7. Dreams

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7. Sogni.

«No! Jonas se scopre che ho rotto il piatto se la prenderà con me, lo sai!», sussurrai, nascosta dentro all'armadio. «Ma dobbiamo andare, è l'ora di cena. Si arrabbierà lo stesso», mormorò tentando di convincermi, e afferrandomi il polso. «La mamma mi odia, lo sai. Lasciami stare qui», supplicai, liberandomi dalla sua stretta e tornando ad entrare in quel piccolo angolo. La porta si spalancò, il mio cuore prese a tamburellare fortissimo, e strinsi i denti. «A tavola!», strillò lei, nervosa e arrabbiata come sempre. Palpitai, mentre sentivo i suoi passi farsi vicini. «Alexis, cosa fai là dietro?», chiese giungendo difronte ai miei occhi. Mi mangiucchiai le unghie, sapendo che non me l'avrebbe fatta passare liscia. «Io.. Mi dispiace.. Non l'ho fatto apposta. S-scusa mamma», balbettai terrorizzata. «Ho rotto il piatto della nonna mentre giocavo a calcio», intervenne Jonas. «Quante volte vi ho detto di non perdere tempo con quelle stupidaggini, eh?», strillò contro di lui, e gli tirò un forte ceffone in faccia. Jonas si premette la mano sulla guancia dolorante, e vidi i suoi occhi azzurri riempirsi di lacrime. «E ora muoviti. Di sotto, dobbiamo mangiare», lo strattonò per la maglietta fino alla porta. Mi sentivo male per il mio fratellino, che non aveva fatto niente, che si era preso la colpa al posto mio. Ma la mamma era stata buona, gli aveva solo dato uno schiaffo. Lei diceva che era clemente, quando faceva solo quello. C'erano volte però, in cui la tua giornata si trasformava in un incubo. Poggiai il piede a terra, e mi rimisi in piedi, ancora tremolante. «E tu, oggi non ceni. Vai a letto», ordinò trascinandomi per una delle mie trecce fino al letto. L'acqua si accumulò ai miei occhi. «Mamma le stai facendo male», disse Jonas, strattonandole il braccio. «Non ha fatto niente, ho rotto io il piatto», disse lui ancora. «Non immischiarti!», gridò. «Stai zitto!», bisbigliai io. Non potevo resistere nel vedere mio fratello punito per colpa mia, un'altra volta. Eppure sapevo che se avessi confessato di aver rotto io quel piatto della nonna, le punizioni sarebbero state molto peggiori. Lei ce l'aveva con me, in particolare modo. Mi chiusi sotto alle coperte, nonostante avessi un buco nello stomaco per la fame. «E smettila di piangere, la mamma è tanto buona con te lo sai?», disse ancora, prima di uscire dalla porta stringendo il polso di Jonas. «Che succede?», sentii la voce lontana di papà nel piano. «Niente Richard. Andiamo a mangiare, Alexis non si è comportata bene». «Ma non può non mangiare ogni giorno papà! Fa qualcosa!», disse Jonas, e sentii le lacrime scendermi sul volto. «Sono stanco. Ho lavorato per quarantotto ore di fila.. Non ho tempo per queste sciocchezze.»
Riaprii le palpebre, era un sogno, un brutto sogno. Vidi il cielo
blu scuro e uno spicchio di luna risplendere. Mi accorsi che stavo piangendo e asciugai il volto con le mani, imponendomi di riaddormentarmi. Sentivo il suo respiro dietro di me, sulla mia schiena. Era regolare e fresco, mentre mi trovavo su di un fianco, con il suo braccio posato sulla mia vita. Ripresi sonno dopo poco tra le sue braccia calde e possenti. Mi svegliai nella stessa posizione, lui ancora dormiva sulla mia spalla. Mi voltai e si appoggiò al cuscino, con le spalle sul materasso, mentre io lo osservavo. Era bellissimo. Persi lo sguardo verso il petto nudo e gli addominali perfettamente scolpiti. Premetti le mie labbra sulle sue, delicatamente. Non si svegliò. Sfiorai con le dita il torace, ma in risposta notai solo il suo respiro farsi più irregolare. Accavallai una gamba sul suo fianco, e mentre dormiva notai che si eccitò. Sorrisi e mi
posizionai a cavalcioni su di lui. Sentii il suo rigonfiamento tra le mie cosce, mentre mi avvicinavo nuovamente alle sue labbra. Era così piacevole quella sensazione. Ansimai, e poi lo baciai. Solo allora aprì gli occhi, e dopo qualche secondo sorrise. «Questi sì che sono bei risvegli», disse assonnato, prima di baciarmi posandomi le mani sul viso, che scesero lentamente. Mi accarezzò sul seno, e venni percorsa da un fremito, non trattenendo un piccolo gemito. Scese sulla vita, e poi sui fianchi. Mi premette contro di se, e sentii quanto fosse affannoso il suo respiro. Deglutì, mentre posavo una mia mano sul suo petto. «Sarà difficile aspettare», boccheggiò. Sorrisi avvicinandomi alle sue labbra. Mordicchiò quello inferiore, e poi mi rimisi in piedi. «Sono le sei», mugolò nascondendo il volto sul cuscino, dopo aver dato un'occhiata all'orologio sul suo polso. «È tardi!», dissi agitata, spedendomi verso il bagno. Mi buttai in doccia in fretta, dopo aver sfilato il vestito della scorsa serata e la biancheria. Parte della mia roba era rimasta lì: spazzolini, struccanti, biancheria e qualche vestito. Sentii che si lavò i denti mentre io mi insaponavo, e infine mi sporsi per prendere un asciugamano. Mi bloccò il polso con la mano, ed io sorrisi. «È tardi», bofonchiai, prima che mi stampò un bacio sulle labbra. «Non ti devi vestire per forza», ammiccò, con quel suo sorriso affascinante, a cui resistevo poche volte. «Così Matt avrebbe un'altra occasione per vedermi senza vestiti», scherzai, e notai la riluttanza nella sua espressione, che mi fece ridacchiare. Mi mollò il polso, e mi legai l'asciugamano attorno vittoriosa. Lavai i denti, e lui entrò in doccia. Mi asciugai, mi vestii, anche se c'era un piccolo problema. Non avrei messo dei tacchi a spillo di prima mattina. «Jake!», lo chiamai mentre mettevo in borsa quelle scarpe e il vestito della sera precedente. «Sì?», giunse dal bagno con un asciugamano legato sulla vita. «Non ho le scarpe», borbottai, mettendomi quella borsa in spalla. Inoltre indossare i tacchi con quei fantasmini rosa ai piedi probabilmente era illegale, oltre che osceno. «Ti porterò in spalla», disse dirigendosi verso l'armadio. Lasciò cadere l'asciugamano, permettendomi di vedere il perfetto fondoschiena. Le mie labbra si schiusero, e poi si infilò in modo disinvolto quei boxer Calvin Klein. Mi mordicchiai il labbro, avevo il ragazzo più bello e sexy del mondo cavolo! Come potevo essere stata così sciocca? E mi amava, infinitamente. Venni percorsa da un'ondata di entusiasmo. Si infilò i jeans, le scarpe, e abbottonò la camicia, tutto sotto ai miei occhi adoranti. Mi alzai in piedi, e lo circondai con le mie braccia. Mi misi sulle punte dei piedi per lasciare dei piccoli baci sul suo collo. La sua pelle era piacevolmente calda da sfiorare. Si voltò, e mi prese la vita tra le mani prima che finissi con le spalle contro l'anta dell'armadio. Sfiorò le mie labbra con le sue, e lentamente e dolcemente insinuò la sua lingua nella mia bocca. Gemetti dal piacere, mentre gli premevo la mia mano sul petto. «Ti amo», sussurrò, mentre i nostri respiri si erano fatti più affannosi. «Ti amo anche io», mormorai, ed un sorriso poco marcato mi nacque sulle labbra. Intensificò il bacio mordicchiandomi quello inferiore, e facendomi rilasciare un altro gemito. «Andiamo», incastrai le mie dita alle sue, per poi accompagnare la sua mano sulla mia schiena, e facendola scendere fino al suo fondo. Premette la mano di più, e poi sorrise baciandomi ancora. «Lo dici sempre sul più bello», commentò sghembo, beccandosi una brutta occhiata. «Quindi il più bello sarebbe quando mi tocchi il sedere e non quando mi baci?», insinuai, fingendomi più irritata di quanto non fossi. «No.. Ovvio che no.. Dicevo solo che.. Insomma..», farfugliò in modo tenero, ed io non trattenni una risata. Mi lanciò un'occhiata offesa e divertita, prima di stringermi più forte la natica. Rilasciai un gemito di dolore mischio a piacere, ed infine lo spinsi via di qualche centimetro colpendogli le spalle. Ridacchiò, e mi accarezzai la parte dolorante. «Mi hai fatto male, stupido», mugugnai, e mi posò entrambe le mani nel punto dove i glutei si congiungevano alle cosce, per poi sollevarmi da terra. Mi ritrovai sulla sua spalla, un po' scomoda, mentre percorrevamo il corridoio del piano superiore. «Fai piano, non svegliare nessuno», mormorai. Scese di sotto, e mi scaricò nel sedile posteriore dell'auto. Tornò qualche minuto dopo con una valigia che caricò nel bagagliaio. Montò al volante e mi passò un succo alla pesca. «Grazie», sorrisi dolce, e mi guardò per un lungo istante. «Che c'è?», mi accigliai, dopo aver tirato su rumorosamente con la cannuccia. Me lo strappò via, sotto ai miei occhi interrogativi e alle mie mani a mezz'aria. Emise un gemito di voglia, come se mi volesse mangiare di baci, e infatti subito mi trascinò sulle sue gambe e mi baciò. Con le mie circondai la sua vita, mentre intrecciavo le mie dita ai suoi capelli. Lo baciai di più, lasciando che le nostre lingue si sfiorassero. «Alexis», mi chiamò, come faceva raramente. «Che c'è?» «Ti amo», disse guardandomi negli occhi, e una forte emozione mi fece ballare il cuore nel petto come se fosse la prima volta che glielo sentivo dire. «A-anche.. Io», tentai di sillabare qualche parola mentre mi baciava in modo trasportante. «Perderemo il volo», bofonchiai, e sbuffò. «Riprenderemo in aereo», ammiccai, rimettendomi sul sedile accanto. «Se non ci siederà accanto qualche decrepito che russa», disse lui e ridacchiai. «Si chiamano anziani, Jake», dissi con tono rimproverevole e sorrise mettendo in moto. «Gli anziani sono quelli simpatici, la tua vicina è una vecchia stronza», sputò senza pietà. Cercai di rimanere seria, ma mi scappò da ridere. «Smettila di far finta di essere crudele», dissi io. «E chi finge», strinse l'occhio, prima di uscire dal vialetto. Scossi la testa disapprovata. «Cazzo! Julie e Simon, si sono lasciati!», quasi strillai, dell'angoscia mi divorò lo stomaco. Era la mia migliore amica, e l'avevo del tutto ignorata. Avevo dimenticato quell'avvenimento! «Che vuol dire che si sono lasciati?», allargò le palpebre. «Lui, flirtava con quella Lola!», dissi disgustata, e non mostrò un minimo di stupore. «Lo sapevi?», mi accigliai. «Più o meno», borbottò, temendo una mia reazione. «..Gli ho detto di comportarsi bene. Ma non posso fargli da baby sitter», disse, ed io sospirai con pesantezza. «È un idiota. Lo odio», borbottai mentre la strada alberata mi scorreva sotto agli occhi. Accostò sotto casa mia, in modo che potessi prendere la valigia che avevo preparato il giorno precedente. Salii in fretta nell'appartamento, e non