Trenta minuti dopo arriviamo davanti a casa Rojas e, nemmeno a dirlo, siamo in ritardo di almeno quindici minuti. Esteban continua a borbottare cose che fortunatamente non riesco a comprendere e solo perché c'è anche Pilar mi trattengo dall'insultarlo. Odio sentire le persone borbottare, soprattutto quando è ovvio che le parole siano riferite a me. Preferisco di gran lunga che una persona mi dica direttamente in faccia qualsiasi cosa, anche i peggiori insulti.
«C'è qualche problema?» sbotto poi, una volta scesi dalla macchina, visto che il borbottio non è ancora cessato.
Esteban sembra sul punto di dire qualcosa, ma poi ci ripensa e preferisce tenere la bocca chiusa. Chiude la macchina e suona al citofono dell'immensa villa.
«Chi è?» domanda una voce e riconosco l'inconfondibile accento portoghese di Yoana, la domestica dei Rojas.
«Siamo i Serrano,» risponde in tono pacato Esteban, un tono che assolutamente non si addice al suo precedente comportamento. Cenerei tutte le sere dai Rojas solo per non sorbirmi il suo frequente cattivo umore ma, purtroppo, questa famiglia è incredibilmente snob e odiosa.
Subito dopo la domestica apre il cancello, che naturalmente non produce alcun cigolio o altri rumori sinistri, e noi percorriamo la breve stradina di ciottoli che conduce al portone della villa.
Il tacco delle mie scarpe finisce varie volte tra un ciottolo e l'altro e spesso rischio di cadere a terra o slogarmi la caviglia, ma Esteban non se ne preoccupa assolutamente, essendo troppo impegnato a elencare le solite nozioni fondamentali per superare questa serata senza fargli fare brutte figure. «... e tu, Pilar, non rispondere per nessun motivo se mai Hernando dovesse chiederti qualcosa, chiaro? Tossisci, chiedi di andare in bagno, ma non rispondere,» cita l'ultima regola, se così si può definire, proprio quando giungiamo di fronte al portone e Pilar rotea gli occhi, di certo stufa tanto quanto me di tutte queste pagliacciate.
Senza bisogno di bussare, il portone ci viene aperto e tre facce più o meno sorridenti ci accolgono. In realtà è Hernando l'unico che sorride, anche se il suo si potrebbe definire più che altro un ghigno, mentre sua moglie Lidia, con i capelli biondo platino stretti in uno chignon, esibisce la solita smorfia che lascia trapelare quanto si senta immensamente superiore rispetto a tutto il resto del mondo. È la più snob di tutta la famiglia, ma non sono sicura che la sua espressione sia peggiore di quella totalmente impassibile di Enrique. Sento Pilar irrigidirsi accanto a me e cerco di rassicurarla con un piccolo sorriso, che lei non ricambia, mentre Hernando stringe la mano a Esteban. «Socio, pensavo non saresti venuto!» esclama e mio marito sembra pendere dalle sue labbra, come farebbe un cagnolino con il suo padrone. «Credevo ti fossi già reso conto di quanto il tuo progetto non valga niente, ma mi sbagliavo. Forse non sei poi così rammollito,» scoppia a ridere, seguito dalla moglie, e io mi chiedo per quale motivo la mia famiglia si ritrovi sempre a farsi umiliare da questo bastardi. Riserverei uno schiaffo a ognuno dei tre, o forse anche più di uno, ma so che non devo assolutamente farlo: Esteban ha tantissimi progetti ambiziosi, ma senza i soldi di Hernando non può fare molto. Quindi, se non voglio un futuro in completa miseria, è meglio tenere le mani al proprio posto.
«Non ci siamo neanche tolti il cappotto e già parlate di affari? È così scortese da parte vostra!» mi intrometto io, in tono scherzoso, e riesco nel mio intento, visto che Hernando distoglie finalmente il suo sguardo penetrante da mio marito e lo posa su di me. Con la coda dell'occhio intravedo Esteban trattenere un sospiro e io quasi alzo gli occhi al cielo. Forse Hernando ha ragione a ritenerlo un rammollito: che razza di uomo è uno che si comporta in maniera autoritaria con la moglie e la figlia ma non riesce nemmeno a farsi rispettare da un estraneo, per quanto l'orologio di quest'ultimo sia costoso?
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Twenty Years Ago || Michael Clifford
Fiksi Penggemar«No, senti, stai perdendo tempo. Davvero, Michael, non sono la persona che cerchi.» «Sì che lo sei, invece. Ho il tuo nome tatuato sull'inguine da vent'anni!»