Capitolo 13

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Sulla soglia della porta di casa, mi chiesi se Christian fosse ancora lì o se se ne fosse andato.

Erano già le tre del pomeriggio ma speravo che fosse rimasto e che avremmo potuto passare il resto della giornata insieme, per recuperare tutto il tempo che avevamo passato lontani nell'ultimo mese. Allo stesso tempo, anche se facevo fatica ad ammetterlo, la sua presenza mi avrebbe rassicurata un pochino riguardo alla notte passata. Una parte irrazionale di me, temeva che per lui la notte precedente non fosse stata speciale come per me e che fosse stata una scopata come un'altra.

E, nonostante sapessi che non era così, perché si era preso cura di me subito dopo e aveva passato tutto il resto della nottata nel mio letto svegliandosi sempre lì quella mattina, non riuscivo a scacciare quell'odioso "e se.." dalla mia testa.

E se lui fosse rimasto deluso?

E se si fosse reso conto di non volermi veramente?

E se mi avesse lasciata?

Oh piantala!, mi rimproverai tirando fuori dalla borsa le chiavi di casa.

Mi aveva chiaramente detto di essersi reso conto di aver fatto un errore a lasciarmi andare e che voleva che restassi con lui e che, con lui, trovassi una soluzione perché potesse cambiare la sua vita. Finalmente ero riuscita a fargli capire che non era solo e che avrebbe potuto lottare per essere felice. Ed io avrei lottato con lui, perché la sua felicità, in questo momento, era la mia assoluta priorità.

Volevo che potesse essere felice, che risolvere i suoi problemi e riuscisse a diventare un pugile professionista (che nonostante non mi avesse detto che fosse chiaramente il suo obiettivo, avevo capito che fosse il suo sogno nel cassetto, in un certo senso. Era l'unica cosa che sapeva fare, come diceva lui, ed era anche maledettamente bravo a farlo, per cui sapevo che quella sarebbe diventata la sua carriera). Volevo che si liberasse del suo passato doloroso e che cominciasse un nuovo futuro.

Volevo che facesse tutto questo con me al suo fianco.

Si: probabilmente mi stavo innamorando di Christian Parker, detto KAYO.

Rovistai nella borsa alla ricerca delle chiavi di casa, e una volta trovate le inserii nella toppa e aprii.

Mossi i primi passi nell'atrio e tesi le orecchie nella speranza di sentire la voce del mio ragazzo.

- Davvero? - lo sentii chiedere dalla cucina.

E al solo suono della sua voce profonda e mascolina un grosso sorriso si formò sulle mie labbra, mentre mi precipitavo verso la cucina per accoglierlo.

Era rimasto!

- He..Mamma - mormorai.

Oh mio Dio.

Forse avrei dovuto chiedermi con chi diavolo stesse parlando ma ero troppo presa dalla mia nebbiolina di contentezza per pormi quella domanda fondamentale.

Ed ecco si, udite..udite: il mio ragazzo stava conversando con mia madre nella cucina di casa mia.

Si girarono entrambi verso di me, Christian seduto su uno degli sgabelli dell'isola e mia madre appoggiata al ripiano del lavello, e mi guardarono tranquillamente, come se la situazione in cui ci trovavamo non sembrasse affatto strana.

- Mamma? - ripetei.

- Si, tesoro. Sono io - rispose lei. - È così che mi chiami da quando hai cominciato a parlare.

Dio, aveva anche voglia di fare la sarcastica.

- Che cosa ci fai qui?

- Ci abito? Questa casa è intestata a me.

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