Turn your back to me.

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Quando ero piccolo, mamma mi raccontava di una certa Casa Bianca, in cui viveva il presidente degli Stati Uniti con la sua famiglia.

Che buffo.

Il presidente era l'uomo più potente dello stato, ma è stato il primo a morire durante l'Incidente. Sono morti lui, sua moglie, e i suoi figli, e la Casa Bianca è crollata su sé stessa. Adesso immagino sia soltanto un cumulo di macerie, come ciò che resta di Washington.

Come ciò che resta di tutta l'America.

L'Incidente ha letteralmente decimato la popolazione americana, e ha contaminato il restante 30%. Nessuno, nessuno davvero si aspettava che per un guasto tecnico, esplodesse la centrale nucleare più gande di tutto il paese, rasando al suolo città, campagne, boschi, e sterminando animali e persone.

Nessuno si aspettava che coloro che avevano resistito abbastanza da non morire, nascondendosi in bunker sottoterra, o trovando rifugio altrove, venissero contaminati dalle scorie radioattive, contraendo malattie e dando alla luce figli già morti o deformati.

Siamo stati isolati dal mondo. Nessun contatto commerciale. Nessun aereo, nessuna nave, nessuna comunicazione oltreoceano. Ci hanno tagliato fuori.

Ci sono voluti cinque anni per rialzarci completamente. Cinque anni per radunarci, realizzare l'accaduto, dire addio ai morti e ai malati e scappare lontano, il più lontano possibile dal disastro.

Cinque anni per costruire questa città, innalzare delle mura che ci proteggessero dalla feccia lì fuori, e rinchiuderci dentro. Cinque anni per darci delle regole, per evitare che l'Incidente si ripetesse, per evitare ancora la diffusione delle scorie.

Eppure, la gente nei Bassifondi continua a morire. Sono passati dieci anni in tutto dall'Incidente, eppure a volte si ripresentano geni contaminati nel DNA, ed ecco che i figli di quella certa coppia nascono tutti morti, ed ecco che quella donna non può concepire, ed ecco la gente che muore di cancro.

Come mia madre.

Noi siamo tutto ciò che è rimasto.

Noi, e questa città.

Non possiamo permetterci di pensare a com'è la vita oltre le mura. Non possiamo permetterci di chiederci se i nostri cari, quelli che abbiamo lasciato indietro, quelli da cui siamo scappati, siano ancora vivi.

Non possiamo e basta. Viviamo le nostre vite, morendo di fame o annegando nella ricchezza, ingoiando il dolore o nascondendolo dietro lusso e denaro, e questo ci basta.

La scalinata termina più velocemente del previsto, e mi ritrovo in cima, stanco e affannato.

La Città Alta è cambiata molto dall'ultima volta che sono stato qui. Di fronte a me si estende la strada principale, costeggiata da negozi di abbigliamento, ipermercati, scuole private e ogni altro genere di attività commerciale che non possiamo permetterci di aprire nei Bassifondi. Quando ero piccolo, tutti questi edifici erano ancora in costruzione, e mentre da noi, lì sotto, si moriva di fame, qui invece la gente che era scappata portando con sé tutti i propri averi, poteva rifarsi una vita, una casa, una famiglia.

Ci sono diversi quartieri, ognuno di essi fatto di vie e viuzze, marciapiedi puliti, aiuole verdeggianti e ville gigantesche, alcune anche con piscine e ampi giardini. L'edificio più grande è però quello dell'Eletto, una colossale villa a tre piani situata sul punto più alto della collina.

È lì che vive la famiglia dell'Eletto, ed è da lì che Donald Way controlla tutta la sua città.

Ed è proprio lì che mi dirigo.

Sulla strada incontro diversi Vigilanti che mi lanciano occhiate strane, probabilmente insospettiti dalla mia aria da poveraccio sfigato, ma io tiro avanti con lo sguardo basso, nascondendo l'anello in tasca.

Catch My BreathDove le storie prendono vita. Scoprilo ora