare conoscenze e per...» stava farfugliando cose senza senso e, in quel momento, non era nelle priorità di Derek spiegargli il motivo per cui chiamasse Meredith per nome.
«Richard!» aveva alzato la voce il neurochirurgo, «Ellis» aveva sospirato dopo averlo riportato all'ordine, «Ellis Grey è malata e ha bisogno di un aiuto, la dottoressa Grey non riesce a gestirla da sola».
Richard era perplesso, non sapeva a cosa si stesse riferendo il nuovo arrivato, ma aveva deciso che, per una causa come Ellis, gli avrebbe lasciato finire il discorso, evitando di spedirlo da dove era arrivato.
«Alzheimer, stadio avanzato» lo aveva informato Derek, «E a New York avevo iniziato un progetto per la cura di questa malattia con il mio amico Mark» aveva concluso l'uomo.
«Ma che diavolo stai dicendo?» aveva chiesto Richard in preda al panico, «Aspetta un momento: Ellis, Ellis Grey soffre di Alzheimer?» aveva continuato l'uomo guardandolo fisso negli occhi.
«Si» aveva affermato Derek ricambiando lo sguardo, «E non c'è tempo».
«Come fai a sapere questa cose?» aveva che chiesto l'uomo ancora sospettoso che tutto ciò che gli stesse dicendo fosse una bugia.
«Richard!» aveva alzato il tono di voce Derek in modo da farsi ascoltare, ma l'uomo lo aveva guardato torvo.
«Smettila di chiamarmi Richard» aveva sputato l'uomo in tono cattivo, sempre restio al fidarsi delle sue parole.
«Capo Webber» aveva detto l'altro sospirando leggermente in segno di stanchezza, «Sono solo venuto ad informarla che voglio continuare la mia sperimentazione per la cura dell'Alzheimer qui a Seattle, ma ho bisogno di Mark, lui ha la maggior parte della documentazione» aveva affermato Derek con convinzione, «È l'unica possibilità per Ellis e non c'è tempo da perdere» aveva ribadito.
Richard aveva sospirato un solo secondo: gli era crollato il mondo addosso, non sapeva come fare. Ellis.
Avevano studierò insieme alla facoltà di medicina, si erano entrambi specializzati nello stesso istituto, lui la ricordava sempre attiva, piena di forze e determinata.
Era la sua migliore amica, c'era sempre stato in ogni momento importante della sua vita, dal fidanzamento con Tatcher, era al suo matrimonio, aveva visto Meredith ancora in fasce in ospedale, per poi arrivare alla morte di suo marito.
Da quel momento non aveva più saputo nulla di lei, pensava si fosse trasferita in un altro continente, forse l'Europa, aveva pensato.
Poi aveva capito che fosse ancora a Seattle, quando aveva visto Meredith entrare nel programma di specializzazione. Erano stati grandi amici per anni, eppure Richard si rammaricava di non esserle stato vicino nel momento più importante della sua vita, quando davvero aveva bisogno di un medico che le stesse accanto.
«Richard» l'aveva chiamato Derek, interrompendo il suo flusso di pensiero e l'uomo lo aveva guardato per un attimo.
«Okay, manderò un aereo a prendere Mark Sloan, ma tu prepara tutte le procedure» aveva detto Richard guardandolo un ultima volta per poi congedarlo.
Derek stava per uscire dal suo ufficio, aveva già la mano sulla maniglia, quando poi gli era venuta in mente Meredith e la scena a cui aveva assistito quella sera.
«Dobbiamo avvertire Meredith» aveva affermato l'uomo in un sussurro, «Cioè la dottoressa Grey» aveva detto lui.
«Ci penso io, Derek» aveva affermato Richard e il neurochirurgo se ne era andato, uscendo dal suo ufficio.
Derek sapeva che era la cosa giusta da fare, non sapeva come l'avrebbe presa Meredith, male immaginava, forse l'avrebbe odiato, ma se ci fosse stata anche la minima possibilità di salvare sua madre e, di conseguenza, anche lei, non avrebbe avuto importanza nemmeno il suo odio.
Una volta ripresosi da quei pensieri, era sceso negli uffici dei medici e aveva iniziato a mettersi in contatto con le varie associazioni per avviare le varie pratiche.
Richard, invece, aveva contattato immediatamente il dottor Sloan e lo aveva invitato a prendere il primo aereo.
Subito dopo, il capo aveva chiamato nel suo ufficio Meredith, la quale, spaventata perché credeva che la volessero tagliare fuori per i suoi continui ritardi non giustificati, era corsa subito nel suo ufficio.
«Meredith» aveva esordito lui facendole cenno di accomodarsi e, così, lei aveva fatto, «Abbiamo preso in considerazione il caso di tua madre e stiamo avviando le pratiche per la sua cura» aveva iniziato ad informarla, mentre Meredith lo ascoltava sconvolta, non riuscendo a capire chi si fosse interessato del suo caso.
«Chi l'ha informata?» aveva chiesto in uno scatto d'ira, alzandosi in piedi.
Richard si era alzato dalla sua postazione e le si era parato di fronte, accarezzandole il braccio, come a dire che non era sola a soffrire.
«Non è importante» le aveva detto l'uomo sorridendo leggermente, come se sorridesse a sua figlia, «L'importante è che, se tu accetterai, noi faremo di tutto per salvare la vita a tua madre» aveva detto l'uomo, vedendo l'espressione di Meredith farsi sempre più sconvolta.
La ragazza non era riuscita a reggere a quel colpo, non sapeva come fare e, soprattutto, cosa fare, così si era catapultata fuori dall'ufficio del capo. Era uscita di corsa, non guardava dove stesse andando, fino a che un corpo solido non aveva frenato la sua corsa, aveva alzato gli occhi e aveva incontrato due pupille azzurre e compassionevoli.
«Sei stato tu!» aveva urlato in preda alla rabbia, afferrando l'uomo per il bavero del camice. Tutto il resto dell'ospedale si era fermato ad osservare quella ragazza così frustrata e in preda all'ansia che cercava di spiegare al suo diretto superiore che aveva fatto una cosa sbagliata.
«Meredith» aveva esordito Derek in tono compassionevole, cercando di calmarla, «Calmati!» aveva detto prendendola i polsi tra le mani, senza farle male, le aveva accarezzato il braccio, ma la ragazza si era ritratta come scottata.
«Non avete di meglio da fare?» aveva urlato Cristina alla massa di gente che si era fermata a guardarli e, costoro, si erano dileguarti come topi nelle fogne.
«Vieni» aveva sussurrato all'amica e, lanciando uno sguardo brusco a Derek, l'aveva portata via da lui.
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Fifty Shades Of Seattle Grace Hospital
أدب الهواةStoria ambientata tra Derek e Meredith, si rifà alla prima stagione di Grey's Anatomy. Siamo tutti rimasti al: «Ci vediamo, ehm...» e lui che le dice il suo nome, insomma, un inizio col botto. Ma se non fosse andata proprio così? Se lui non avesse m...