1-Il prezzo da pagare

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                                                                                                                                                                                                 Aladdin

«Buongiorno, signore», il sole baciava Agrabah e tutte le sue creature eppure l'aria era arida, secca, tanto che, nonostante avessi corso solo per meno di dieci minuti, avevo già il fiatone come se corressi da ore intere.

«Già nei guai di prima mattina, oggi, eh?», la signora Anisa era una donna anziana, di circa sessant'anni, ma aveva gli occhi vispi di una ragazzina e un sorriso sempre per tutti, anche per un ladruncolo come me, «Non è un po' presto, Aladdin?», mi lanciò un lenzuolo color sabbia ed io lo usai per simulare un velo, affinché mi nascondesse dagli occhi delle guardie, specialmente da Razoul, che ordinava ai suoi compagni di cercare in ogni angolo, persino sotto le rocce, pur di trovarmi.

Sotto il lenzuolo coprii il pezzo di pane e continuai a parlare con la signora e le sue amiche ma con fare sbrigativo.

«Oh, ma io non sono nei guai!», esclamai con un sorriso, «Uno è nei guai solo se lo prendono!».

Prima che Anisa potesse avvertirmi, il capo delle guardie buttò giù il mio velo improvvisato, scoprendomi, e mi afferrò per il gilet malmesso.

«Preso», sorrise, mostrandomi la bocca mezza sdentata.

Come non detto, pensai, guardandomi intorno alla ricerca di un modo per fuggire da quella situazione.

Improvvisamente il pane tra le mie dita iniziò a pesare come un macigno, a scivolare via dalla mia mano.

Di fronte a me vi era Razoul, le sue mani grosse e i muscoli del petto nascondevano quasi le guardie alle sue spalle che però, lo sapevo, non avrebbero mosso neppure un dito né in mio aiuto né in quello del loro capo; tra me e Razoul era uno scontro continuo: rubavo del pane o un frutto, lui mi cercava, io gli sfuggivo, e poi di nuovo così, fino al mattino dopo, dove tutto riprendeva il suo circolo.In fondo, credevo quasi di piacergli, un pochino.

Malgrado tutto ero riuscito a farmi una fama all'interno dei bassifondi di Agrabah, nonostante fossi un ladro avevo ottenuto la stima di molte delle persone che abitavano in quei quartieri, ma ovviamente c'era ancora qualcuno che gridava allo scandalo ogni qualvolta rubassi un melone o un semplice pugno di datteri freschi e dolci.

Iniziai a calcolare le possibili via d'uscita: oltre Razoul e le sue guardie, vi era una stradina spesso utilizzata dai pastori e quindi abbastanza affollata da potersi nascondere, alla mia destra vi era invece il cuore del mercato, con tutte le sue bancarelle e i suoi spettacoli fatti da mangiatori di spade e dita di polvere che sputavano fiamme come i draghi delle antiche leggende che mia madre mi raccontava quando ero bambino.

Entrambe erano scappatoie eccellenti, avevo solo bisogno di un qualcosa che distraesse Razoul per un lasso di tempo abbastanza lungo da permettermi di sgattaiolare via dalle sue manacce umide.

«E questa volta...», continuava lui, sorridendo soddisfatto di quel suo gesto eroico.

Ma credeva davvero che, catturando un semplice ladruncolo come me, avrebbe cambiato l'idea che il Sultano aveva di lui? Che sciocchezza!

Come una manna dal cielo, qualcosa, o meglio qualcuno, cadde sulla testa di Razoul, abbassandogli il capello di stoffa bianca fino al naso, accecandolo per una manciata di secondi.

«Abu!», esclamai, quando riuscii a liberarmi dalle grinfie del capo delle guardie, «Davvero un ottimo tempismo!», la scimmietta dal pelo marroncino saltò sulla mia spalla mentre, raggirando le guardie, scivolai tra le vie del mercato.

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