Uno Spiacevole Equivoco & Flavio

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Le giornate passavano tranquille. Mara si frequentava con una tipa e per coprirla, passavo tutti i pomeriggi con lei in attesa di ricevere quello squillo al cellulare che voleva dire "Ti penso".

Nei momenti di solitudine, Mara era una buona amica e per il resto del tempo, se non avevo da studiare, mi crogiolavo tra sogni e ricordi di Roma.

La tranquillità di quei giorni fu purtroppo offuscata da uno spiacevole equivoco accaduto a scuola.

Durante la mia assenza da casa, mio padre andò in giro per fiere informatiche con l'intenzione di valutare i prezzi per comprarmi un computer e tornò a casa pieno di gadget delle fiere tra cui due normalissime penne biro con una marca di una società di computer, che regalò a me e a mia sorella.

La sfortuna volle che anche il professore di sostegno della mia classe, che a mia opinione necessitava più sostegno del ragazzo che accudiva, frequentò la stessa fiera di mio padre, ed avesse preso anche lui una penna identica a quella che avevamo io e mia sorella e che poi perse.

Un giorno, mentre scrivevo sul diario i compiti per il giorno dopo, suddetto professore mi strappò la penna dalle mani, e mi accusò davanti a tutti la classe, di avergliela rubata. A prescindere che trovai assurdo che un adulto si rivolgesse ad un ragazzino in tale modo per una penna del valore commerciale di circa trenta centesimi di euro, con tutta l'educazione e la calma che potetti mantenere in quel momento, cercai di giustificarmi dicendo che quella penna me la aveva regalata mio padre ma lui continuò a darmi del ladro urlando come un pazzo. A quel punto, entrò in classe la professoressa di italiano, soprannominata da tutti i suoi alunni "La Tacchinella" a causa del suo enorme peso e dei suoi minuscoli tacchi che le davano un andamento simile a quella di un tacchino. Vedendola, provai un senso di sollievo e sperai in un po di supporto visto tra l'altro che, oltre ad essere una mia insegnante, era una mia vicina e intima amica di mia madre. Nada. Peggio. Anche lei cominciò a strillare come una cornacchia dicendomi che dovevo vergognarmi e che lo avrebbe detto a mia madre.

Stavo per mettermi a piangere, quando a un certo punto, partendo dallo stomaco, cominciò a salirmi attraversando ogni parte del mio corpo, una incazzatura che fece rientrare le lacrime e diedero sfogo alla mia ira. Presi la penna e la sbattei sul tavolo e, in perfetto italiano per non sfigurare davanti alla prof, dissi: "Questa se la può tenere e se la può mettere dove più le compiace perché tanto posso permettermi di comprane altre mille come questa ed io non sono cosi pezzente da perdere tempo per questa miseria. In ogni caso, ne ho un'altra identica a casa, e quando domani le sbatterò in faccia anche quella, mi aspetto delle scuse." In quello stesso momento, la campanella che annunciava la fine delle lezioni suonò, ed io mi avviai correndo versa l'uscita, malgrado le proteste dei due a causa della mia scenata.

Durante il cammino a passo svelto e sguardo basso verso casa, la rabbia l'umiliazione e l'ira furono tali che non potetti evitare di mettermi a piangere per tutto il percorso.

Arrivai a casa sbattendo la porta e subito mio padre mi venne incontro chiedendomi che era successo vedendomi evidentemente scosso. Gli passai di fianco come se nemmeno lo avessi visto e mi avviai deciso verso mia madre che continuava ad agitarsi indaffarata ai fornelli della cucina e le dissi: "TU! Se questa volta ti azzardi a non appoggiarmi contro quella strega della tua amica giuro che me ne vado e di me non verrai mai a sapere ne se sto vivo o se sto morto!".

A quel punto mia madre mi chiese spiegazioni e raccontai i fatti accaduti tra lacrime e singhiozzi. Miracolosamente, mio padre, che di solito se ne stava in disparte in queste occasioni aspettando prima di vedere la reazione di mia madre, trovò il coraggio di parlare rivolgendosi a mia madre e dicendole con il suo solito modo pacato che la sua amica era scema e che un insegnante non poteva permettersi di umiliare così un ragazzino davanti a tutta la classe. Ancora più straordinariamente, mia madre concordò con mio padre, anche se, credo che lo fece più per difendere il proprio orgoglio piuttosto che per solidarietà con me e mio padre, dato che subito dopo aggiunse col suo tono superbo:" Questa cretina come si permette di dare del ladro a <<Mio Figlio!!!>> in pubblico. Ora la chiamo e le faccio vedere io".

Il ragazzo dal pianoforte biancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora