Due giorni di totale silenzio e amarezza. Quarantott'ore senza nessuna notizia di James. Il freddo quel giorno era stato allietato da un forte sole che aveva preso possesso del cielo di Brooklyn, che illuminava le siepi verdi sui bordi delle strade.
Steve stava attaccato alla finestra, inginocchiato per terra con i gomiti sullo scomodo davanzale in legno. Un leggero venticello tiepido spostò le foglie del grande albero difronte casa, che contraddistingueva il quartiere. Un piccolo movimento attirò l'attenzione del biondo, che si avvicinò di più al vetro della finestra, strizzando gli occhi. L'ombra che si nascondeva dietro il tronco si era fatta più lucida ed evidente, una sagoma piccola e spaesata.
Il viso di Rogers era ormai incollato alla finestra, appannata dal vapore del suo respiro un po' affannato. I suoi occhi azzurri intravidero un ciuffo color cioccolata. Lo avrebbe riconosciuto ovunque.
Corse con le sue deboli gambe giù per le scale, mettendo il pesante giaccone di suo padre appeso all'ingresso, e uscendo come una scheggia da casa, lasciando la porta aperta alle sue spalle. Con il respiro irregolare si fermò difronte all'arbusto, che pareva non nascondere nessun amico scomparso. La speranza scomparve dai pensieri di Steve, si era illuso, la sua immaginazione gli aveva giocato brutti scherzi. Il suo cervello era ancora troppo concentrato alla frase bisbigliata nei singhiozzi, quel breve "Ti amo."
Voltò le spalle, quando un bisbiglio lo fece tornare immediatamente indietro. No, non si era immaginato quel "pss", un po' insicuro, girò intorno al tronco, raggirandolo a distanza, giungendo dietro l'albero, laddove un prato incolto e delle aiuole che avrebbero dovuto essere potate, un ragazzino tremolate stava in piedi. Le mani di Steve tremarono, il suo stomaco ebbe un sussulto.
Bucky era sotto shock, pallido e sporco di polvere, con dei graffi sulle guance e sugli avambracci scoperti dalla camicia strappata. Gli abiti leggeri e strappati, probabilmente aveva perso la sua giacca di lana, gli mancava una scarpa, difatti il suo piede era protetto soltanto dal calzino bucato e sporco.
«Bucky?» domandò spaventato Steve con gli occhi lucidi.
«S-Steve.» rispose balbettando il maggiore, stringendo le mani rosse ed escoriate. Il biondo, senza indulgiate, gli si gettò addosso, avvolgendo il busto del ragazzino con le sue magre braccia, riempite dal largo cappotto. James iniziò a piangere, poggiando la testa sul profumato ciuffo biondo di Steve, che ispirò profondamente l'odore della camicia di Bucky, ad occhi chiusi, sentendo il battito del suo cuore, e il suo sterno agitarsi in modo irregolare.
«Credevo fossi morto.» disse Steve con la voce soffocata dalla stoffa della maglietta di Bucky su cui era poggiato.
«Ho avuto tanta paura.» continuò a piangere stringendo la schiena del minore.
«Non preoccuparti, adesso si è risolto tutto, lo dirò a mia madre, sta tranquillo.» lo rassicurò, avvolgendo con un braccio il suo collo, coprendolo con il pesante indumento marrone, e portandolo a casa.
I suoi genitori erano a lavoro, ma sua madre sarebbe tornata da un momento all'altro, nel frattempo, Steve aveva fatto sedere Bucky in cucina, intorno al tavolo in legno, dandogli una mela rossa, la prima cosa che aveva trovato da mangiare, avrebbe voluto preparargli qualcosa di caldo, ma non era bravo con i fornelli. Aveva messo sulle spalle del ragazzino sconvolto una delle sue coperte cucite a mano, che lo tenevano ben al caldo.
«Sei ferito?» domandò Steve avvicinandosi a lui, non potendo ignorare i suoi occhi verdi fissi nel vuoto, lucidi ancora una volta sul punto di esplodere in un pianto incontenibile.
«Mia madre e mio padre...» sussurrò stringendo il frutto fra le mani.
«Mi dispiace Buck...» lo consolò senza fiato Steve, non sapendo cosa spiegare all'amico.
«Mi stanno cercando.» cambió immediatamente tono tirando su di naso, serio e ostinato.
«Si, credevamo fossi morto...» aggiunse Steve scostando il ciuffo dalla fronte.
«Sto scappando da loro. Mi porteranno in orfanotrofio, e lì che chiudono i bambini senza genitori. Non voglio farmi sculacciare dalle suore.»
Steve sospirò, dicendogli: «Non ti chiuderanno da nessuna parte, non lo permetterò.»
«Non possono portarmi via da te. Non posso lasciarti solo un'altra volta.» disse Bucky; il suo sguardo si concentrò sul piccolo ragazzino dal naso rosso, ancora con i postumi di un raffreddore pesante, che alzò le sopracciglia.
«B-Buck....» iniziò a balbettare, sentendo l'irrefrenabile istinto di raccontargli ciò che aveva detto la notte della sua scomparsa, quella sensazione che premeva sulla bocca dello stomaco, come se gli stesse spingendo le parole fuori di bocca.
La porta si aprì, sua madre entrò, rimanendo senza parole. Gettò in terra la borsa della povera spesa fatta prima di tornare a casa, correndo a stringere fra le sue materne braccia il superstite dell'incidente.
Al contatto con quel calore adulto, Bucky si sciolse ancora in un mare di lacrime, pensando a sua madre, al suo modo di abbracciarlo, al suo calore, al suo odore, e al suo viso sfregiato da una lamiera volata davanti a lui.
«Dolcezza, va tutto bene adesso, sei al sicuro.» la dolce signora Rogers lo prese per le spalle e lo mise difronte a se, asciugandogli le guance bagnate, e controllandolo da capo a piedi, nel tentativo di constatare quali eventuali fratture e ferite gravi avesse potuto avere. Prese una boccetta di disinfettante, versando su un fazzoletto di stoffa bianco il liquido dall'odore pungente; «N-non sapevo dove andare....V-volevo tornare a casa, m-ma mi avrebbe trovato, allora sono venuto da Steve, i-io...» singhiozzò terrorizzato, mentre Sarah disinfettò le escoriazioni sul suo viso.
«Sei stato bravissimo, James, non hai niente di cui preoccuparti ora, ci penso io a te, d'accordo?» il fragile ragazzino annuì, mentre la donna corse a prendere vestiti e coperte calde.
Quando il padre di Steve rincasò, Bucky aveva la pancia piena ed un pigiama comodo. Lo stupore e la preoccupazione negli occhi dell'uomo alla vista del ragazzino svanì di colpo quando domandò alla moglie: «Cosa ne facciamo adesso di lui? I servizi sociali lo staranno cercando!»
Prima di iniziare la discussione, la donna scortò i due ragazzini nella camera di Steve, lasciandoli soli. Casa Rogers non era una reggia, non aveva stanze per gli ospiti, e far dormire Bucky in soffitta era impensabile dopo quello che aveva passato. Il moro di distese sul materasso, dalla parte del muro, affiancato da Steve che si fece piccolo piccolo, imbarazzato.
Le voci al piano di sotto si stava facendo più animate; «Scusa se i tuoi genitori stanno litigando, è tutta colpa mia.» disse Bucky nel buio, guardando il soffitto.
«No, non è colpa tua.» rispose il biondo fissando anche lui il tetto, sospirando.
«Steve, cosa volevi dirmi prima?» domandò Bucky, girando il capo sul cuscino, in direzione di Rogers.
Il ragazzo si pietrificò dall'imbarazzo.
«Niente.» rispose di getto.
Bucky si girò su di un fianco con le mani sotto il cuscino: «Non è vero. Facciamo una cosa, tu parli, ed io ti dico quale sorpresa volevo farti.»
Steve sentì un peso sul petto, molto peggio di quella pesantezza che aveva quando faticava a respirare, qualcosa che quasi non lo faceva ragionare.
«Io...io ho avuto tanta paura, Bucky. Ho avuto paura di perderti. E ho detto qualcosa di molto stupido....ho pianto come un poppante, avrei voluto resistere, come mi hai insegnato tu, ma non ci riuscivo....»
«E cosa hai detto?» chiese confuso aggrottando la fronte.
«Giuri che non mi prenderai a pugni?» chiese spaventato voltandosi verso il compagno.
«Non potrei mai farlo, imbecille.» sorrise dolcemente lui con quelle sue labbra carnose.
«Ho detto di amarti, ho detto che ti amo...» il silenzio avvolse la stanza, solo le voci dei genitori di Steve gli rimbombavano nelle orecchie.
«Bucky ti giuro che non è come sembra, non prendermi per una femminuccia, mi dispiace, io, non so cosa mi sia preso...» farfugliò terrorizzato Steve, terrorizzato da, fatto di aver detto qualcosa di tremendamente sbagliato.
«Stupido?» domandò quasi arrabbiato lui, spaventando Steve. «È quello che ho detto anch'io.» biascicò Bucky infine.
Il fiato debole del biondo venne tranciato di netto.
«Quando ero sotto il ponte vicino la stazione.... L'unico che mi era rimasto eri tu. E avevo bisogno di te. Ad ogni costo.»
«Ma non è una cosa normale...sono i maschi e le femmine che dicono certe cose, due maschi...» iniziò a dire confuso il biondo.
«E chi lo dice? Io non ti voglio bene, non sei un semplice amico, Steve....quando sono con te il mio stomaco inizia a brontolare, e la mia testa sembra partire sulla luna...» sorrise James, illuminando il buio con i suoi occhi.
«Allora, posso dirlo?» domandò ingenuamente Steve.
«Si, dillo.» lo incoraggiò Bucky.
«Ti amo.»
Bucky tolse una mano dal cuscino, allungandola verso quella magra del minore che era al caldo sotto le coperte. La strinse con le sue falangi tagliate, avvolgendo con i polpastrelli il palmo di Steve, che ricambiò a sua volta. Le sue piccole dita si fecero bianche per la forza che ci mise nell'avvolgere la mano di James.
«Volevo comparti gli acquerelli nel negozio in centro. Questa era la mia sorpresa.» ammiccò rassegnato il maggiore.
«Sarebbe stato un regalo meraviglioso. Ma preferisco questo.» sorrise, accucciandosi sotto le coperte.
«Bucky?» la voce timida del più piccolo lo chiamò, prima che potesse addormentarsi; «Non siamo sbagliati, vero?»
Una leggera risata rassicurò Steve.
«L'amore non è mai sbagliato, Steve.»
STAI LEGGENDO
Brooklyn ||Stucky|| ✔
FanfictionErano giovani, erano spaventati, erano ridicoli, erano avventati, erano sbagliati, ma avevano ragione. Prima che i fantasmi di Bucky lo trasformassero nel soldato d'inverno, prima che Steve diventasse Captain America, i due ragazzini di Brooklyn nas...