Capitolo 1° REVISIONATO

677 46 28
                                    

"Nessun destino è scritto, esso può essere cambiato in base a ciò che facciamo, a ciò che decidiamo, a ciò che lasciamo, a ciò che rinunciamo e a ciò per cui lottiamo." Anonimo

Tempo fa lessi questa frase da qualche parte e mi convinsi che quelle parole fossero vere. Fino a quel giorno ero convinta che fossi io la padrona della mia vita e invece era tutta una bugia. Tutti mi conoscevano col nome di Isabel e vivevo a Mar del Plata con i miei genitori, con cui non avevo più rapporti dal giorno in cui, in un brutto incidente, morì mio fratello, Manuel. Andammo al concerto del nostro cantante preferito e al ritorno, un ubriaco, ci tagliò la strada e quando mi risvegliai in ospedale, dopo due giorni di coma, lui non c'era più, solo il vuoto. Da quel giorno mi chiusi in me stessa e pur vivendo sotto lo stesso tetto, facevo finta di non esistere. Quando loro rientravano, io uscivo, quando loro andavano a dormire, io rientravo, ma magari era solo una mia precauzione, se così si può chiamare. Tutto questo è dovuto al fatto che mentre ero in ospedale, in stato di semi-coscienza, sentì dire a mio padre di non volermi intorno per non dover guardare quella figlia ingrata che Dio non aveva voluto prendersi al posto del suo caro figlio, ed io, dal canto mio, preferivo così, anche se faceva male. L'unica cosa che mi dava sollievo in quella casa era la mia musica. Il mio pianoforte. Lo suonavo da sempre, non ricordavo nemmeno dove e quando avessi imparato, nonna diceva che avevo un talento naturale. Quando non ero a casa, andavo in uno dei miei posti preferiti: la spiaggia, dove mi perdevo e mi lasciavo cullare dal rumore e dal movimento dolce delle onde, e nel parco vicino casa, un ampio viale di pini con degli spazi verdi dove ci si poteva sdraiare, fare picnic o semplicemente osservare il mondo da ogni angolazione, dove le famiglie andavano a fare una passeggiata la domenica, o portavano i loro bambini durante la settimana per farli giocare. Era un sabato pomeriggio di maggio e mi trovavo proprio lì, ad aspettare l'amore della mia vita... sì, perché anche se la mia vita faceva schifo, mi aveva comunque fatto un dono davvero speciale, il ragazzo più bello e dolce del mondo: Ryan.

Ryan era il mio migliore amico, una persona su cui contare in qualsiasi momento, che splendesse il sole o che crollasse il mondo, ed era l'unico ragazzo, che io abbia mai conosciuto, che si sia interessato realmente a me. Il tipico bel ragazzo: alto, occhi azzurri, capelli biondi, abbastanza abbronzato e sorriso mozzafiato. Aggiungo anche dolce, simpatico, unico e gioca a basket. Come si fa a non innamorarsi di uno così?

- Ciao amore, scusa per il ritardo, gli allenamenti sono durati più del previsto. -Mi diede un bacio.

- Non preoccuparti non è molto che aspetto, e poi lo sai che mi piace osservare il mondo intorno a me. - Sorrisi come sempre quando stavamo insieme.

- E cosa vedi in questo tuo mondo?

- Genitori felici con figli felici, cani felici con padroni felici. E poi nulla le solite cose, il cielo, le nuvole, il sole, gli alberi. E... TU!! - Sorridevo ancora mentre gli restituivo il bacio.

- Uhm sarà meglio per te che sia così - lo disse con quel suo modo scherzoso di sempre - Allora cosa ti va di fare oggi?

- Non lo so, pensavamo, insieme agli altri, di andare al cinema e poi andare a mangiare qualcosa, ma se non ti va posso dirgli che per oggi passiamo e stiamo un po' insieme solo io e te. - Dimenticavo, "gli altri" erano i nostri amici, i miei e i suoi fusi insieme, nel senso che almeno due delle mie migliori amiche davano del filo da torcere a due dei suoi migliori amici e loro le lasciavano fare.

- No, va bene. Lo sai che mi piace stare in compagnia e poi se ci sei anche tu non ho nulla da obiettare. - Mi fece l'occhialino.

Stare con lui era sempre così, tutte moine e sorrisi. Quando stavo con lui mi sentivo almeno un po' normale, ma sapevo che nulla era normale nella mia vita. I miei non mi parlavano, mio fratello era morto, e come se non bastasse la mia unica e cara nonnina, che viveva in Italia e che veniva a trovarci due volte l'anno, ma ci sentivamo sempre, credeva di essere una qualche specie di oracolo, o qualcosa del genere. Ero cresciuta con le sue profezie, come le chiamava lei. Era una sorta di veggente, sapeva sempre cosa stava per succedere, ma lo diceva solo dopo che accadeva. Per lei ero speciale, mi diceva sempre che Dio aveva grandi progetti per me, e fino ad ora non gli ho mai dato peso. Per lei tutti erano speciali in un modo o nell'altro.

- Ehi? Terra chiama El. C'è nessuno in ascolto?

Che stupida che ero! A quei tempi mi perdevo spesso tra i miei pensieri e talvolta non mi accorgevo se le persone mi stessero parlando e cosa dicessero. Cosa stava dicendo? Parlava di una gita, una barca o qualcosa del genere.

- Ehm si scusa, dicevi? - Mi sentivo in imbarazzo, avevo appena fatto la figura della "tonta".

- Isabel cosa c'è? Ti vedo un po'... strana. Ti stavo parlando e non hai ascoltato nemmeno una parola. Ho detto qualcosa che ti ha dato fastidio? Cosa succede?

Mi ritrovai con i suoi grandi occhi azzurri a guardarmi con fare interrogativo. Non sembrava arrabbiato, solo preoccupato come sempre quando si trattava di me e delle mie stramberie.

- Nulla. Non preoccuparti. Stavo solo pensando a mia nonna, mi sono distratta un momento e non ho sentito quello che mi dicevi. - abbassai lo sguardo imbarazzata. - Allora dicevi?

Mi guardò di sottecchi, ma durò solo un momento, poi il suo viso si rilassò.

- Ti ho chiesto se domani ti andava di fare un giro in barca con me - mi sembrava di vedere il rossore sulle sue guance.

- Sì, per me va bene. Domani mattina ho lezione di piano, ma nel pomeriggio dovrei essere libera. Ci possiamo vedere da me o direttamente al molo.

- Ok a questo ci pensiamo domani, adesso andiamo siamo già in ritardo e i ragazzi si arrabbieranno di sicuro. - come se mi importasse il fatto che loro si potessero arrabbiare, ma comunque non dissi nulla.

- Va bene andiamo. - Si alzò e tese la sua mano grande e calda verso la mia. La strinse e mi aiutò a sollevarmi, poi mano nella mano ci avviammo.

Il tragitto fu lungo e a volte, forse spesso, molto silenzioso. Nessuno dei due sembrava avere qualcosa da dire, ma in fondo non aveva molta importanza, a me bastava solo la sua vicinanza per stare bene e fino a quel momento sentivo che niente potesse turbare o far vacillare tutto quello che provavo per lui e che avevamo costruito insieme, almeno fino a quando non la sentì per la prima volta. Una voce. La sua voce.

"TI STO ASPETTANDO."

- Cosa? Hai detto qualcosa? - Chiesi a Ryan che mi guardò inebetito.

- No Isabel, non ho detto niente. Sei sicura di sentirti bene?

- Si si, sto bene. Devo essermi distratta di nuovo e mi è sembrato che qualcuno mi stesse parlando. Che sciocca pensavo fossi tu!

- Uhm. Sei proprio sicura che non vuoi che ti riaccompagni a casa? Mi sembri stanca. - Insistette ancora, il suo sguardo preoccupato e scrutatore.

- No no, sto bene davvero. Non farci caso avrò iniziato a sentire le voci come mia nonna. Chissà magari era un angelo. Dai andiamo sennò questa volta ci uccidono davvero. - lo guardai e, per rassicurarlo, feci il sorriso più forzato che potessi mai fare.

Per tutto il tempo feci finta di niente, ma continuavo a credere di aver sentito davvero quella voce, che non fosse solo la mia immaginazione. E nell'istante in cui lo pensai, ebbi un strano presentimento, qualcosa di brutto o di inaspettato, qualcosa che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite, la mia vita, stava per accadere. Non glielo dissi. Come potevo dirglielo senza fare la figura della stupida e senza farlo preoccupare?

A Secret Inside Me (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora