Lascia che io sia

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"Margherita ti prego metti in moto e andiamo negli studi" l'avevo pregata io.
Il cuore in gola, i pensieri in subbuglio, la lacrima dal sapore indeciso pronta a scappare.
Il battito fermo quasi a non sentirlo più, il respiro lento e perso, e l'aria a tratti irrespirabile.
Mancava l'ossigeno lì dentro.
Una morsa allo stomaco e la ferita bruciava ancora un po.
Soffia Luisana.
Ma niente. Bruciava qualcosa in me.
Forse la paura di ritrovarmelo di fronte e farmi colpire ancora.
Forse l'inquietudine di non riuscire ad impormi e non riuscire a sopprimere.
Il biglietto stretto così forte fra gli indici e i pollici, da lasciargli una piega, un segno.
Il suo sorriso bianco stampato sui cartelloni che mi guardava divertito, e mi pareva di averlo davanti a chiedermi tranquillamente "come stai?"

Come stavo io?
Beh...se era qualcun altro a chiederlo stavo abbastanza bene, ma se era lui, io non lo sapevo più.
Stavo in sospeso, ferma, in un equilibrio precario, in bilico.
Non potevo saperlo perché lui mi aveva negato la possibilità di scoprirlo, e adesso tornava con un bigliettino come se nulla fosse successo.
E poi cosa gli importava di me dopo due mesi?
Era stato lui ad avermi allontanata e a farmi sentire usata.
Cosa voleva da me? Una compagnia sicura per le soste a Bologna e dintorni, e poi quando partiva per l'estero mollava tutto infrangendomi il cuore.
No grazie!
Non ero alla ricerca di questo io.
Poteva benissimamente andarsi a cercare una adatta nel tipo di lavoro.
Io non svolgevo mansioni del genere.
Io mi ero innamorata veramente.
Cuore.
Anima.
Mente.
Corpo.
Spirito.
Karma.
Avevo sintonizzato tutto sullo stessa fragile corda d'argento.

"Che succede Luisana?" aveva chiesto apprensiva Margherita dandomi una leggera pacca sulla gamba e risvegliandomi da quello stato di trance.
"Niente. Non lo voglio vedere più. Non lo voglio sentire più. Andiamo?"
Cercavo una parvenza di tranquillità nella voce, ma dentro urlavo per convincermi di odiarlo quando non era vero.
Per convincermi di non volerlo rivedere quando in fondo mentivo a me stessa.
"Va bene. Ma che succede? Ti da così tanto fastidio che sia qui a Bologna?" e aveva rimesso in moto imboccando la strada in Via D'Azeglio, lontano dalla sua ombra sui muri.
Ormai anche la città mi parlava di lui.
Era stato uno sbaglio condividere con lui tutti i posti più belli, perché adesso ci aveva lasciato le impronte.
"Mi da fastidio il fatto che lui si faccia vivo con me solo quando gli fa comodo. Mi ha mollata quando è partito e adesso che è in Italia mi viene a cercare? No! Ma per chi mi ha presa?" urlavo contro il parabrezza e un pedone sulle strisce pedonali, doveva aver creduto che io gli stessi infierendo contro per la foga con cui mi ero agitata sul sedile.
"Magari è qui in concerto e vuole solo scusarsi..."
"No e lo dimostra il biglietto. Me lo hai fatto capire tu stessa!"
"Ok. Mi arrendo. Questo ragazzo non ha nessuna scusante. È proprio uno stronzo!"

Avevo dato il via alla diretta del sabato mattina di Di Sabato Cantiamo.
"In onda!" aveva gridato isterico come sempre Edoardo dal basso del salotto mentre le luci si abbassavano.
Avevo indossato la maschera dell'indifferenza insieme al tubino bianco e al trucco di Margherita.
Avevo sfoggiato il miglior sorriso nella spia accesa sotto i comandi del cameraman, e fiera avevo sfilato sulle scale con la solita sigla di Marvin Gaie.
Tremante, avevo stretto la mano ai capitani coraggiosi.
Mi ero accomodata sul divanetto in pelle di fronte a due mostri della musica italiana: Gianni Morandi e Claudio Baglioni.
Serena, avevo dominato la diretta fra applausi, risate, balli e canzoni.
L'unico inconveniente era stato ascoltare dal vivo E tu come stai, perché mi ricordava il biglietto di Ignazio, ma mi era bastato vedere la telecamera puntata contro, e la volontà di non pensarlo mi aveva attraversato il sangue rendendolo più freddo.

Stanca ma soddisfatta della puntata andata più che bene, avevo atteso il taxi fuori dagli studi televisivi.
Un'inconfondibile mini color puffo parcheggiata proprio di fronte alla hall dell'edificio, aveva attirato la mia attenzione, ma soprattutto quella voce mi aveva spezzato il fiato.
"Entra" gli occhiali scuri sul naso, la barba incolta e il gomito appoggiato sul finestrino aperto, mentre con una mano teneva il volante.
Era un ordine consapevole di un rifiuto il suo.
Era un comando che mi aveva fatto sobbalzare il cuore nel petto, ma stavo calma io.
Resistevo io.
Respiravo regolarmente con la guerra dentro.
Cercavo quel misero disprezzo frugando fra i miei sentimenti per riversaglielo addosso.
"Vattene! Perché sei venuto qui?"
"Rosa ti ha dato il biglietto?"
"Non ti interessa"
"Te l'ha dato si o no?"
"Luisana rispondimi. Ho sbagliato ma sali e lascia che ti spieghi"
Avevo camminato in fretta lungo il marciapiede per non ascoltarlo più, ma lui mi teneva il passo procedendo lento con l'auto.
"Non c'è niente da spiegare. Se mi segui posso denunciarti per stalking"
"Dammi solo cinque minuti, poi se non ti convince ciò che devo dirti, ti prometto che sparisco dalla tua vita" aveva continuato speranzoso accostando il più vicino possibile mentre io gli tenevo le spalle.
Il mio taxi era arrivato puntuale ed io avevo ignorato Ignazio salendo a bordo.

Se Ritorno Da Te....(#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora