Capitolo 8

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I cinque minuti sono poi diventati dieci, trenta, sessanta e ho perso il conto dopo aver superato le due ore piene. Ho tagliato una fetta di crostata alle noci e l'ho lasciata sul tavolo insieme a un piatto di paella, che era avanzata un paio di giorni fa, così che Pilar potesse cenare in tutta tranquillità dopo aver parlato con Enrique Rojas.

Tuttavia, al mio risveglio trovo ogni cosa al suo posto e capisco che la loro discussione non deve essere andata nel migliore dei modi, se la fetta di crostata che Pilar voleva tanto è perfettamente intatta. Posso benissimo immaginare come ieri sia rientrata in casa con un nodo allo stomaco per ciò che possono essersi detti, per poi andare direttamente in camera sua senza degnare di un solo sguardo la porta della cucina. Probabilmente si sarà anche dimenticata della crostata, troppo presa a pensare a quell'idiota di Rojas, ma se così non fosse dubito che potesse avere alcuna voglia di mettere qualcosa sotto i denti. Questa è di certo una delle poche cose che non abbiamo in comune: quando sono arrabbiata o di cattivo umore potrei mandare giù chili di dolciumi.

Decido di prendere in mano il piattino con la fetta intatta di crostata di noci e mi avvicino alla porta della camera di Pilar, stranamente ancora chiusa. Capita spesso che lei si svegli prima di me, dal momento che le piace avere il bagno tutto per sé senza che qualcuno le metta fretta o anche girare per casa nel più totale silenzio senza un motivo preciso, ma non è questo il caso. Probabilmente sarà ancora nel suo letto, le lenzuola tirate fin sopra la testa e poca voglia di avere a che fare con chiunque, forse persino con me.

Invece, non appena apro con delicatezza la porta della sua stanza, il mio sguardo viene catturato dal letto perfettamente intatto e dalla figura di mia figlia seduta sul pavimento, accanto alla finestra che dà sul nostro piccolo giardino, già vestita con la sua uniforme e con i capelli legati in una coda stretta, senza un solo ciuffo fuori posto. Non si è accorta affatto del mio arrivo e la cosa mi preoccupa: forse la conversazione con Rojas è andata persino peggio di quanto immaginassi.

«Pilar?»

Si volta verso di me con una lentezza quasi straziante e mi mostra i suoi occhi arrossati, in contrasto con l'espressione impassibile.

«Sono in ritardo?» chiede semplicemente, la voce bassa come per evitare un ulteriore pianto.

«No, tesoro, ma...» mi interrompo, sentendo una stretta all'altezza del cuore. Esteban mi ha sempre presa in giro per il mio desiderio che Pilar rimanesse in eterno una bambina, dicendo che sono sciocca come tutti gli altri genitori, che non riusciamo a capire che i figli prima o poi dovranno allontanarsi da noi, che sarebbe da egoisti pretendere il contrario. Ma il punto non è questo. Il punto non è l'egoismo, perché nel momento stesso in cui incontro gli occhi lucidi di Pilar vedo realizzate le mie più grandi paure: mia figlia sta soffrendo per amore, una cosa inevitabile a partire dall'adolescenza. Il suo dolore è la cosa più insopportabile che possa esistere. «Vuoi... vuoi restare a casa? Possiamo guardare qualche film o-»

«No,» mi interrompe, per poi provare a rivolgermi un sorriso che, però, risulta più simile a una smorfia. «Non c'è alcun bisogno che io rimanga a casa,» continua poi, alzandosi in piedi e avvicinandosi a me. Prende il piattino dalle mie mani e si dirige fuori dalla sua camera. All'improvviso, però, si blocca e torna indietro, per poi baciarmi una guancia. «Grazie.»

La guardo allontanarsi verso la cucina e non posso fare a meno di sorridere. Subito dopo, chiudo la porta della sua stanza e, con la speranza che tutte le sue preoccupazioni vi rimangano dentro, torno in camera mia per cambiarmi e affrontare questa giornata nel migliore dei modi. Non faccio molto caso a quello che indosso, sapendo che arrivata a lavoro dovrò mettermi qualcosa di comodo per le lezioni di danza, e il mio sguardo viene invece catturato da una delle magliette di Esteban, che evidentemente è riuscita a sfuggire al mio sfogo di ieri. Sarei tentata di buttarla dalla finestra, ma, nel momento stesso in cui la prendo in mano con questo intento, mi ritrovo a portarla vicino ai miei occhi e a osservarne l'orlo piuttosto rovinato. Pochi istanti dopo, affondo il viso nel tessuto e con molta fatica riesco a riconoscere il suo profumo, poiché non la indossa da parecchio tempo.

Twenty Years Ago || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora