Il Giorno Dopo & La Quiete Dopo La Tempesta

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I giorni successivi a quel 10 di agosto furono per me un'agonia. Mi finsi malato coi miei per poter restare in casa mentre gli altri andavano al mare, evitando così di poter incontrare e rivedere il ragazzo dal pianoforte bianco.

Avendo avuto un'educazione cattolica, avevo avuto incubi credendo che avrei bruciato tra le fiamme dell'inferno per l'eternità, ma questo era niente confronto al pensiero di quello che avrebbero pensato i miei genitori qualora avessero saputo dell'accaduto.

Immaginavo già lo sguardo di delusione di mio padre se e quando lo avesse saputo. Fino allora mio padre non aveva mai avuto ragione di essere deluso da me. Ero sempre stato uno studente modello e molto dotato. Scrivevo poesie dall'età di sei anni e avevo i voti più alti della classe, e questo riempiva di orgoglio mio padre, essendo lui un insegnante. Qualche anno prima però, con compagni di scuola, giocavo a fare il tiro al bersaglio con delle pietre usando come bersaglio un cartone abbandonato in mezzo alla strada e, inavvertitamente, colpii con un sasso la macchina del bidello distruggendo il vetro anteriore dell'auto. Quando il bidello entrò in classe chiedendo chi fosse stato, io in principio esitai e poi mi alzai e confessai la mia colpa. Chiamarono mio padre che dovette pagare i danni fatti all'auto, e lui non mi disse neanche una parola, solo mi guardò. Mai potrò cancellare dalla mente quello sguardo che mi congelò il cuore. Mai più avrei potuto sopportare quello sguardo su di me.

A tutti questi pensieri, si opponevano i ricordi di quel bacio e il forte desiderio a rivedere quei due occhi azzurri, a risentire le sue mani sulla mia pelle e le sue labbra sulle mie. Mi chiedevo se anche lui stesse soffrendo come me e odiai me stesso per aver accettato di fare il bagno. Avevo infranto le regole ed ero stato punito.

***

Passarono tre giorni, ed io iniziai a pensare che non potevo continuare a lungo a fingermi malato altrimenti mia madre avrebbe cominciato a insospettirsi, quando sentii il campanello di una bicicletta suonare.

Il cuore mi finì subito in gola e dopo pochi secondi sentii una voce chiamarmi.

Era Lui.

Lo invitai a entrare e restammo seduti ai due estremi del sofà per un momento interminabile fissando il pavimento e senza proferire parola.

Dopo alcuni lunghi imbarazzanti minuti, Lui cominciò a scusarsi dicendomi che non gli era mai capitato prima. Mi disse che dal giorno che mi aveva conosciuto si svegliava tutte le mattine solo per correre a casa mia e vedermi e che avrebbe compreso se adesso io non avessi più voluto avere a che fare con lui.

Mi voltai verso di lui con la ferma intenzione di dirgli che quello che era successo era sbagliato e non dovevamo vederci mai più, quando il mio sguardo ricadde sui suoi occhi arrossati che a stento trattenevano le lacrime. Il rossore degli occhi facevano si che l'azzurro intenso dei suoi occhi risaltasse maggiormente ricordando il colore del mare in tempesta.

Vederlo così fragile, indifeso, come un cane che era appena stato bastonato, mi fece stringere il cuore. Fu allora che capii che l'inferno sarebbe stato vivere senza rivedere quegli occhi, senza poterlo abbracciare ancora, e soprattutto senza vederlo sorridere.

Mi avvicinai a lui, gli presi entrambe le mani tra le mie, lo guardai negli occhi sorridendo e lo abbracciai forte. Lui cominciò a lasciarsi andare ad un pianto forte e liberatorio ed io feci altrettanto.

Dopo alcuni secondi ci staccammo e ritornammo a guardarci in faccia e tra le lacrime iniziammo a ridere e cosi io mi lanciai verso di lui e lo baciai senza ulteriori esitazioni. Lui stupito si staccò e mi guardo in faccia con quell'aria smarrita di chi non capisce quello che gli passa attorno. Poi mi sorrise e continuo a baciarmi teneramente e a lungo sul sofà della casa al mare dei miei.


Il ragazzo dal pianoforte biancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora