Ventitré

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Era arrivato il giorno della Supercoppa Italiana. La partita si giocava allo stadio Olimpico di Roma. I ragazzi avevano raggiunto la capitale con un breve volo aereo il giorno prima e ora si aggiravano per i corridoi intorno agli spogliatoi dello stadio, nell'attesa di entrare in campo per il riscaldamento prepartita.
Domenico e Daniele erano ancora seduti all'interno dello spogliatoio. Entrambi si stavano allacciando gli scarpini ed erano molto concentrati. Il primo notò un lieve tremito nelle mani dell'altro che, finito con le scarpe, iniziò a passarsele avanti e indietro lungo le cosce per scaricare la tensione.

- Sei nervoso? - gli domandò allora l'altro.

- Sì, ma in maniera normale. Com'è giusto che sia. - rispose Daniele tranquillo cercando di mostrare una certa calma e fermezza.

- Va bene. Andiamo allora? - disse allora alzandosi.

- Vai tu. Io voglio rimanere un attimo da solo. - affermò. Voleva isolarsi dal clima della partita per qualche minuto, per calmare quell'eccessiva agitazione che non riusciva a spiegarsi.

- Afferrato. - ribattè Domenico allora. - Ti mando Giulia. - decise poi.

- Cosa?! No, no, non farlo! - disse allarmato.

- E perchè? - gli chiese sorridendo e appoggiandosi allo stipite della porta.

- Per favore, già sono nervoso di mio... -

- Non dire cazzate. Fatti aiutare una buona volta. - detto ciò si incamminò lungo il corridoio che portava agli spalti dopo essersi richiuso la porta alle spalle, senza dare il tempo al compagno di squadra di ribattere ancora.

Daniele lo maledisse mentalmente.

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Giulia si era appena seduta su un seggiolino in prima fila. Solo la pista di atletica la separava dalle panchine e dal campo. Aveva fatto tutto quello che doveva fare prima di una partita, per quello aveva lasciato la zona occupata dai giocatori. Per quello stesso motivo rimase sorpresa quando Domenico, già in tuta da gioco pronto ad entrare il campo l'aveva raggiunta. Si preoccupò, temendo qualche problema.

- Giulia puoi venire sotto? - le domandò.

- Sì, certo. - acconsentì lei. - Ma perchè? - chiese subito dopo.

- Lo vedrai. - le disse ridacchiando.

Durante il tragitto tra le tribune e la zona degli spogliatoi, Giulia iniziò ad allarmarsi e a chiedersi cosa potesse mai essere successo. - Domenico, mi sto preoccupando. - gli disse seria.

Lui rise. - Stai tranquilla. - la calmò. - Nulla di grave. - continuò. - Ho visto Daniele parecchio nervoso e ho pensato che tu avresti potuto fare qualcosa. - le spiegò.

Giulia tirò un sospiro di sollievo. Aveva pensato a un problema molto più grave, ma subito si rese conto che era anche molto preoccupata per come stesse il suo amico.

- Qualcosa di... beh, hai capito. - riprese il ragazzo malizioso.

- No, veramente non ho capito. - ribattè lei.

Erano quasi di fronte alla porta dello spogliatoio.

Domenico tornò serio. - Ascolta, ora seriamente. - si fermò. - Vedi di aprire gli occhi. - le disse.

Giulia non capiva quello che le stava dicendo. - In che senso? - domandò allora.

- Presta attenzione ai suoi comportamenti. - spiegò ancora. - E anche ai tuoi, se caso. - aggiunse dopo.

In realtà, l'unica cosa a cui stava prestando attenzione in quel momento era l'accertarsi che lui, con le raccomandazioni senza senso che le stava facendo, fosse a posto mentalmente per giocare la partita. - Ma stai delirando? - gli chiese dando sfogo ai suoi pensieri.

Lui pensò che lei in realtà stesse cercando di sdrammatizzare la situazione e rise. - No, non sto delirando. - le rispose poi.

Giulia continuava a non capire i suoi comportamenti. - Ma sei sicuro di essere in grado di poter giocare la partita? - domandò ancora incurante della sua risposta.

- Di questo non ti preoccupare. - la rassicurò. - Piuttosto, se non ti sbrighi quello non sarà in grado di giocare la partita sarà qualcun altro. - le ricordò. - E ricorda che io ti sto aiutando. - aggiunse prima di girarsi e andarsene lungo il corridoio.

Ma a fare cosa? si chiese lei mentalmente. Rinunciò a pronunciare la frase suggerita dalla sua testa: ormai aveva rinunciato a capirlo e, a quanto pare, voleva fare il misterioso. Provò a pensare ancora a cosa alludesse, ma ci rinunciò subito dato che non le veniva in mente niente e mise la testa dentro lo spogliatoio.

- Ciao. - salutò lei.

- Ciao, Giulia. - ricambiò Daniele.

- Posso? - domandò la ragazza.

- Sì, sì. Vieni. - rispose lui.

Lei si sedette nella postazione di fianco a lui, che in alto riportava il nome di Paulo Dybala. C'erano ancora la maglia con il suo nome appesa, per la partita, e la maglia da riscaldamento, segno che sarebbe tornato perchè doveva ancora cambiarsi. Daniele, invece, era già pronto nell'abbigliamento, ma non mentalmente. Infatti, come le aveva detto Domenico, era visibilmente nervoso.

- Sei agitato? - chiese Giulia. Si diede della scema. É ovvio che è agitato, deficiente. Dì qualcosa di intelligente.

- Un po'. - rispose fissando davanti a sè.

A me sembra un po' tanto avrebbe voluto dire. Ma, forse, se voleva ottenere l'effetto contrario, non era la cosa migliore da dire.

- Ma non mi è mai successo... così... tanto. - continuò Daniele contraddicendosi.

- Allora, vedi di stare tranquillo. Concentrati e passerà tutto. - provò a rassicurarlo. Poi, non vedendolo convinto, trascurò i pensieri che le dicevano di non lasciarsi andare per non peggiorare la propria situazione interiore. Lui aveva bisogno di lei e delle sue rassicurazioni, non poteva pensare a sè stessa in quel momento. Allora lo abbracciò forte, e lui ricambiò la stretta.

Daniele, sentendosi rincuorato e con un'improvvisa scarica di fiducia, prese una decisione. - Giulia, io ti devo dire una cosa. - affermò, finalmente convinto.

La ragazza si staccò e si mise dritta. - Dimmi. -

- Io ti... - iniziò il ragazzo.

Non riuscì a finire la frase perchè entrò Paulo nello spogliatoio.

Subito l'attaccante si rivolse alla ragazza. - Giulia, ti cercavo. -

Lei scattò in piedi. - C'è qualche problema? - domandò di nuovo preoccupata. Tutti che le chiedevano qualcosa quel giorno. Era il clima partita che metteva tutti in febbricitazione, lei compresa.

- Ti vuole Stefano. Da quanto ho capito, la sua maglia ha un difetto. - rispose Dybala.

- Capito, vado a prenderne una nuova. - affermò. Poi salutò i due, riservando al suo amico un sorriso incoraggiante per dargli fiducia, e uscì.

Daniele maledisse mentalmente il centrocampista e la sua maglia difettosa. Una volta tanto che si era deciso.

- Ho interrotto qualcosa? - chiese l'argentino.

- No, niente. - rispose, per poi mettersi le mani sul viso, gesto che negli ultimi tempi ripeteva spesso. - Paulo? - lo chiamò, togliendole.

- Sì? - domandò a sua volta l'altro mentre si sedeva di fianco a lui e si infilava la maglia.

- Ehm... - Daniele cercò le parole per dirgli che aveva ragione. - Ti ricordi... in ritiro, quando mi hai detto che... -

Lo interruppe, aveva già capito tutto. - Sì, certo. - lo guardò con aria di superiorità.

- Ecco... - iniziò. - avevi ragione. - affermò.

Ho imparato già ad amarti senza più riserva alcuna - Daniele Rugani [REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora