12. Specchi rotti

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Jasmine

Tra me e me, canticchiavo di gioia.

Sussurravo tra le labbra le note di canzoni di terre lontane che, per una notte o per sempre, mi erano appartenute.

Lasciai scorrere la spazzola tra i capelli sciolti, osservando con interesse gli occhi della donna riflessa nello specchio.

Erano sempre i miei occhi, questo era ovvio, ma c'era qualcosa di molto meno certo che li modificava, rendendoli più profondi, più sinceri.

Erano gli occhi di una donna che aveva finalmente trovato ciò che cercava da tempo, anche se l'aveva negato a tutti, persino a sé stessa.

Osservai il fiore bianco nel vaso.

Malgrado l'avessi messo troppo tardi nell'acqua, esso era ancora profumato, nonostante i petali afflosciati, e manteneva la stessa fragranza dolce ed intensa.

«Jasmine?», per una volta, il suono della voce di mio padre mi rincuorò e non esitai a sorridere quando, voltandomi, lo vidi appena un passo avanti alla porta della mia stanza.

«Oh padre!», esclamai, mettendomi in piedi, quasi volando fino a lui, ripercorrendo la leggerezza con cui il tappeto magico del mio bel principe mi aveva portata nei posti più incantevoli che io avessi mai visto, «Ho passato la notte più bella di tutta la mia vita! Sono così felice!», lo raggiunsi e, immediatamente, notai qualcosa di strano nei suoi occhi, una freddezza, un'impassibilità che non avevo mai visto e che mi mise i brividi.

«E devi esserlo, Jasmine», disse con voce fredda, immobile, «perché ho scelto per te un marito».

«Cosa?», il mio fu solo un sussurro, inghiottito dal gelido silenzio che si era venuto a creare tra noi.

«Tu sposerai Jafar», l'anta della porta fu sospinta in avanti, rivelando l'alta figura dell'uomo in nero che, con un prepotente ghigno sulle labbra, mi osservava con finta pena.

Mi accorsi di essermi tirata indietro solo quando la mano del Visir afferrò la mia, tenendomi ferma a pochi centimetri da lui.

«Sei senza parole, vedo», disse, chinandosi in avanti fino a raggiungermi, «è una dote ammirabile in una moglie...», sorrise, soddisfatto, respirando tra i denti ingialliti.

«Io non sarò mai vostra moglie!», lasciai cadere la sua presa, sentendolo ringhiare, furioso.

Mi voltai verso mio padre, i suoi occhi persi nel vuoto, e feci un passo verso di lui, e poi un altro ancora, fino a raggiungerlo.

Posai le mani sulle sue spalle larghe ma il suo sguardo era vuoto, inespressivo, come se non fossi davanti al mio vero padre, come se avessi davanti un fantoccio, un corpo vuoto privo dell'anima.

«Padre», alzai la voce, tentando di scuotere qualcosa dentro di lui, «ho già fatto la mia scelta e ho scelto Alì!», lo guardai dritto negli occhi ma non vidi niente.

La mano di Jafar ci divise e la sua voce riempì il silenzio: «Il principe Alì se n'è andato!».

Avrei sussultato se una quarta voce non si fosse aggiunta, improvvisa e desiderata: «Guarda meglio nella tua sfera di cristallo, Jafar», il principe Alì era appoggiato alla colonna di marmo, gli abiti zuppi, lo sguardo furioso rivolto al Visir, scandalizzato, al mio fianco.

«Alì!», sentii il mio cuore battere di gioia e pensai che tutto sarebbe andato per il meglio, finalmente.

Jafar, invece, non sembrava della mia stessa idea e sussultò nel vederlo arrivare.

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