And then there was white.

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8 YEARS LATER

Non ho mai capito perché gli ospedali siano bianchi.

Ogni volta è come entrare in una sorta di universo ovattato, silenzioso e accecante. Pareti bianche, pavimento bianco, porte bianche, letti e lenzuola bianchi, e persino i camici degli infermieri e dei dottori.

Il bianco mi mette angoscia. Odio vedere tutto bianco, odio la luce, odio tutto ciò che salta all'occhio.

Odio stare seduto qui ad aspettare, mentre lì dentro un branco di medici incapaci diagnostica qualche dannata malattia incurabile a mia madre.

Non dovevamo venire al Pronto Soccorso dei Bassifondi. È stata una cattivissima idea, perchè qui non hanno idea nemmeno di come si metta una flebo.

Un branco di incapaci, ecco cosa sono.

Mia madre sta morendo.

La certezza di ciò mi colpisce con l'impatto di un treno in corsa, e mi manca il respiro.

Annaspo in cerca d'aria, ma a quanto pare l'ossigeno non vuole saperne di entrarmi nei polmoni.

Mia madre sta morendo.

Tormento la cerniera della mia felpa per un po', poi passo alle unghie. Me le mangiucchio fino alla carne, non trovando nient'altro di meglio da fare.

Nel frattempo scruto le infermiere che passano di tanto in tanto lungo il corridoio, con passo svelto e espressione corrucciata. Mi aspetto che da un momento all'altro qualcuna si fermi di fronte a me e mi dica "Mi dispiace, Frank. Tua madre è morta, Frank. Sei solo al mondo ora, Frank."

Scuoto la testa. Non è il momento per questi stupidi filmini mentali.

Mia madre non morirà, perché semplicemente non permetterò che accada.

Un'infermiera esce dalla porta in fondo, quella dove è ricoverata mia madre.

Scatto in piedi.

Si ferma di fronte a me.

È il momento. Ora me lo dirà. Ora dirà proprio ciò che stavo pensando qualche attimo fa.

Faccio un profondo respiro.

Noto che indossa i Guanti, infatti mi tende la mano. –Tu devi essere Frank Iero, vero? Il figlio di Linda.

Annuisco e gliela stringo, ringraziando il cielo di aver ricordato di indossare i miei prima di uscire di casa. –Come sta la mamma?

Lei fa un sorriso piccolo, mesto e dispiaciuto. –Non le resta molto, Frank.

Chiudo gli occhi.

Bianco. Bianco anche dietro le mie palpebre. Dio, lo odio.

Dov'è il nero? Dov'è. Lo voglio. Ora.

-Quanto? – trovo il coraggio di chiedere, riaprendo gli occhi.

Il sorriso scompare. –Mi dispiace, Frank.

-Quanto.

-Non abbiamo abbastanza morfina. Tutte le scorte rimaste sono state mandate al Pronto Soccorso della Città Alta, perciò quella che le abbiamo somministrato dieci minuti fa è l'ultima. Il dolore sarà troppo forte, Frank. Dovremo farle un'iniezione.

Un'iniezione.

La vita di mia madre, che termina con un'iniezione di qualche sostanza mortale.

Annuisco piano, guardando un punto oltre le sue spalle. Lei vorrebbe sporgersi per toccarmi di nuovo la mano, o la spalla, per rassicurarmi. Ma ci ripensa. Non è mai consigliabile toccare troppe volte e troppo a lungo uno sconosciuto, nemmeno con i Guanti.

Catch My BreathDove le storie prendono vita. Scoprilo ora