Capitolo 1

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Batto per l'ennesima volta la mano sulla porta, ma non ricevo risposta. «Pilar, ti prego, esci,» supplico.

Lei singhiozza e il suono giunge attutito alle mie orecchie, segno che è certamente sdraiata sul suo letto, con la testa coperta dal cuscino.

«Inizia a farsi tardi,» provo a convincerla di nuovo ad uscire dalla sua stanza utilizzando un tono autoritario, ma non risulto molto convincente, visto che di questa cena di lavoro di Esteban non mi importa affatto.

«Non voglio saperne un bel niente di questa cena,» risponde, con la voce rotta dal pianto.

Sento il mio cuore spezzarsi al pensiero del suo dolore e, sospirando, mi siedo per terra con la schiena appoggiata alla porta. Mi tolgo finalmente le scarpe e i miei piedi hanno un attimo di sollievo da quelle trappole mortali che sono costretta ad indossare per queste occasioni. Ho sempre odiato i tacchi e, soprattutto, odio con tutta me stessa queste cene di lavoro. La gente è sempre snob, con la puzza sotto il naso e la cristalleria più costosa di un monolocale in centro.

«Fallo per tuo padre,» mormoro e non sono del tutto certa di chi io stia cercando di motivare e convincere fra le due. Forse più me stessa che Pilar.

Contrariamente a ciò che mi sarei aspettata, passato qualche istante, sento i suoi passi sul pavimento e subito dopo Pilar apre la porta. «Che ci fai per terra?» domanda poi e, se solo non avesse pianto per tutto il pomeriggio, scommetto che sarebbe certamente scoppiata a ridere.

Mi alzo in fretta e stiro le piccole pieghe che si sono formate sul mio vestito. «Odio quei trampoli e stare tutto questo tempo a bussare alla tua porta non mi ha aiutato di certo,» rispondo scherzando, ma il suo viso si rabbuia nuovamente. Ritorna sul suo letto e prende uno dei tanti peluches tra le braccia, per poi stringerlo al petto. Sospiro, mi siedo accanto a lei e le accarezzo la guancia rosea e morbida. È ancora umida per le lacrime e in questo momento andrei volentieri da Enrique e gli spaccherei quella faccia da delinquente per aver tradito Pilar con chissà quante altre ragazze. Già, peccato che sia il figlio del socio di Esteban. Essere madre e moglie a volte è davvero complicato.

«Non voglio venire.»

«Lo so, tesoro, e lo capisco, ma il padre di... di quello stronzo ha invitato tutti e tre,» cerco di farla ragionare ed evito di nominare quel deficiente di Enrique, ma sul suo volto riesco a scorgere comunque il dispiacere e la tristezza che il solo pensiero le provoca. «È una grande occasione per tuo padre per fare in modo che il suo progetto venga approvato e non possiamo negargliela, vero?»

Scuote la testa e si alza, per poi dirigersi verso l'armadio. La osservo mentre apre le ante e cerca di non piangere, scegliendo cosa indossare, e mi rendo conto di quanto sia dannatamente matura e responsabile da pensare prima a suo padre che a se stessa e all'umiliazione che ha subito oggi pomeriggio, venendo a sapere - non mi è chiaro ancora come - che Enrique passa da un letto all'altro, mentre con lei ha sempre giocato il ruolo del bravo ragazzo che a malapena l'abbraccia e la bacia sulla guancia in presenza di altre persone.

«Questi vanno bene?» mi chiede, mostrandomi dei comunissimi jeans e una camicia bianca e asciugando un'ulteriore lacrima sul suo viso.

«Dovresti indossare un vestito, tesoro,» mormoro. Vorrei tanto smettere di contraddire le sue scelte, vorrei semplicemente passare tutta la notte ad abbracciarla e stringerla, mandando a quel paese ogni cosa, ma non posso. «Sai quanto-»

Twenty Years Ago || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora