Noi ci capiamo e non c'è bisogno di parlare

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Se avevamo fatto l'amore quella notte?
Se avevamo fatto sesso per poi dimenticarcene?
Beh in realtà non si sa bene cosa sia successo in quei momenti senza ragione e senza più muri intorno a fungere da estrema barriera alle emozioni.
Tutto e niente.
Neve e fumo.
Acqua e fuoco.
Sabbia e polvere.
Gelo e afa.

Lui era salito con me o io con lui perché a stento riconoscevo casa mia.
Io per le scale avevo tentennato un po sui miei tacchi dimenticando di usare l'ascensore, ed era stata la scusa perfetta per tenermi stretta a lui, ma in realtà nemmeno una scusa serviva per farlo.
Eravamo grandi e maturi da prenderci ciò che volevamo e probabilmente, per quanto ci desiderassimo e per quanto ci attirassimo, avevamo paura di non saperci più dire addio per davvero.
Più ci allontanavamo e più sembravamo pensarci.
Io avevo fatto una doccia e mi ero disfatta dei vestiti bagnati.
Avevo recuperato il pigiama più sobrio che possedessi nel cassetto: un completo di seta composto da dei pantaloncini paragonabili più a degli slip e una canottiera dalla profonda scollatura.
Lui aveva preparato un caffè amaro, che io però, non avevo bevuto perché non avevo intenzione di rovinare il sapore della mia bocca e poi, inoltre, si stava bene con la testa più leggera e libera di dire tutto senza un vero freno ad interrompermi.
Senza una leva a bloccarmi.
Senza quella maledetta logica a distruggermi gli attimi più appetibili.
Senza filtri.
Era così bello barcollare per poi essere afferrata da lui, che a stento manteneva la promessa fatta a se stesso sotto quel portone.
Era così bello restare in bilico fra il cadere addormentata e il restare sveglia a dire chissà quale altra stupidaggine.
Era così bello vederlo diventar matto di fronte a me.
Era così bello vederlo arrossire nei miei occhi quando pigro distoglieva lo sguardo da qualche lembo di pelle scoperta.
Era così bello quando mi diceva:
"adesso cerca di dormire" per non doversi più trattenere.
Era così bello vederlo farsi serio quando apposta mi avvicinavo per provocarlo un altro po.
"Luisana se non la smetti io divento pazzo" aveva detto cercando spazio.
"Boschetto è inutile: non ce la fai!" avevo affermato sicura e convinta in un sussurro brillo sul suo collo, e lui era troppo debole per non cedere.
Lo avevo sentito il suo brivido più grande.
Lo avevo visto irrigidirsi e mordersi forte le labbra.
Ormai anche quello era divenuto un gioco per me.
Ormai ci avevamo preso gusto a fare i bambini e a disputare battaglie all'ultima provocazione.
Ormai le nostre erano sfide per passare il tempo in un modo insolito ed affascinante.
Ci dichiaravamo guerra con gli sguardi e ci toccavamo avidi con gli occhi.
Volevamo scoprire chi sapeva essere il più forte.
Volevamo sapere fino a dove era possibile vincere e cosa sarebbe successo se avremmo perso.
Cercavamo il limite in quel confine irrisolto.
Cercavamo di valicare montagne ancora lontane da raggiungere.
Cercavamo un punto senza mai vederlo perché era meglio restare in sospeso nell'aria.
Era meglio vagare anziché scegliere una meta.

Si era gettato sul divano in salone con le mani fra i capelli e strofinandosi il viso sorridendo.
"Non immagini quanto sia intrigante ed invitante questa situazione" aveva detto sospirando arreso ed io avevo guardato fuori dalla portafinestra.
Sbirciavo l'immagine nitida della luna dalla tendina bianca ed il cielo, oramai era più chiaro e la strada ancora bagnata, ma non pioveva più.
Erano circa le quattro del mattino e il sonno era svanito insieme alla mia ultima goccia di ragione rimasta.
"E invece lo so molto bene. Ti va un bicchiere di whisky?" mi ero avvicinata all'argentiera wenge e avevo preso una bottiglia ancora sigillata.
Mi muovevo svogliata e scalza sotto il suo attento modo di scrutarmi.
Non aveva risposto ed io lo avevo preso come un si, così avevo versato il suo drink senza ghiaccio.
"Che intenzioni hai?"
"Io? Nessuna! Solo svagarmi!" avevo risposto sincera e mi ero seduta a cavalcioni sulle sue gambe.
Avevo buttato giù un sorso insieme a lui, sotto il suo sguardo vigile, poi avevo preso le sue mani togliendogli il bicchiere e intrecciandole alle mie.
"Lo sai cosa ho sempre pensato di te da quella volta che abbiamo ballato?" gli avevo chiesto stranamente seria.
"Cosa?"
"Che noi sappiamo far l'amore con le mani" avevo ammesso in un sorriso brillo.
Non era stato imbarazzante spogliare quel pensiero.
Forse per l'alcool ma lo avevo trovato liberatorio e profondamente sincero.
"Solo con le mani?"
Aveva chiesto sommesso stendendomi sul cuscino e puntando le sue iridi scure sulle mie labbra lucide.
"Anche con gli occhi" e mi aveva lasciato un piccolo bacio sulla fronte.
"Anche con le parole" e mi aveva sfiorato il collo con la punta del naso.
"Anche con la mente" e aveva abbassato la canotta su una spalla.
"Anche con l'aria che condividiamo" e il suo fiato era un vento caldo sulla pelle.
"Anche con i baci" avevo continuato io alzandomi e slacciando con delicatezza i bottoni dalle asole della sua camicia bianca.
"Anche con il respiro" avevo detto portandomi piano su di lui.
"Anche ballando" e l'ultimo e fragile bottone era scivolato a terra staccandosi.
Lo lo avevo guardato cadere e roteare sul parquet in legno del salotto.
Avevo seguito la sua scia mentre girava repentino su stesso, proprio come girava la mia testa in quel momento confuso, fino a fermarsi.
Fino a cadere inerme dopo un movimento perfetto.
Una piroette, una ballerina di danza classica ed io sentivo la testa sempre più pesante.
Avevo appoggiato il capo sul suo petto e avevo chiuso gli occhi addormentandomi fra le sue braccia.
Innocentemente.
Puramente.
Dolcemente.
Beatamente.
Ascoltando il suo battito accelerato contro il mio.
Lui respirava irregolare fra i miei capelli.

Non avevamo fatto l'amore perché noi sapevamo farlo anche così.
Senza toccarci.
Era chimica.
Era alchimia.
Affinità.
Intesa particolare.
Comunicare telepaticamente o modernamente feeling.
Datela voi una definizione giusta a quella strana complicità.
Era un qualcosa senza nome che destabilizzava fortemente i sensi.
Era solo il semplice bisogno di restare così, con la consapevolezza che fra di noi non poteva mai funzionare.
Eravamo stranamente noi, un noi che nemmeno esisteva.

Era già mattino quando mi ero alzata e lui non era più sul divano.
Sentivo come un piccolo martello picchiettare insistentemente sulle tempie.
Mi ero girata intorno alla ricerca di un dettaglio per ricordare, poi, dopo aver sbattuto più volte le palpebre pesanti, avevo visto Ignazio seduto a gambe incrociate sul pavimento, di fronte a me.
Mi fissava dolcemente e mi accarezzava con gli occhi.
"È passata la sbronza?" aveva chiesto ridendo.
"Non ero sbronza!"
"No. Solo un po su di giri" aveva risposto ironico.
Mi ero alzata cosciente ed imbarazzata di fronte alla mia sfrontatezza delle sera precedente.
"Ignazio mi dispiace" avevo detto sommessa.
"Per cosa?"
"Per quello che ho fatto. Ecco, vedi, è un momento spaesato della mia vita questo" avevo detto vagando altrove con lo sguardo.
"Non devi scusarti di nulla Luisana.
Se solo io avessi quel coraggio in più che mi manca..." e sembrava malinconico mentre si sedeva al mio fianco e un sottile senso di frustrazione attraversava i suoi gesti.
Deluso d'amore come me, si chiamava quell'espressione impenetrabile ed ineffabile.
Quanto lo capivo io? Tanto. Troppo.

"C'è un attrazione fatale fra noi, questo non lo si può negare, ma è complicato.
Io canto in giro per il mondo e ho chiamato un taxi perché fra poco ho un volo per Dubai e starò via due settimana.
Tu sei una conduttrice televisiva bella da far morire e sei nei sogni proibiti di chissà quanti" e aveva grattato nervoso i baffi mori.
"Già. È una combinazione parecchio complessa"
"Perché da una settimana sono attratto dalla persona che non dovrei pensare ma è sempre nella mia testa?" aveva chiesto spogliando la sua bella eppure così insopportabile verità.
"Me lo chiedo anch'io. Forse è proprio perché la pensiamo allo stesso modo su certi aspetti"
"Può darsi" e si era crogiolato nella sicurezza che può trasmettere un misero e vigliacco silenzio.
"E comunque anche tu sei sogni proibiti di molte donne" e avevo sforzato un sorriso colpendogli piano la spalla con un pugno leggero.
"Noi ci capiamo.... Non c'è bisogno di parlare ancora" avevo continuato ed era vero.
Lui mi aveva guardato come se fosse stato sul punto di cambiare punto di vista, ma poi un clacson aveva suonato sotto il portone riportandolo alla razionalità.
"Adesso devo proprio andare. Mi accompagni alla porta?"
"Certo. Grazie per avermi riportata a casa ieri sera e grazie per la compagnia"
Avevamo raggiunto la porta attenti a non sfiorarci lungo il corridoio stretto.
Attenti perché consapevoli che sarebbe potuto bastare un contatto per perdere l'equilibrio e cadere definitivamente.
"È stato un piacere"
"Però ti ho messo a dura prova" cercavo di sembrare il più tranquilla possibile anche se dentro non lo ero affatto.
Avrei voluto avere più coraggio proprio come ne avrebbe voluto avere lui.
"È stata una bella tortura però" e il clacson aveva insistito ancora.
"Allora ciao" avevo detto sorridendo spenta.
"Si altrimenti rimango qua. Posso usare ancora il tuo numero e poi magari, se vuoi, possiamo vederci quando torno?"
"Vediamo dai" e lo avevo visto scendere le scale.
Avevo richiuso subito come per liberarmi di quel profumo che non dovevo desiderare ma lo portavo addosso.
Avevo dato due mandate veloci alla porta come se avessi voluto buttare fuori quella strana sensazione che sentivo, ma era impossibile.
Ce l'avevo dentro il vuoto e non potevo toglierlo.
Mi ero affettata a raggiungere la finestra e lo avevo visto raggiungere la vettura gialla e poi sfrecciare via, oltre il mio cancello.
Mi ero riseduta svogliata sul divano ed avevo respirato il suo odore sulla stoffa del cuscino che tenevo abbracciato al petto.
Due settimane.
Quattordici giorni con la certezza di non potersi incontrare.
E poi?

Se Ritorno Da Te....(#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora