4° RICORDI

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24 Dicembre

Due fiocchi caddero al suolo, solitari, lontani l'uno dall'altro precursori di quel che sarebbe stato da lì a poco.

La neve, gioia per gli occhi, calma per i cuori più agitati e una nuvola di pensieri.

Walter cercava di godere appieno della misera ora d'aria concessa una volta alla settimana ai detenuti, ma come poteva fare?

Il grande perimetro era circondato da mura di mattoni alte e recintate sulla cima, visi tristi e duri si alternavano come comparse in un film e poi c'erano quelle voci che bisbigliavano parole incomprensibili, quasi imploranti.

Walter le ricordava per quello che erano sempre state fin dall'infanzia...voci, solo proiezioni vocali nell'aria e niente più.

Era autunno quando sentì il primo bisbiglio, aveva cinque anni, nessuna esperienza di vita importante alle spalle e molti progetti futuri.

Era solo nel capanno degli attrezzi e come al solito aspettava il padre lì, su quello sgabello che fra qualche anno sarebbe stato un ingombro e nulla più.

La voce chiamò il suo nome, una prima volta e poi una seconda.

Il fanciullo scrutò l'aria, osservando gli attrezzi ben riposti sugli scaffali, ma nulla si mosse.

<Papà sei tu?>

La porta del capanno si aprì lasciando passare il vento e un cumulo di foglie impazzite.

Due occhi spuntarono dal nulla e la flebile voce tornò.

<Walter.....>

Il fanciullo si ritrasse, urlò contro quella cosa che la sua tenera mente non poteva comprendere.

Poi il vento si placò e gli occhi, la voce, scomparvero.

Quella fu la prima di molte, la voce, due occhi gelidi e una sensazione di vuoto assoluto.

Gli psicologi lo definirono un fanciullo dalla fervida immaginazione e questo bastò ai genitori; dopotutto un figlio fantasioso era sempre meglio di uno pazzo.

E così crebbe lontano da tutto e tutti, diffidente ogni oltre immaginazione, perché il problema non era lui, ma gli altri che non sentivano e quindi non capivano.

Zero amici, zero vita sociale, solo libri e un grande schermo cinematografico nel quale proiettare fantasie e paure più recondite.

Poi arrivò lei, luce in fondo al tunnel, una stella di un cielo grigio.

Lo prese sottobraccio, in silenzio, ascoltando senza mai giudicare.

Infine lo abbracciò teneramente sussurrandogli ti amo e per un po' le voci scomparvero.

La neve iniziò a cadere copiosa mentre una sirena invitava i detenuti a rientrare.

Walter s'incamminò verso il grande portone nero seguendo quel treno immaginario.

Poi una voce lo chiamò.

<Walter>.

Si voltò e la vide mentre i battenti restringevano il campo visivo.

Era una donna di bianco velata, piangeva e intanto chiamava il suo nome.


L'inverno passò, piatto, privo di sussulti.

Danny era tornato dal buco dopo un paio di settimane, smunto, pallido e ancor più silenzioso del solito.

E poi non dormiva, scrutava il buio fissando un punto indefinito, aspettando che qualcuno arrivasse.



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