14. Love Day

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14.

LEXIE

Avevo completato il test, mi sentivo serena. Non era complicato come credevo, le domande erano chiare, le risposte essenziali, perciò era difficile che fossero sbagliate.
Però era dalla sera precedente che mi sentivo stordita, intontita.. Un po' persa. Avevo consegnato qualche minuto prima, così uscii dall'aula e approfittai per prendere un caffè. Incontrai Julie alla macchinetta, «ehy, amica che sparisce di continuo», salutò sorridendo. «Dobbiamo andare in ospedale vero?», chiesi retorica, inserendo le monete nella macchinetta. Misi il massimo dello zucchero per poi afferrare il bicchiere. «Già, sarà strano avere tuo fratello come capo. Cioè il mio ragazzo come capo», rifletté. Sentirglielo dire mi faceva ancora uno strano effetto, nonostante avessi saputo da sempre del loro ambiguo flirt. Avevano troppi anni di differenza allora, ma mio fratello ne era sempre stato cotto. Io da piccola ero abbastanza gelosa, ma adesso ero veramente felice per entrambi. Entrammo in ospedale con il gruppo di tirocinanti dopo aver indossato la maglietta blu con l'etichetta dei nostri nomi agganciata. Nella mia era scritto, "Alexis Cecilie Bristol", odiavo il mio secondo nome! Mi aveva sempre messo in imbarazzo.. Forse perché ogni volta pensavo alla nonna, che era praticamente sempre ubriaca. «Allora.. Il pronto soccorso è vuoto, per adesso. Morley ha l'appendicectomia da primo, perciò voi intanto.. Analizzate mia sorella», sentii alle mie spalle. Sussultai alla voce di Jonas e mi voltai. «Cosa?», allargai le palpebre. Che voleva dire con "analizzate mia sorella?" Scorsi lo sguardo verso coloro che mi apparvero specializzandi. Avevano il camicie celeste, Jonas lo aveva di un azzurro differente. Erano tre ragazzi e una ragazza, con occhi vispi, e che sicuramente non vedevano l'ora di usarmi come cavia. «Io sarei qui per imparare, non per farmi strumentalizzare da te», replicai contro mio fratello. «Ehm, no mia cara. Io sono il tuo capo adesso, fai ciò che ti dico io», disse, e poi baciò Julie sotto ai miei occhi. «Non puoi usare lei?», chiesi incrociando le braccia al petto. «Anche. Tutte e due. Visitatele, fategli qualche flebo.. Io ho da fare», si dileguò. Degli incapaci ci trascinarono in ambulatorio, Julie era entusiasta mentre io per poco non mi addormentavo sul lettino. «Mmh, allora», uno di loro si grattò la fronte, non avendo la minima idea di come si usasse un fonendoscopio. Mi stava cercando il cuore con l'attrezzo da un'ora, ma con scarsi risultati. Anche un bambino sa dove si sente il battito cardiaco! Lo puntai a destra, e poi lui mi posò praticamente la mano sul seno. «La smetti di palparmi?», lo rimproverai. Tolse subito la mano. «Be'.. Io stavo, insomma stavo..» Sentii un risolino provenire da dietro la tendina. «Un paio di tette e non ci capisci più niente, Bob», sentii dire da una voce familiare. «Liam?», domandai. Qualcuno spostò la tendina che ci divideva di scatto, e poi lo vidi con un bracciale emostatico in mano, mentre Julie sedeva sul lettino. «Ti sei ricordata come mi chiamo», sorrise sorpreso. «Perché vi conoscete?», chiese lei curiosa. «Lunga storia», tagliai corto, per arrivare al sodo. «Stai studiando alla Kingstom?», domandai. «No, alla Columbus.. Anche noi facciamo il tirocinio qui», spiegò. «Sai qualcosa riguardo a tuo padre e l'Università?», chiesi. «Sì. In realtà stanno fondendo la Kingstom con la Colombus per prendere uno dei due istituti», rispose. «Okay, grazie dell'informazione», dissi io. «Scusa, per prima. Non sapevo fossi tu», sorrise a disagio e si grattò il dorso del collo. Julie lo scrutò attentamente. «Ci hanno detto che ti possiamo fare una flebo», disse un biondino ramato con l'eccitazione che scintillava negli occhi. «Saprei farmela meglio da sola, piuttosto che fatta da voi», rimbeccai acida. «"Alexis Cecilie Bristol"», lesse dal cartellino. «Alexis può bastare», replicai. «Perché non ti fai fare le analisi del sangue. Avevi così tanta paura di essere incinta», suggerì Julie con alto tono di voce. «Tu sei matta, stai zitta», la sgridai in imbarazzo. «Non sono incinta», affermai. Il biondino mi legò un bracciale emostatico sul braccio, «vediamo subito», disse assetato di sangue. Invidiavo la loro voglia di fare. Prese la vena con l'ago, e infine mi fece quell'inutile prelievo. «Analizzarlo costerà. Almeno è stato divertente», commentò mettendomi un cerotto. «Che? Tu sei pazzo, ora le analizzi», dissi tanto per principio. «Costa, mia cara», precisò sollevando gli zigomi. «Se vuoi analizzarle..», sussurrò, avvicinandosi al mio orecchio. «Devi corrompere Parker», indicò un infermiere dietro al bancone. Aveva un aspetto preciso ed austero. Dentro di me qualcosa mi diceva di dover fare analizzare quel sangue a tutti i costi, così mi chiesi cosa avrei dovuto fare per persuaderlo. «A quello basta flirtare un po' in genere», assottigliò lo sguardo in due fessure. Presi il campionino del mio sangue dopo che era stato imbustato e discretamente mi avvicinai allo sportello. Lui sollevò lo sguardo dandomi una rapidissima occhiata, per tornare a fissare il monitor. Passò un secondo esatto, sembrò immaginarsi ciò che aveva appena visto nella mente, e decidere di degnarmi della sua attenzione risollevando gli occhi. «Ciao», cinguettai, giocando con una ciocca dei miei capelli. «Splendore», ammiccò con un sorriso da un orecchio all'altro. Ricambiai con un sorriso smielato, «me le faresti analizzare, presto?» Sospirò e storse il naso. Si guardò rapidamente intorno e poi afferrò la bustina di plastica  furtivamente. «Solo perché sei carina», precisò, leccandosi il labbro inferiore. Feci un sorriso che parve probabilmente una smorfia a causa del disgusto. «Segnala per Jessica Bristol, per piacere.» «Come vuoi. I risultati tra un giorno te li faccio avere.. Vieni qui, di mattina», mormorò. «Va bene, grazie», mi allontanai, ma quella frazione di secondo gli bastò per afferrarmi il polso. Non era una presa chi sa quanto forte, ma mi colse alla sprovvista. «Hai voglia di uscire? Questa sera?», domandò. «Ehm, magari la prossima..», scappai via e tornai da quel gruppetto di medici inesperti. «Hai risolto?», chiese Liam, mentre mi risedevo sul lettino. «Sì», dissi, prima che uno specializzando mi aprì la bocca per controllarmi le ghiandole. «Hai la gola arrossata», constatò. Presi uno specchietto per controllare; perfettamente sana. Ma dove avevano studiato? «Non direi», sopraggiunse un altro schiarendosi la voce. «Vado a prendermi un caffè.. Voi siete inutili e qui non c'è nessuno», preannunciai alzandomi in piedi. «Vengo con te», disse Liam. Mi seguì fino alla macchinetta, e poi inserì una moneta prima che potessi farlo io. «Non serviva», sorrisi. «Volevo essere gentile», puntualizzò. Cliccai il terzo bottone, mettendo come al solito il massimo dello zucchero. Dopo che ritirai il bicchiere ne prese uno anche lui. «Allora, come ti va la scuola?», domandò, sulla strada del ritorno. «Bene», sorseggiai, «abbastanza bene. E a te?», chiesi. «Sì abbastanza bene anche a me, tranne per chimica», rivelò. Sorrisi, «chimica?» A me sembrava l'unica materia semplice. «Sì.. Chimica. Non la so proprio fare», ridacchiò. «Sei al terzo anno?», domandai, bloccandomi in mezzo al corridoio per prendere un po' di sosta. Ero stanca di fare da cavia. «Secondo», rispose sorseggiando. «Stai per tornare a Los Angeles?», chiesi, tanto per conversare. «No, mio padre lavora qui stabilmente adesso.. Quindi..» «Chiaro», lo interruppi. «Ma..», sembrava stesse per farmi una domanda ma poi si interruppe senza ragione evidente. «Ma?» «No, niente.. Abiti nel dormitorio femminile?», chiese. «No, abito con Jake per il momento», risposi. «Ah, state insieme? Cioè coppia fissa?», domandò imbarazzato. «Sì, perché?», mi accigliai. «No, così, per sapere..», abbassò gli occhi castani.

Amami nonostante tutto 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora