Forse avevo sbagliato. Forse non ero io quella che doveva occuparsi di certe faccende. E la domanda si faceva strada nella mia testa mentre Malus mi mostrava il suo palazzo. «E qui abbiamo le cucine, luogo di servitù, non ti conviene venirci» disse. «Dove sono...» sussurrai. «Al piano di sopra invece abbiamo il salone e la sala da ballo e...»
«DOVE SONO?» strillai interrompendolo. In un attimo i miei occhi si colmarono di lacrime. «Voglio tornare a casa...» gemetti, ma lui parve non sentirmi. Sorrise beffardo, invece, e poi rise sommessamente: «non si torna più indietro principessa». Non resistetti più. Afferrai lesta la spada che portava al fianco e me la puntai alla gola, minacciando di togliermi la vita. Un gesto folle, ma non avevo altra scelta. Ero come Persefone nel regno di Ade: in trappola. L'espressione del ragazzo cambiò di colpo quando sentì il rumore sordo della lama estratta dalla guaina. Un sibilo metallico e affilato, sottile e seducente al tempo stesso. Avvertii il sapore del ferro sulle labbra asciutte. «Portami a casa» ordinai. Occhi castano chiaro mi fissavano silenziosi. Scesero lungo il mio collo. Forse vide la mia carotide pulsare a ritmo col cuore. Posò una mano sulla mia. Il metallo freddo di un anello che portava al dito anulare mi colpì subdolamente. Per un attimo credetti mi avrebbe aiutata a trafiggermi. Osservai intensamente le tende rosse che coprivano a volte quadri, a volte spesse finestre che davano su paesaggi inesistenti. Ero premuta contro un tavolino di mogano che ospitava un sontuoso e barocco vaso di ceramica. Quelli sarebbero stati gli ultimi oggetti che avrei visto, valeva la pena imprimerli a fuoco nella mia testa. «Ignes...» sussurrò. Non potevo credere che quello fosse il ragazzo di cui ero infatuata. Io, che ero l'esempio di integrità più valido di tutto il regno, ero stata davvero così sciocca? Ero caduta davvero in un affetto così fallace? Nei suoi occhi color nocciola brillava una luce che non riuscivo a decifrare. Con due dita prese la punta della spada e la allontanò con estrema delicatezza. Non osai oppormi: ero ipnotizzata. L'arma rimase a metà strada tra me e lui. Passò l'indice nel punto in cui era stata poggiata. Trasalii. Il polpastrello morbido tracciava una linea decisa e insidiosa. Deglutii. Poi chiusi gli occhi. Lui avvicinò la sua testa alla mia, senza mai smettere di guardarmi. Odorava di ginepro nero. Inalai quel profumo così pungente e vivo in mezzo a quella desolazione straziante, e chiusi le palpebre, in estasi. Volevo solo un contatto umano, un abbraccio, un segno di affetto. Perché mi ero messa in testa di aiutare mia sorella. Clhoe non aveva di certo bisogno del mio inutile aiuto. Lei era la guerriera perfetta, l'eroina. Lei era il generale che tutti rispettavano e temevano. Io la sorella d'intralcio. Io la limitavo. E la amavo troppo per impedirle di distruggere il nostro nemico, quello che ci aveva divise. Dovevo allontanarmi per permetterle di usare tutta la sua magia, tutto il suo potenziale. Doveva odiarmi, solo così avrebbe smesso di proteggermi. Solo così non le sarebbe più importato di spegnere una sorella ingrata. Avevo bisogno di aiuto, aiuto umano. E se Jackson, o quello che ora si chiamava Malus, era l'unico che potesse darmene un poco, lo avrei accettato. Avevo bisogno di morire tra le braccia di qualcuno. E quel qualcuno doveva impedirmi di tornare a casa e di fare invece ciò che era giusto. Giusto e doloroso. Cominciai a piangere senza rendermene conto, così gettò la spada a terra, lontano, e mi abbracciò. Non capii perché, lo accettai passivamente e basta. Le braccia di lui mi sorreggevano, pietose. Le mie erano inconsistenti, sbattute sui fianchi. Sentii il velluto della sua giacca contro la mia guancia, e il suo costato contro le mie lacrime. Mi afferrò la testa e asciugò la mia tristezza. «Posso aiutarti, Ignes» disse a bassa voce. Il suo volto non nascondeva la preoccupazione. Percorse con lo sguardo ogni mio dettaglio, ogni mia lentiggine, tanto che sembrava volesse tracciare una mappa delle mie gote. «Voglio aiutarti» si corresse. Non capii: «perchè?». Lui si morse il labbro. Aprì e richiuse la bocca più volte. «Non è importante» rispose infine. Non chiesi oltre, perché ero troppo stanca per questionare. «Ora devi riposare». Non parlammo più, mi accompagnò in una stanza buia e accese una gemma di luce. Mi mise a letto, un comodo e sontuoso letto a baldacchino, con tendaggi altissimi e costosissimi, nulla a che vedere con i veli leggeri di Castelcristallo. Mi rimboccò le coperte e uscì in silenzio.Nel buio, mi venne in mente la mia vecchia vita. E il mio vecchio nome. Dalila. Clhoe non lo conosceva, non glielo avevo mai detto. Quel nome mi ricordava un brutto periodo. Il periofo in cui ero scappata da Roccastrix ed ero tornata da Aura. Avevamo cambiato casa, e Floridiana ci aveva protette. Ma la mia identità era un peso. Così cambiai nome, e diventai la fata della luce, perché ce ne erano tante, e Aura stessa lo era. Niente fuoco. Nemmeno in casa. Non potei frequentare Corallorosa per questo. E poi è arrivata mia sorella, con la sua aura di potenza e cambiamento. Non mi sono mai sentita inferiore a lei, ma percepivo che gli altri lo pensavano. All'inizio l'ho odiata. La mia vita piatta era facile da portare avanti, e lei, la Suprema, mi stava trascinando in un vortice di responsabilità che non volevo avere, perché non ero mai riuscita a portarle avanti. Ma ai miei occhi lei non può essere invisibile, nemmeno quando fa l'incantesimo di trasparenza: io la vedo. Ha un potenziale illimitato, potrebbe mettere in ginocchio l'universo se volesse. Ma è così pura e leale che si è limitata per me. Ed è per questo motivo che mi trovavo in quella situazione così strana. Avevo ceduto i miei poteri cosicché lei fosse libera di usare tutta la sua magia, cosa che prima, per paura di ferirmi, non faceva. Il mio piano avrebbe funzionato, ne ero sicura: avevo lasciato il palazzo, lei sicuramente avrebbe pensato al tradimento e mi avrebbe odiata. Allora non le sarebbe più importato di spegnere il mio fuoco, non avrebbe pensato ai suoi limiti e avrebbe usato il suo potere in tutta la sua potenza, sconfiggendo Stria e liberando tutto il regno. Lei ci avrebbe salvato tutti, me in particolare: sarebbe stata l'ennesima volta. Avevo ancora tante cose da dirle, ma sapevo che non saremmo mai riuscite a vivere sotto lo stesso tetto per troppo tempo. Eravamo troppo diverse, troppo distanti. E ogni volta che provavamo a toccarci riuscivamo solo ad allontanarci ancora di più. Dovevo ancora dirle quanto bene le volevo, quanto mi facesse sentire a casa, in ogni posto, anche in guerra. Lei scagliava le frecce solo dopo averle passate a me. Le infuocavo, e insieme tenevamo lontano i nemici. L'avevo salvata anche io, non lo nego, ma nemmeno me ne vanto.
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L' Acqua e il Fuoco: Il Segreto Di Ignes
FantasySecondo libro della saga "L' Acqua e il Fuoco" «Puoi scegliere» mi disse mia sorella in tono serio «se salvare lei o lui». La guardai, i capelli ribelli che le ricadevano sulle spalle in volute arancioni. «Conosci il mio parere» aggiunse poi, porgen...