12° MIRIADE

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Era strano, un banale equivoco della mente ma nonostante tutto continuava a tormentarlo.

Miriade di pensieri.

Miriade di sogni.

O solo miriade.

Una parola il cui significato era semplicemente un numero grandissimo o infinitesimale.

Eppure per i greci antichi era un'unità di misura ben definita, composta da esattamente diecimila granelli di sabbia.

Alan Dix pensò a quell'ultima definizione; l'aveva fatto ancora, aveva preso una parola, cercato il significato in tutte le sue sfaccettature e infine associato a dei ricordi.

Era un bambino quando vide il mare per la prima volta, immenso, maestoso.......e terribilmente oscuro.

Stringeva la mano del padre e osservava tutto con attenzione, assorbendo ogni dettaglio, perché è questo che fanno i bambini.

Era felice e impaurito allo stesso tempo, perché vedeva in quell'immensa distesa d'acqua un incognita indecifrabile, una variabile in quel piccolo mondo fatto di mille certezze.

Poi una luce si accese, un interrogativo che forse il padre avrebbe potuto risolvere.

<Papà, quanto è grande il mare?>

Il padre sorrise, conscio che quella sarebbe stata la prima di molte domande a cui non avrebbe saputo dare risposta.

<Tanto figlio mio, più di quanto possiamo immaginare>.

<Più dello Sniardwy?>

<Certo, infinitamente più grande>.

Non era soddisfatto di quella risposta ma sapeva che con ogni probabilità non ne avrebbe ottenute altre.

Fu in quel momento che li vide, scendevano velocemente dalle mani del padre per poi ricadere al suolo e confondersi con altri loro simili.

L'uomo osservò il volto incuriosito del figlio e prima che potesse proferir parola espresse un pensiero che avrebbe trapassato le pieghe del tempo fino a giungere ad un penitenziario lontano migliaia di chilometri da quel luogo.

<Sono granelli di sabbia, miriade di punti che messi insieme formano questa spiaggia>.

Alan si azzittì; non avrebbe potuto e forse voluto sapere altro.

Bussarono; Dix tornò al presente.

<Avanti>.

Nikolai Ruzhin entrò, accompagnato da capo Smith.

<Signor Dix, le ho portato il detenuto come richiesto>.

<Ottimo lavoro signor Smith, ora può andare>.

Capo uscì visibilmente risentito.

<Si accomodi signor Ruzhin e per favore non faccia caso ai modi un po' bruschi dei miei collaboratori, sa non sono abituati a persone di un certo profilo.

Nikolai si sedette, più attento ad osservare la stanza che ad ascoltare il direttore Dix.

<Le piace il mio ufficio?>

<E' disordinato>.

<In effetti dovrei fare un repulisti>.

<Non penso accadrà mai>.

<Lei dice?>

<Dico che questa stanza rappresenta il suo essere ed è per questo che rimarrà così com'è>.

<Ottimo punto di vista; comincio a capire perché abbiano scelto lei>.

<Mi creda, è meglio che si limiti a sapere lo stretto necessario>.

<Comprendo anche questo, dopotutto le mie priorità sono banali capricci adolescenziali>.

Ruzhin si stiracchiò, quell'uomo lo stava annoiando con tutti quei discorsi inutili, figli di una frustrazione che non avrebbe mai trovato soddisfazione.

<Signor Dix, è  solo ed esclusivamente una questione di soldi, se fosse per me la lascerei fare e mi godrei il compenso pattuito seduto comodamente su un divano mentre sorseggio un bicchiere di ottima vodka; purtroppo per lei sono pagato per agire e che lo voglia o meno è quello che farò>.

Alan si arrese, non poteva fare molto contro il volere di quelle persone, al massimo sperare che fosse tutto terribilmente doloroso.

<Ok, non serve che aggiunga altro, mi dica solamente cosa vuole che faccia>.

Nikolai gignò soddisfatto, prima di aggiungere : <Nulla di che, voglio libertà assoluta e poi.....>

<E poi ?>

< Voglio che tiriate fuori dal buco Danny Losky>.




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