Capitolo 3

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Sentivo la brezza sul mio viso, quel giorno di sole ero distesa sul prato del castello e dietro sentivo le risate di Christine, i mormorii della servitù e i battibecchi tra fratello e sorella, questo mi fece sorridere. Rose e Robert mi ricordavano me e Edward, i nostri battibecchi erano simili ai loro, ma noi discutevamo su chi doveva stare con nostra madre e nostro padre.

- Voglio stare io con nostro padre.- Dicevo arrabbiata

- No io, tu sei una bambina devi stare con nostra madre.-

Alla fine gli schiacciavo sempre un piede e correvo nell'ufficio di nostro padre, chiudevo la porta dietro di me e mi sedevo nella sedia davanti a lui. Appena Arrivavo alzava lo sguardo e mi sorrideva. - Hai di nuovo ostacolato tuo fratello, Emma? Di questo passo sarai tu l'uomo di famiglia.- E ridacchiava, io gli facevo la linguaccia e iniziavo a leggere uno dei tanti libri presenti nella biblioteca. Con il passare degli anni e con la scomparsa di mio fratello, io stessa mi imposi di avere un comportamento più signorile, ma tutti mi all'interno della corte mi vedevano per quella che ero, una ragazzina, una bambina cresciuta in fretta. A dieci anni già si parlava di un imminente matrimonio con il principe, a undici anni tutte le speranze svanirono, lui morì. Non seppi mai con certezza cosa lo aveva portato via, una febbre forse. Non era solo il mio promesso sposo, era il mio unico amico, il mio fratello diciassettenne sparì da Londra e non si fece più vivo e io piansi sulla spalla dell'unica persona che mi stette affianco.

- Lady Emma non trovate anche voi che la vostra postazione non porta onore alla vostra posizione sociale?- Udii la voce acuta e stridula appartenente ad una ragazzina. Quella ragazzina.

- No, per niente. A Londra i conti e le contesse sono abbastanza discreti, soprattutto se i loro discorsi sono su i duchi.- Le rivolsi un sorriso, mi alzai da terra e mi sistemai il vestito.

- Non mi sono presentata io s...- Non la feci finire che troncai il discorso con un'alzata di mano e una falsa aria annoiata.

- Si, si so chi sei. Jane Hilliard: moglie del conte Henry Howard, figlia di Stephan Hilliard marchese da quattro soldi. Per non parlare di tua madre! Cosa faceva? L'amante di tuo padre quando era sposato con Elizabeth ?- Risi per le cattiverie che uscirono dalla mia bocca, aveva una faccia offesa e sofferente, si avvicino a me ma io la precedetti. - Eh no, Jane. I miei genitori saranno morti e non potranno proteggermi, ma con gli anni sono riuscita a trovare dei metodi per proteggermi senza l'aiuto di qualcuno. Prova a dire o fare qualsiasi cosa contro di me e giuro che ti faccio sbattere dentro alla prima taverna dalle guardie reali. Non lo sai? La regina non si fida per niente della tua condotta.- La lasciai lì senza parole, entrai dentro l'immenso castello e mi rifugiai nella mia camera. Mi sedetti davanti allo specchio e iniziai a pettinarmi i capelli cantando una canzoncina.

- Se fossi ancora qua, Edward.- Sussurrai malinconica. Bussarono alla porta e sussultai per lo spavento.- Avanti,entrate pure.- Dissi impacciata. Entrò Henry con un sorriso stampato in faccia, sembrò di buon umore.

- Disturbo, Emma?-

- Per niente, come mai capitate nelle mie stanze?-

- Siete rinchiusa in queste stanze da parecchio ormai e siccome ho avuto il piacere di conoscere una persona che non fosse mia moglie, ecco, mi chiedevo se volevate farvi una passeggiata con me. Naturalmente a cavallo o con la carrozza, diamine come volete.- Assunse un'aria esasperata e lo trovai buffo, ridacchiai e presi un corsetto rosso con dei ricami neri.

- Ditemi conte, avete mai visto una graziosa fanciulla con dei pantaloni?- dissi alzando un sopracciglio. Lo buttai fuori dalla mia camera e tirai fuori i vecchi pantaloni di mio padre, modificati poi dalla sarta. Sciolsi l'acconciatura nei capelli e mi feci una semplice treccia in modo da reggere i capelli e uscì fuori dalla stanza. - Desidero il cavallo per piacere.- Urlai mentre scendevo dalle scale. Nel piazzale davanti la porta del castello mi attendeva un cavallo, come io avevo richiesto, bianco, con la postura regale e uno sguardo fiero, mi guardava come se mi volesse sfidare. Mi avvicinai a lui e gli sfiorai il muso, avvicinò il suo muso nella mia mano e sorrisi a quel gesto, mi avvicinai alla sella, misi un piede nella staffa balzai sopra. Spronammo i cavalli e uscimmo dal cancello argentato del castello, andando verso il paese.

Il tempo del riscatto #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora