«Sono a casa!»
La voce di Pilar mi giunge forte e chiara dall'ingresso, visto che mi trovo sul divano del salotto, a pochi passi da lei.
La sua figura aggraziata entra nella mia visuale poco dopo, ma non ho il coraggio di guardarla direttamente negli occhi, sapendo che scoppierei a piangere come una bambina. Perciò evito il suo sguardo, salutandola con un piccolo cenno della mano. Anche parlare mi riesce difficile al momento.
«Cos'è successo?» chiede, subito allarmata dal mio comportamento. Si avvicina al divano per guardarmi più da vicino, ma io scuoto semplicemente la testa, cercando di farle intendere che non c'è nulla di cui preoccuparsi. «Mamma, guardami.»
Deglutisco rumorosamente, per poi girare di poco la testa verso di lei. Non appena incontro i suoi occhi marroni, però, mi affretto a distogliere di nuovo lo sguardo e lei sospira, sedendosi accanto a me. Mi abbraccia senza pensarci due volte e appoggia la testa sulla mia spalla, facendomi scoppiare a piangere nonostante tutti i miei buoni propositi di mantenere un certo ritegno.
«Piangi per papà?» chiede questa volta, quasi sussurrando. Dopo qualche istante scuoto la testa in segno di negazione e lei sospira. «Non tenerti tutto dentro, ti fa stare peggio.»
Per qualche istante rimango abbastanza stupita di fronte alla serietà con cui pronuncia queste parole, ma poi mi rendo conto che ha dannatamente ragione e non posso lasciarmi rodere lo stomaco dai miei sentimenti. Così sospiro, per poi guardare di nuovo mia figlia negli occhi e crollare.
«Non è solo per lui,» mormoro, cercando al tempo stesso di decifrare le mie emozioni.
«Allora perché?»
È difficile capire cosa di preciso mi faccia stare così male al momento, perché con Esteban sono molto arrabbiata, le sue parole più che ferirmi mi hanno amareggiata e so per certo che non piangerei per questo in un milione di anni. Al massimo dai miei occhi potrebbe uscire qualche lacrima di nervosismo e frustrazione, di natura completamente diversa da quelle che ora mi bagnano il volto. Sento una tristezza strana, quel genere di immotivata tristezza che però sconvolge la testa, il petto, lo stomaco, tutto. Quella tristezza che si presenta all'improvviso, senza avvisare in alcun modo, e col trascorrere dei secondi fa tornare alla mente tutto ciò che di sbagliato si è fatto nella vita, tutte le esperienze che sarebbe meglio dimenticare. Un momento stai sorridendo per aver incontrato una persona cara, per una barzelletta o semplicemente per aver mangiato del delizioso cioccolato e quello dopo ti metteresti a piangere per il cane morto anni prima, quando ancora frequentavi l'asilo. In realtà prima che tornasse Pilar non sprizzavo gioia da tutti i pori, specialmente dopo la discussione con Esteban, ma il senso è quello. Mi sono tornati alla mente tutti i ricordi della mia relazione con Michael Clifford e questa stupida tristezza si è impossessata del mio corpo, facendomi anche sentire in colpa per le parole che gli ho detto al telefono. Perché, sì, vent'anni fa non ci siamo lasciati nel migliore dei modi e non mento nel dire che è solo colpa sua, visto che mi ha trattata come se non valessi nulla, ma si tratta del passato e sono cambiate così tante cose da quel momento che dovrei provare solo indifferenza al ricordo di tutto quanto e nei confronti di Michael.
«Non lo so,» rispondo poi, non trovando parole migliori per descrivere ciò che provo. «Tuo padre ed io stiamo attraversando un brutto periodo, come sai, e non ci volevano proprio Michael Clifford e il suo desiderio di inserirsi di nuovo nella mia vita.»
«Ha continuato a chiamarti?» chiede, anche se dalla sua espressione si direbbe che conosce già la risposta.
«E io ho pure risposto.»
Pilar spalanca gli occhi e la bocca, veramente sorpresa dal mio gesto. «Non ci credo, dici sul serio?»
Sospiro, chiedendomi per quale dannato motivo l'abbia fatto davvero. Se non avessi risposto non mi troverei in queste condizioni, ne sono certa.
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Twenty Years Ago || Michael Clifford
Fanfiction«No, senti, stai perdendo tempo. Davvero, Michael, non sono la persona che cerchi.» «Sì che lo sei, invece. Ho il tuo nome tatuato sull'inguine da vent'anni!»