appena valcai la soglia mi si presentò la scena più impensabile che mi si potesse presentare. Julie si stava sbaciucchiando con un ragazzo, che non era Simon. Era Drake! Che schifo! Mi portai le mani sugli occhi. «Ma non eri gay? Cazzo, dovete dirmele queste cose!», gridai, non nascondendo il disgusto. Scoppiarono a ridere. «Non ci stavamo baciando, stupida», disse Drake, divertito. Spostai le mani da difronte i miei occhi, e vidi che le stava semplicemente ritoccando le sopracciglia con delle pinzette. Sospirai di sollievo. «Temevo mi si fosse bloccata la crescita», bofonchiai strappandogli una risata, e scappando verso la mia camera. Afferrai la maniglia della valigia, e tornando in soggiorno, notai che Julie era ancora più bella del solito. «Hai già un appuntamento?», allargai le palpebre. Aveva un vestitino rosa, con le mie Windsor Smith invernali, ed era truccata di più. Si mordicchiò il labbro per evitare di parlare. «Julie!», la rimproverai, avendo compassione di Simon. «Non è un appuntamento.. Devo anche farlo ingelosire Alexis! Mi ha stufato. Se mi vuole, verrà da me. Altrimenti sta' bene così», disse ferma. «Perché sei scalza?», rise lei facendo scendere lo sguardo ai calzini. «Mi dai le mie scarpe?», chiesi io. «Sono le mie!», rispose sicura. «No, le mie sono trentasette, su su, non farmi perdere tempo», la esortai impaziente. Me le rese, me le infilai e mi avviai verso la porta. «Sono sicuro che con questo viaggetto tornerete insieme», insinuò Drake ammiccando, ed io ridacchiai. «Mi spieghi chi è che ti dà appuntamento alle sei e mezzo di mattina?», chiesi io, cambiando discorso per evitare di essere trattenuta. «È per la colazione», spiegò lei, ed in fretta mi dileguai. Scesi, con un sorriso in volto incancellabile fino al cancello del palazzo. Rimontai in fretta, e poi guidò verso l'aeroporto di Miami. In aereo per fortuna non c'era nessun "decrepito che russava", accanto a noi. Ma piuttosto un'altra hostess insistente con occhiate maliziose che risvegliava istinti omicidi. Quando si allontanò lo folgorai con lo sguardo, e lui sollevò le mani. «Non ho fatto niente», disse con un sorriso divertito sulle labbra. «Sei stranamente gentile, con le donne», osservai inasprita. «Io sono gentile con tutti», disse sornione. «Certo». «Ho occhi solo per te. Ficcatelo in quella testolina vuota», scherzò, ma sembrava anche offeso dalle mie insinuazioni. E non a torto. «Sei il MIO ragazzo», puntualizzai ad alta voce marcando il territorio. Rise compiaciuto, e poi mi baciò. «Il TUO ragazzo. E tu la MIA ragazza», sottolineò ed io mi appoggiai alla sua spalla, prima di giocherellare con l'orlo della manica della sua camicia. Baciai la sua guancia, e poi gli sfiorai il lobo con le labbra, rannicchiandomi di più. Mi posò una mano sulla coscia e ce la strofinò facendomi rabbrividire mentre passavo il dito su tutti i bottoni, dagli alti ai bassi. Ansimò, e quando sfiorai nuovamente la sua pelle con le labbra vidi un rigonfiamento nei jeans. Ridacchiammo e poi la coprì trascinandomi sulle sue gambe. «Mi farai impazzire così», mugolò baciandomi la mascella. Sorrisi e chiusi le palpebre abbracciandolo e inspirando il suo ottimo profumo. «Senti.. Avevo prestato la casa a Trent per una festa perciò sarà un po' un caos», mi informò. «Okay. Ma non mi metterò a pulire il vomito di qualcuno per i pavimenti», avvisai ferma e ridacchiò baciandomi i capelli. «Lo farò io tranquilla». Mi rannicchiai assonnata, e poi mi addormentai tra le sue braccia. I brutti sogni sembravano non volermi proprio lasciarmi in pace. La mia mente girovagava su ricordi confusi, dove mia madre mi premeva la testa sotto l'acqua e l'aria mi mancava fino a perdere e sensi. Mi risvegliai quando mi sembrò di soffocare. «Tutto bene?», disse accigliato, con aria preoccupata. Annuii scossa, e il mio respiro tornò a farsi regolare. «Non è vero. Stanotte mi è sembrato di dormire con un terremoto». «Scusa, non hai dormito a causa mia?», mi preoccupai. «Tranquilla, non è per questo.. Tu stai bene?», chiese ed io titubai. «Siamo qui per mio fratello, infondo. Le cose tornano a galla», bofonchiai accoccolandomi, e mi accarezzò la coscia, poi il viso e la testa. «Puoi parlare con me», disse, ed io sorrisi. «Sto bene, non ti preoccupare», risposi, non avendo gran voglia di parlare in quel momento. «Siamo una coppia, vero?», chiese sorridendo nuovamente, cercando conferma. Alzai gli occhi al cielo. «Non me ne andrò mai più. Puoi fidarti», dissi fissando le sue pupille. «L'hai già detto una volta», rispose lui, ancora scottato. «A parti invertite, tu non l'avresti fatto?», domandai. «Non credo avrei mai il coraggio di andarmene da te, a meno che non dovessi compromettere la tua felicità», confessò, ed io sospirai. «Quando è morta tua madre..», cominciai un discorso, e mi sarei aspettata che come al solito toccando quel tasto si sarebbe irrigidito, ma rimase sereno. «Avevi la tua bellissima famiglia al tuo fianco... Non sto dicendo che è stato più facile, ma avevi qualcuno con cui condividere quel dolore. Io avevo della gente non rilevante che diceva che mio padre era un grand'uomo, un bravo papà», dissi io. «È normale. Anche a me dicevano in continuo che era una donna fantastica, che era una buona madre.. Non capisco, cosa vuoi dirmi?», si accigliò ed io sospirai. «Nel tuo caso era vero. Tua madre era straordinaria, come mamma e come donna. Mio padre era un gran chirurgo, non poteva permettersi di essere un buon padre. Tu hai sofferto per la perdita di una mamma, io di un uomo che non c'è mai stato, quando ne avevo bisogno. E nessuno lo dice, come se ormai da morto sia scontato dire che era fantastico. Ma non è così. Eppure il bene che gli voglio è immenso, nonostante fosse in ospedale per la maggior parte della mia infanzia», sospirai e mi accarezzò i capelli riavviandomeli dietro all'orecchio. «Mi dispiace davvero tanto», disse sincero, stringendomi più forte.
Qualche ora dopo arrivammo. La casa sembrava reduce da un rave party. Bicchieri e piatti di plastica sparsi, la piscina piena di pupazzi gonfiabili tra cui un paio di barbie nude, e palloncini a forma di tette. «Non avrei dovuto lasciargli la casa», considerò ridacchiando mentre trasportava le nostre valigie nel giardino. «Direi di no», appesi un reggiseno tra le dita e poi inorridita lo rilanciai a terra. «Non ci crederò neppure se lo vedo, che la pulirai», ridacchiai sul portico. «Infatti, sono le cose che fanno gli altri in genere». «Al mio compleanno chi ha pulito?», mi incuriosii. «Qualche sfigato intimorito», confessò disinvolto insinuando la chiave nella serratura. Risi e gli colpii il braccio con un pugnetto. «È stato il miglior compleanno», sospirai. «Allora è stata una buona idea», disse entrando. «È stata tua?», allargai le palpebre mentre un sorriso mi nasceva sulle labbra. «Non lo sapevi?», si accigliò entrando. «Che dolce! Ti amo», gli saltai tra le braccia e lo feci barcollare fino al divano mentre mangiavo le sue labbra di baci. Mi afferrò la vita mentre gli ero sdraiata sopra. Emise un gemito eccitante, e mi venne da continuare a baciarlo in quel modo, vedendo la risposta che aveva quello splendido corpo. Scesi al collo e sbottonai i primi bottoni della sua camicia per poi baciare ancora la sua pelle calda. «Ti ho già detto che mi sei mancata?», disse affannato, mentre infilavo una mano dentro alla camicia. Gli addominali mi scorsero sotto le dita. Chiuse le palpebre ed emise un altro mugolio tra le mie labbra. Sentii una spinta tra le cosce ed ansimai sonoramente. «Ti piace eh?», disse beffardo, con un sorriso malizioso sulle labbra. «Ma stai zitto», lo baciai ancora e cappottò la situazione quando si mise sopra di me. Si strusciò tra le mie cosce, sfiorando esattamente il
punto perfetto per farmi impazzire. Non trattenni un profondo gemito di piacere, che lo fece sorridere. «Lo prendo come un sì», disse sghembo. «Oh.. Rifallo», boccheggiai ansimando. Strillai, quando vidi il sedere nudo di un ragazzo, che camminava tranquillamente con una birra in mano. Mi portai le mani davanti agli occhi, e solo dopo mi resi conto che l'avevo buttato a terra. Gemette di dolore e poi scoppiò a ridere. Gli lanciò un cuscino reggendosi su un gomito. «Non osare voltarti davanti alla mia ragazza, chiunque tu sia», rise nettamente più forte. Non poteva essere vero! Che situazione bizzarra. Lo sconosciuto raccolse il cuscino e lo usò per coprirsi davanti. Si girò, era un volto familiare. «Scusa, amico. La sbronza non è ancora passata», disse Styles, ed io affondai il volto sul cuscino del divano. «Sì, come vuoi. Ora va' a vestirti», rispose lui disgustato. Sentii i suoi passi allontanarsi e poi Jake scoppiò nuovamente a ridere. «Ma che cavolo di amici hai?», mugolai. «Oh mio Dio Jake!», sentii gracidare, e quando mi voltai vidi una bionda ossigenata corrergli incontro, dopo che si era rialzato. Indossava un vestitino aderente e che lasciava poco spazio all'immaginazione. «Ci conosciamo?», indietreggiò lui. «Non fare lo sciocco!», rise e gli colpì il petto, tutto sotto ai miei occhi stupiti. «Ah..», cercò un nome che sembrava essergli sulla punta della lingua. «Christin?» «Christina», non si offese, ma mi infastidì, lei e le sue occhiate fameliche. Guardai la scenetta come se fossi al cinema, mentre mi reggevo su un gomito e posavo il pugno sulla guancia. Sorrisi nervosa, mentre lei lo mangiava con lo sguardo. «Sei tornato?», domandò maliziosa, infilandosi un dito tra le labbra. Sentii altri schiamazzi provenire dalla cucina, ma quanti ne sbucavano? C'era Trenton in boxer, e Luke con in braccio una ragazza che scese immediatamente, per corrergli incontro, anche lei. «Oh mio Dio, Jake!», strillò, allo stesso modo dell'altra ochetta prima di saltargli addosso. Lui barcollò indietreggiando e le posò le mani sulle spalle. Si accigliò e poi lei si voltò verso di me. «Umh.. Tu sei Lexie?», chiese sorridendo in modo strano. «Umh.. Tu sei..», feci finta di riflettere, «non ne ho idea», dissi secca e assottigliai lo sguardo. «Abigail», starnazzò. Jake si schiarì la voce, «delle vecchie amiche», evitò il mio sguardo. «Per "amiche", intendi..» Mi interruppe afferrandomi il polso, e facendomi alzare, «non iniziare a strappare i capelli a nessuno, perfavore», bisbigliò trascinandomi di sopra. «Non lo farei. Stavo facendo conoscenza con le tue "amiche"», mimai le virgolette, e lui ridacchiò. «Non ci salutate?», disse Trenton offeso, e poi allargò le palpebre guardandomi per qualche ragione. «Wow», esclamò calando lo sguardo alle gambe. Mi imbarazzai. «Non state più insieme giusto?», chiese allusivo. «No, infatti», sorrisi malefica, prima che Jake mi trucidasse con lo sguardo. «Ma se la guardi ancora ti estirpo i bulbi oculari dalle palpebre e te li faccio ingoiare», minacciò guardandolo in cagnesco. Trenton rise. «Okay, okay. Non ho intenzione di diventare una massa informe di sangue», rispose lui, e Luke ridacchiò. «Bravo», commentò, prima di prendermi in spalla disorientandomi parecchi0. «Cosa fai?!», gridai mentre mi trasportava per le scale. «Ti faccio mettere un burqa». «Flirta pure con il club del "Oh mio Dio Jake!"», mimai la voce da civetta e lui ridacchiò scaricandomi sul letto. Mi guardai intorno, era una camera conosciuta. «Non obbedirò perché su questo letto..» «Perché su questo letto..?», chiese interrompendomi, e mettendosi sopra di me.

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