4-La sentenza

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                                                                                                                                                                                              Jasmine

«Jafar!», mio padre mi aveva insegnato sin da bambina che schiamazzare come un animale non era una buona abitudine per una principessa e non gli avevo mai disubbidito su questo punto fino a quel momento, «Jafar!». Trovai il gran visir in una stanza vuota, la schiena appoggiata alla parete color vinaccia, come se nascondesse qualcosa alle sue spalle.

«Principessa!», esclamò lui, alla sprovvista, facendo un passo verso di me e aprendo il mantello nero in un inchino, «Come posso servirla?», mi sorrise, tornando in posizione eretta.

Tra me e Jafar non era mai scorso buon sangue e nonostante mio padre si fidasse ciecamente di lui, io, al contrario, nutrivo sempre qualche sospetto su di lui, malgrado non avessi mai avuto le prove sulla sua colpevolezza, non che avesse mai fatto qualcosa sotto i miei stessi occhi, sfortunatamente.

Mio padre però continuava a credere nel buon cuore del suo consigliere, il quale, più di una volta, lo aveva aiutato in momenti difficili, soprattuto dopo la morte dell'amata moglie.

Mi avvicinai a gran passi verso di lui, furiosa.

«Hanno appena arrestato un ragazzo al mercato per ordine tuo!», puntai i piedi a terra e cercai di scorgere nella sua espressione del pentimento che, però, non trovai.

«Vostro padre mi ha ordinato di mantenere l'ordine tra le strade di Agrabah, principessa», disse lui con calma, «quel ragazzo è un criminale!», sorrise e notai nei suoi occhi un lampo, un'emozione che non riuscii a comprendere.

«E allora ditemi quale crimine ha commesso!», esclamai, tentando di farmi dire qualcosa di più sul conto del giovane che mi aveva salvato la vita.

«Quale crimine ha commesso?», la sua espressione mutò e le sue dita sfiorarono il bastone dorato dal manico inciso come una testa di serpente, «Beh, ha rapito la principessa, naturalmente!».

Quelle parole mi colpirono. Davvero credevano mi avessero rapita, che lui avesse potuto farmi del male tanto da essere considerato un criminale degno del tempo di Jafar?

«Lui non mi ha rapita», ribattei, sperando di convincerlo del vero, «sono scappata di mia volontà!».

L'espressione del visir cambiò del tutto, parve quasi sbiancare alla mia affermazione, ed i suoi occhi si fecero scuri e addolorati.

«Oh, principessa!», esclamò, voltandosi, «Quale terribile equivoco!», lo vidi sfiorarsi la barba eppure lui non tentò neppure per un momento di avvicinare i nostri sguardi, «Se solo avesssi saputo prima!».

Il mio cuore iniziò a tamburellare furiosamente nel petto, come impazzito.

La temperatura parve calare improvvisamente tra di noi, come se il vento fosse esploso in quella stanza tutt'un tratto, mettendomi i brividi.

«Che cosa vuoi dire?», mi avvicinai a lui e Jafar si voltò di scatto, facendomi sussultare internamente.

«Purtroppo la sentenza del ragazzo è già stata eseguita», le sue parole mi fecero accapponare la pelle. Nulla di buono sarebbe uscito da quella stanza, ora lo sapevo bene.

«Quale sentenza?», mi maledissi per aver posto quella domanda, nonostante conoscessi già la sfortunata risposta.

«Di morte», le sue parole furono in grado di bloccare le palpitazione del mio cuore per un lungo momento. Sussultai, questa volta davvero, e ringraziai il cielo per aver trovato una sedia alla quale reggermi quando le gambe persero il loro equilibrio.

«Mi dispiace molto, Altezza», confessò il visir, sfiorandomi le spalle come per trasmettermi il suo rammarico. Non gli credetti neppure per un istante.

«Come hai potuto?», la mia voce suonò come un gemito e mi alzai, furiosa con me stessa per non essere riuscita a nascondere i miei sentimenti ad un uomo tanto crudele.

Fuggire fu l'unica alternativa...

Nuovamente trovai conforto nella notte e nella fresca brezza.

Inginocchiata di fronte alla fontana, il volto nascosto dalle braccia umide di lacrime, sentii Rajah farsi vicina, nonostante il passo felpato.

Con il capo caldo mi alzò un braccio e mi sentii costretta a smettere di nascondermi.

Così la guardai, nonostante le lacrime offuscassero la mia visuale.

«E' stata tutta colpa mia, Rajah», tentai, inutilmente, di cancellare le lacrime dal mio viso, e tentai di non concentrarmi troppo sul mio pallido riflesso negli occhi del felino, «non so neppure il suo nome», l'abbracciai, sentendo il calore del suo pelo riflettersi sulla mia pelle, dandomi conforto, senza però raggiungere il mio cuore.


NdA:

Ciao a tutti! Scusatemi se questo capitolo è tanto breve ma capirete poi in seguito perché non potevo aggiungere altro :) Spero che la storia continui a piacere ai -in realtà pochi- lettori che la stanno seguendo, sperando di aumentare sempre di più :)

Al prossimo capitolo!


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