Pilar questa mattina è tornata a scuola, mentre io al lavoro. Un altro giorno di riposo sarebbe stato fantastico, lo ammetto, ma mi sono resa conto che non possiamo evitare ancora a lungo il mondo che ci circonda, per quanto mi farebbe piacere farlo: lei deve affrontare Enrique, insieme a tutti i ragazzi della sua scuola che sono venuti a conoscenza di ciò che ha fatto, e io non posso prendermi troppi giorni di ferie, tenendo chiusa a lungo la scuola di danza. Per questo motivo adesso mi trovo in questa stanza non molto ampia ma per nulla soffocante e, anzi, molto luminosa, grazie anche allo specchio che ricopre una delle pareti.
«Bene, per oggi abbiamo finito,» annuncio, guardando il riflesso delle mie piccole allieve, strette nei loro tutù rosa che le fanno sembrare delle nuvolette all'alba, chiare e soffici. «Potete andare.»
Qualche bambina sbuffa, mentre altre sono decisamente sollevate che queste due ore intense e faticose di danza classica siano finite, ma tutte quante si affrettano a salutarmi con un bacio sulla guancia, per poi uscire dalla stanza, quasi saltellando sul parquet, e seguire i propri genitori verso lo spogliatoio. L'unica a rimanere nella stanza è Marisol, una tenerissima bambina dai riccioli biondi che mi ha sempre ricordato Pilar a causa dei tratti delicati e dolci del viso, della fossetta che spunta sulla guancia destra quando tende le carnose labbra in un sorriso e degli occhioni marroni, che adesso mi scrutano come solo gli occhi dei bambini possono fare: sembra che mi stia guardando fin dentro l'anima, valutando ogni emozione e pensiero.
«Come mai sei ancora qui, piccolina?» le chiedo, notando che suo fratello maggiore ci osserva dalla porta, aspettando che la bambina esca.
«Oggi eri distratta, Sammy,» mi fa notare, chiamandomi con il soprannome che mi ha affibbiato due anni fa, alla sua prima lezione, quando ha deciso che il mio nome era troppo lungo da ricordare per i suoi gusti.
Mi abbasso verso di lei fino a raggiungere la sua altezza e la guardo negli occhi. «Cosa te lo fa pensare?»
«Non hai notato che Santiago mi ha legato i capelli in una semplice coda,» risponde, prima di arricciare le labbra in un tenero broncio e scuotere la testa, facendo oscillare i suoi riccioli.
Solo in questo momento mi accorgo che, in effetti, la sua acconciatura è diversa dal solito, ma sono stata fin troppo presa dai miei pensieri per rendermene conto prima, mentre solitamente noto ogni piccolo particolare di questa bambina.
«Oh, tesoro, scusami tanto. Perché tuo fratello non ti ha fatto la solita treccia?»
Marisol si volta verso Santiago e la vedo rivolgergli una linguaccia, prima di girarsi di nuovo verso di me. «Perché è un incapace!» risponde e scoppia a ridere, mentre il fratello sbuffa, probabilmente stufo delle lamentele della bambina e di aspettarla ancora a lungo.
Vorrei chiederle come mai non sia venuta a lezione con sua mamma come quasi ogni volta, ma prima che possa farlo mi bacia la guancia e corre verso Santiago, per poi dirigersi verso lo spogliatoio e svanire dalla mia visuale. Per quanto possa dispiacermi per quel povero ragazzo, che si è ritrovato costretto a sorbirsi due ore di danza classica, senza nemmeno la possibilità di guardare qualche sua coetanea carina invece di una decina di bambine di sette anni, avrei preferito rimanere qualche altra ora a parlare con Marisol di quanto sia impedito ad intrecciarle i capelli, piuttosto che ritrovarmi da sola con i miei pensieri.
Raccolgo velocemente le mie cose, canticchiando nella testa qualche canzone che possa distrarmi, e decido di fare la doccia a casa, così da chiudere subito la scuola di danza non appena anche l'ultima bambina esce dallo spogliatoio con i capelli perfettamente puliti e asciutti.
Il tragitto in macchina sembra più lungo del solito e pare che oggi non possa fare a meno di incontrare semafori rossi che mi snervano in una maniera che non credevo possibile. Inizio a tamburellare le dita sul volante, concentrandomi sul ritmo che ottengo, ma dopo il quinto semaforo è tutto inutile e mi ritrovo a pensare a Esteban e al fatto che il suo disinteresse nei confronti di sua figlia e di sua moglie non sia ancora terminato. Non ho idea di dove abbia dormito in tutti questi giorni e mi tocca ammettere che sono un po' preoccupata. Non ho paura per la sua incolumità, è adulto e vaccinato e di certo nessuno si prenderebbe la briga di rapirlo o chissà cosa - anche perché è talmente fastidioso e insopportabile che lo lascerebbero libero dopo una ventina di minuti -, ma mi chiedo come sia possibile essere arrivati a tanto. Questo è il litigio più lungo dei nostri sedici anni di matrimonio e, visto che nessuno dei due si decide a cercare l'altro per risolvere o anche solo per capire cosa non vada nella nostra relazione, molte domande mi sorgono spontanee, ma purtroppo non ne conosco le risposte.
STAI LEGGENDO
Twenty Years Ago || Michael Clifford
Fanfiction«No, senti, stai perdendo tempo. Davvero, Michael, non sono la persona che cerchi.» «Sì che lo sei, invece. Ho il tuo nome tatuato sull'inguine da vent'anni!»