Ritorno

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La mattina dopo la litigata con Jason non mi sentivo affatto bene. Avevo un po' di nausea e mal di stomaco, dovuti di sicuro al nervoso che non mi aveva abbandonato neanche durante la notte passata in bianco. In parole povere mi sentivo come se avessi passato le ultime dodici ore centrifugata dentro una lavatrice.

Per fortuna le lezioni che avevo quel giorno erano soltanto quattro, per cinque ore totali. Finii l'ultimo sorso di succo e lasciai il bar, poco distante dal college, per non rischiare di arrivare tardi al primo corso.

In corridoio incrociai Brian, che si precipitò all'istante da me con un sorriso teso. «Ciao, sorellina.»

«Ciao» ricambiai a mezza bocca.

«Ce l'hai anche con me?»

«Ovvio! Non so come ma, per colpa tua, la mia vita sociale è uno schifo. Anzi! Lo so perché: è perché non ti fai gli affari tuoi e sei troppo famoso.» Mimai le virgolette pronunciando l'ultima parola.

«Volevo solo darti una mano. Mi preoccupo per te.»

Sbuffai. «Ti picchierei se non sapessi che farei male alla mia stessa mano!»

Ridacchiò divertito. «Ti voglio bene.»

«Anch'io, ma fammi un favore: non cercare più di aiutarmi.»

«Va bene...» Il suo sguardo si posò su qualcuno alle mie spalle, a cui sorrise.

Mi voltai per vedere chi fosse e non mi stupii nell'incontrare gli occhi neri di Jason.

«Luce» salutò.

Mi voltai di nuovo verso mio fratello e lo ignorai. «Ciao. Ci vediamo.» Mi allungai appena sulle punte e gli lasciai un bacio sulla guancia, poi mi diressi in fondo al corridoio per entrare nell'aula di francese.

La mattinata passò in fretta e all'ora di pranzo non avevo ancora deciso se andare a mensa o mangiare in un qualche fast-food di zona. Alla fine decisi di mangiare un boccone al volo in mensa e filarmela il più velocemente possibile.

Quando finii di abbuffarmi con polpette e pasta, uscii dal complesso e mi diressi verso la biblioteca per prendere il libro che ci aveva consigliato l'insegnante di inglese. Stavo attraversando il giardino che si estendeva all'entrata del campus ma rimasi paralizzata. Tutto intorno a me si era fermato: non sentivo più le persone ridere; non vedevo più le coppiette camminare; non sentivo più il vento che mi accarezzava il viso. L'unica cosa che sentivo era il cuore contro le costole e l'unica cosa che vedevo era il sorriso smagliante del mio primo amore, in carne e ossa di fronte a me. Strabuzzai gli occhi un paio di volte, incapace di credere ai miei occhi.

«Ciao, Luce.» La sua voce mi riempì la testa.

«C-ciao... Che...?» Non sapevo neanch'io cosa dire!

«Come stai?»

«Bene, credo.»

«Avevo immaginato in modo diverso il nostro incontro.»

«I-io non so...»

«Nella mia fantasia t'immaginavo corrermi incontro e buttarti tra le mie braccia.»

«Lo farei se riuscissi... se riuscissi a riprendere possesso del mio corpo.»

Scoppiò nella risata cristallina che mi aveva fatto innamorare. «È bello rivederti.»

Mi tuffai tra le sue braccia e scoppiai a piangere, come se la consapevolezza che fosse davvero lì fosse esplosa all'improvviso. «Mi sei mancato» piagnucolai dopo qualche minuto di sfogo.

«Anche tu. Troppo.»

Sciolsi l'abbraccio, anche se a malincuore, e mi asciugai le lacrime con la manica della felpa. «Ti va un caffè?» Lui era un drogato di caffè!

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