Chapter 15.

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Quando arrivai sul Carpathia, diedi le mani a due uomini vicino a me e, faticosamente, ci salii sopra.
Non riuscivo a reggermi in piedi così caddi addosso ad una persona.
Fortunatamente poco dopo mi ripresi e mi misero altre mille coperte addosso.
Mi diedero anche una tazza di Té bollente e questo servì a farmi riscaldare un pochino.
Ma tanto, oramai, il freddo non lo sentivo neanche più perché mi ci ero abituata.
Sul Carpathia vidi donne disperate, bambini piangere per i loro papà e altre donne cercare i loro mariti sulla lista passeggieri.
Il colonello e sua moglie si erano salvati, anche quel coglione del Sg. Ismay se l'era data a gambe levate.
Girava voce che fosse stato lui a convincere il capitano ad aumentare la velocità della nave per finire in prima pagina arrivando in anticipo a New York.
Be', complimenti sg. baffetto, ce l'hai fatta a far finire il Titanic in prima pagina.
Tutti lo guardavano male e inorriditi, avrebbe dovuto avere almeno le palle di uccidersi, come avevano fatto il Capitano o il Sg. Andrews.
Mi si strinse forte il cuore ripensandolo, mi stava simpatico lui.
Andai a sedermi sopra ad una panchina, piena di coperte pesanti.
Avevo ancora quella vestaglietta per andare a dormire.
E indossavo ancora il cappotto di quel coglione di Caledon.
Proprio in quel momento, con la punta dell'occhio lo vidi dietro di me che mi stava cercando.
Aveva confuso una rossa per me.
Feci il più possibile per nascondermi e alla fine lui non mi vide.
Fu l'ultima volta che lo vidi, e ne ero contenta.
Vidi anche mia madre che mi stava cercando, ma non mi feci riconoscere nemmeno da lei.
Non volevo tornare a viverci insieme, le volevo un briciolo di bene solo per il fatto di avermi messa al mondo.
La sera, arrivammo finalmente al porto di New York.
Pioveva, ma non me ne fregava niente della pioggia, anche se di acqua ne avevo presa già abbastanza.
Me ne stavo lì impalata ad ammirare la statua della libertà.
Mi sentivo un po' come lei: finalmente libera da tutto.
Finché un uomo non mi disse qualcosa.

"Mi scusi, mi puó dire il suo nome perfavore?" Era un agente del Carpathia che doveva scrivere il mio nome sulla lista passeggieri.
DeWitt Bukater era un cognome troppo lungo e disgustoso, mi ricordava la mia vecchia vita passata nella sofferenza.
Decisi di portare il cognome di Jack, che mi mancava tantissimo.

"Dawson." Risposi, poi girai la testa di nuovo verso la statua della libertà.

"Rose Dawson." Dissi anche il mio nome, e lui mi ringraziò andandosene.
Quel nome segnava l'inizio di una nuova vita, speravo di passarla nella serenità e nella felicità, anche senza Jack.
Gli dovevo un mondo per avermi salvato da tutto ció che mi circondava, anzi, l'intero universo.
Era strano stare senza di lui, non averlo più accanto, non accarezzare più quei capelli biondi o non vedere più quegli occhi color oceano.
Ma più che strano, era doloroso.
Doloroso sapere che non avrei mai più vissuto quei momenti, che non saranno mai rimpiazzati con nessun altro uomo.
Era doloroso sapere che non ci potevo più parlare, non potevo averlo accanto quando dormivo, non potevo più sentire la sua pelle o la sua risata.
Non avrei mai più potuto affogare nelle sue braccia...
Ed ecco che arrivavano di nuovo le lacrime.
Ma per fortuna, a non farle scendere, fu il contatto della mia mano con un altro oggetto.
Era nella tasca, e sembrava una pietra.
Una pietra gelata e un po' bagnata, non riuscivo ad identificare quale forma potesse avere.
Toccai anche il contorno, che aveva una collanina fatta di pietruzze.
Lo tirai fuori e vidi quel diamante.
Il Cuore Dell'Oceano.
Ci rimasi sbalordita, mi ero completamente dimenticata di quel diamante.
E poi come facevo ad averlo io?
Poi mi venne in mente il cappotto di Caledon.
Ce lo aveva lui nel cappotto e me lo aveva dato senza che io lo sapessi?
Ma come facevo ad essere così sciocca.
Quel bastardo non me lo avrebbe mai ceduto, anche se me lo aveva "regalato".
In realtà doveva essere suo e basta.
Ma quello stupido si era dimenticato di toglierlo dal cappotto, ora non sapevo cosa farci.
Non volevo venderlo, perché sapevo che se lo avrei fatto mi sarei ricordata per sempre di Caledon.
E poi, non volevo ricadere in quella sofferenza: la cosa più brutta dell'essere ricca era essere così povera.
Ma non dovevo assolutamente farlo sapere a nessuno.
Scesi dal Carpathia e mi ritrovai in America, un'altra volta.
Non sapevo cosa avrei fatto o dove sarei andata, forse avrei fatto la vita di Jack.
E avrei imparato a dare valore ad ogni singolo giorno, come faceva lui.
Ma, forse non sarebbe stato esattamente così.
Frugando in quel cappotto, trovai anche tantissimi soldi.
Quel bastardo si era preso il Cuore Dell'Oceano e tantissimi bigliettoni dalla cassaforte.
Usai quei soldi per prendermi un appartamento e qualcosa da mangiare, ma il Cuore Dell'Oceano non volevo assolutamente venderlo, non dopo tutti i ricordi e le emozioni che avevo passato insieme ad esso.
Le giornate passarono, trovai lavoro come commessa in un negozio di vestiti di alta moda.
Vedevo entrare delle donne super ricche che ogni giorno si compravano mille vestiti.
Un po' come facevo io, soltanto un paio di mesi fa.
Mi sembrano passati anni, e invece straordinariamente mi ero liberata da tutto quello, grazie a Jack.
Jack.
Mi mancava così tanto, io vivevo solo perché glielo avevo promesso, non per altro.
Il mio cuore batteva solo e unicamente per lui, ma non ero felice.
No, non lo ero per niente.
Avevo sempre lo sguardo perso nel vuoto, e quando tornavo a casa dopo il lavoro scoppiavo in lacrime nella mia piccola stanzina.
Non frequentavo più nessun uomo, non avevo amici e non riuscivo a socializzare.
Uscivo solo per andare al lavoro e per andare a fare la spesa.
Avevo gli occhi spenti, un'altra volta.
Ma sapevo che dovevo andare avanti, sposarmi, avere bambini e vivere felicemente come avevo promesso a Jack.
Ma non era così semplice, ero ancora psicologicamente shockata dall'affondamento della nave, e non potevo permettermi uno psicologo, i soldi che guadagnavo mi bastavano a malapena per mangiare.
Ricordavo ancora che scendevo verticalmente, tenevo le mani strettissime al parapetto con Jack affianco, vedendo tutte quelle persone morire e la massa d'acqua che si avvicinava sempre di più a noi.
E poi boom, é successo quello che é successo.
Non potró mai dimenticare un'esperienza del genere.
Ti amo Jack, mi manchi tantissimo.
Ti vorrei qui con me in questo terribile momento.
La testa mi scoppiava, non capivo più niente.
Molto spesso mettevo in soqquadro l'intera casa, buttando oggetti di qualsiasi tipo, e poi mi toccava ripulire tutto.
Ma in qualche modo mi dovevo sfogare.
Non avevo nessuno, neanche un'amica, con cui poter parlare, perché in America non conoscevo nessuno e non riuscivo a socializzare.
Ogni sera ammiravo quel diamante, e ogni volta mi ricordavo quando Jack mi aveva fatto il ritratto con solo quello addosso.
Ricordavo ancora la sua espressione arrossata, il ciuffo biondo che gli cadeva davanti agli occhi azzurri.
Era adorabile e bellissimo.
Lo riposi nel posto più segreto della casa, e mi addormentai con le lacrime agli occhi, come ogni sera.

Nota dell'Autrice.

Scusate il capitolo un po' corto, ma volevo avvisarvi che dal prossimo capitolo in poi inizieró a scrivere "il diario di Rose", un diario che scrive Rose a Jack in cui racconta tutto quello che vive dopo di lui.
Spero che l'idea vi piaccia,
Baci.

TITANIC. || Jose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora