Chapter VII: What I need

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Camminavo in giardino diretta verso la panchina in pietra posta al limitare degli alberi. Era una tiepida giornata primaverile e quindi sopra al mio vestito leggero indossavo soltanto una stola bianca. Erano troppo eleganti quei vestiti, ma la regola principale di una regina era vestire sempre in modo perfetto. Il lato positivo del giardino era la possibilità di togliersi i tacchi e poter camminare scalza sull'erba umida, il massimo della trasgressività che potevo permettermi.

-Lady Kristen, le pregherei di seguire il protocollo. Non esca in giardino senza la mia supervisione- Castiel spuntò come sempre dalla porta finestra col suo solito sorriso malizioso.

-Maggiore Castiel, le regole non implicano la sua presenza bensì quella di una guardia e come vede ne sono presenti due ai lati della porta finestra, non deve temere niente- socchiusi gli occhi cercando di scrutare meglio il volto del soldato accecata dalla luce del sole. Non riuscivo a capire perché era tanto fissato col fatto di seguirmi ovunque, soprattutto considerando che aveva un rango, non era una semplice guardia.

-Re Harold mi ha personalmente affidato il compito di proteggerla, non voglio deluderlo, maestà- si sedette al mio fianco semplificandomi il compito di osservarlo.

Era un bell'uomo, senza dubbio, senza cicatrici, tatuaggi o troppe imperfezioni. Aveva la pelle bianca in netto contrasto coi capelli rossi fuoco e gli occhi neri. Pure il fisico era strano, alto e snello seppure grosso e muscoloso.

-Mi sta osservando per caso?- sorrise malizioso lui.

Arrossii a quel commento. Si era notato tanto?

Lui in compenso scoppiò a ridere.

-Non che mi dia fastidio se a fissarmi è una donna bella come lei- gli tirai una pacca leggera sulla spalla trattenendo a stento una risata e provando a controllare il rossore. Non riuscendo nell'intento sospirai.

-Lo sa che può finire nei guai? Sta flirtando con la regina?- strizzai leggermente gli occhi con finto fare accusatorio, ma lo vidi irrigidirsi all'istante a quella affermazione.

-Lady, non lo dica, non vorrei che qualcuno sentisse. Non voglio perdere il posto qui a palazzo- all'improvviso l'aria leggere e spensierata era svanita. Perfetto, pure l'allegria se n'era andata.

Tornai a fissare avanti a me in silenzio.

-Non si preoccupi. La sua reputazione è salva- tornai a indossare la mia solita maschera di inespressività.

Probabilmente potevo capire Montgomery, la capivo meglio di quanto credeva. Avrei dovuto parlarle. Ma cosa avrei potuto dirle? Cosa le avrei raccontato? Non era stupida e sapeva che tutto quella era troppo sia per me che per lei.

-Cosa pensa?- chiese improvvisamente la voce di Castiel.

-Sono confusa- e penso fosse la risposta più onesta che potessi dargli in quel momento.

-Su quale argomento? Magari potrei aiutarla a riportare l'ordine- servizievole come sempre.

-No, grazie- non volevo che sapesse i miei problemi. Volevo che stesse fuori dalla mia vita, che mi lasciasse sola a pensare e riflettere. Non desideravo altro in quel momento.

-Ma il mio com...-

-Il suo compito non è fare l'amico che non voglio. Il suo compito è proteggermi. Non vedo pericoli, quindi si limiti a stare zitto, stare attento ad un possibile attacco e lasciarmi in pace- non mi interessava di averlo ferito. Probabilmente era quello che volevo. Non volevo nessuno vicino e quasi mi sorpresi a notare quanto veloce fosse cambiato il mio umore. E quanto veloce fosse cambiata la mia idea su Palazzo.

[Montgomery]

Avevo trovato un piccolo tesoro nella sala della regina che avevo deciso di rubare e tenere con me per un po'. Una vecchia chitarra acustica. E dov'era il posto migliore dove andare per suonare indisturbati? Il balcone della propria stanza in attesa di pianificare la prossima evasione.

Lasciavo le dita correre velocemente sulle corde, un plettro in bocca e i miei soliti vestiti sbrindellati. Il sole mi scaldava e gli uccellini sulla ringhiera sembravano cantare a ritmo delle mie note. Potevo quasi sentirmi a casa seduta su quel piccolo pezzo di cemento. 

-Sei brava, lo sai?- una guardia dal ciuffo biondo e dagli occhi cielo sbucò dalla porta finestra. Improvvisamente mi bloccai.

-Grazie, me lo dicono spesso- continuai a muovere abilmente le dita sullo strumento mentre canticchiavo tra di me la canzoncina. Elys aveva insegnato a Kris come suonare il piano, ma io avevo imparato a suonare la chitarra durante il mio soggiorno da tre.

-Non dovrebbe esserci un Sol in quel punto?- si abbassò fino all'altezza dei miei occhi. Sentii le sue dita posarsi sulle mie e spostarle leggermente. Rimasi bloccata da quel contatto leggero.

-Vedi?- e poi fece vibrare le corde con l'altra. Ero incatenata ai suoi occhi ghiaccio e lui era fisso nei miei.

Quei due pozzi annullavano tutto, potevo perdermici all'interno alla ricerca di un bagliore scintillante che mi avrebbe dato la conferma della vitalità che sembrava quasi scomparse. Così freddi, definiti e fondi; avrei voluto catturarne tutte le sfumature che la luce creava e poi ricominciare a studiarli di nuovo per scorgerci nuovi dettagli.

La sua mano fredda si posò sulla mia guancia in modo dolce. Un brivido mi percorse scuotendomi da capo a piedi e ricordandomi ancora una volta l'effetto che quel ragazzo aveva su di me.

Avvicinò il viso ed eravamo vicinissimi. I nostri respiri leggermente accelerati si mescolavano insieme, l'aroma del palazzo venne sostituito dal profumo di Luke che, senza togliere quei punti di contatto che avevamo creato e stabilito, sembrava soppesare la sua prossima azione.

Non gli diedi il tempo. O forse gliene diedi troppo, ma la mia parte impulsiva sapeva cosa fare. Così cancellai la distanza tra di noi in modo avventato. Avevo baciato un ragazzo prima di lui, ma di certo non me lo ricordavo così questo contatto.

Nonostante la sorpresa era quasi tangibile non mi respinse, subito rispose con più brama quasi a voler segnare le mie labbra in modo indelebile per farmi ricordare che ora erano sue. La sua mano mi scivolò tra i capelli sciolti e disordinati stringendomi di più a lui e approfondendo il bacio. Non sentivo le farfalle nello stomaco, nemmeno le scintille invadermi, sentivo solo il desiderio e la consapevolezza che stavamo sbagliando tutto. Ed era quello che volevo perché baciarlo era come sentirmi viva, ricordarmi che esiste un mondo e una vita al di fuori della gabbia.

Si staccò per riprendere fiato, la sua mano ancora stretta tra i miei capelli e la sua fronte sulla mia.

-Mer, Mer, Mer... Che cosa hai fatto?- sorrise con un lampo di malizia negli occhi.

-Zitto e baciami- e senza farselo ripetere tornò ad attaccare le mie labbra.

Decisamente. Tra noi era tutto sbagliato, ma tremendamente eccitante.


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