Trentaduesimo

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Sergente James Buchanan Barnes- Deceduto.
Era questa l'unica cosa stampata sul rapporto della missione, su quel foglio di carta stracciato che molte volte gli ufficiali avevano firmato. Troppe volte.
È quasi ridicolo il dolore; riesce ad essere insopportabile non necessariamente a livello fisico. Steve ricordò quella volta in cui aveva avuto il suo primo attacco d'asma a quattro anni. Certi dolori persistono nella memoria, anche dopo anni, Rogers riusciva a riportare alla mente quella sensazione straziante, come se il suo petto venisse arso da un'esplosione, e due forti mani malvagie gli stringessero forte il collo.
Lo ricordò, ma non riuscì a paragonarlo al dolore che la perdita di Bucky gli aveva procurato. Era una sensazione indescrivibile, qualcosa che solamente Bucky stesso sarebbe stato in grado di capire.
Si era chiuso nel locale in cui avevano fatto l'amore per la prima volta dopo la loro separazione. Ormai di quel posto non era rimasto granché, un bombardamento la aveva reso cenere, una nube di nero ovunque.
Con la sua divisa marrone, si era nascosto nel buio; spifferi ovunque gli facevano venire brividi lungo la schiena. Seduto intorno ad uno dei pochi tavoli ancora intatti, con un bicchiere di alcolico in una mano, e la bottiglia nell'altra; ogni cosa di lui tremava, dalle mani, alle gambe, al cuore.
Le guance umide, e gli occhi talmente bagnati da lacrime disperatamente trattenute, facevano straripare il suo colore azzurro, come due fiumi in piena.
Bucky glielo faceva notare spesso, tutti i colori che il biondo aveva addosso. Rappresentava l'arte. Era difficile da interpretare; un dipinto ad olio su tela, e ogni suo dettaglio corrispondeva ad una pennellata. Solo alcuni alcuni riuscivano a cogliere la sua straordinaria meraviglia. A dire il vero, solo Bucky ci riusciva fino in fondo.
Le coltellate più dolorose erano quelle provenienti dal passato: perché pensare ad un futuro senza James era troppo surreale per essere concepito, così il cervello di Steve stava smistando tutti i loro ricordi.
Bucky era morto, ma gran parte di lui viveva ancora nella mente di Cap, se chiudeva gli occhi e si concentrava, era sicuro di riuscire a percepire il suo respiro.
Tra tutte le cose che lo facevano star peggio, quella che gli mancava di più era rimanere abbracciati. A non dire nulla ma a sentire tutto.
Cercava di non pensarci, e forse era anche peggio, perché ogni momento, bello o brutto, continuava a urlare disperatamente di essere rivissuto. E faceva davvero male.
"Cancella i suoi occhi, dimentica il suono del suo nome. Va avanti." Steve continuava a ripetersi quelle parole per cercare di non crollare, di essere forte. Ma sapeva che non ci sarebbe mai riuscito, sapeva che Bucky non lo avrebbe mai lasciato andare avanti.
Sorseggiò il suo bicchierino alcolico, il suo organismo da super soldato non lo aiutava, al contrario, non riusciva neanche ad ubriacarsi.
Un rumore di passi si avvicinò a lui, ma la sua attenzione era incessantemente rivolta a Bucky, e ai suoi occhi carichi di terrore mentre moriva.
Peggy si sedette con discrezione e rispetto sulla sedia vicino al tavolo.
Lo guardò, rendendosi conto che in fondo all'animo indistruttibile di Captain America, un uomo comune stava soffrendo.
«Steve mi dispiace.» serrò le labbra e si fece avanti, più convinta e dispiaciuta: «Non è stata colpa tua.»
Steve continuava a tenere gli occhi bassi, con la penombra le sue lacrime scintillarono come due fari.
«Hai letto il rapporto?» domandò con voce roca.
«Si.» rispose ingenuamente lei.
«Allora sai che non è vero.» rispose ostinato, stringendo i pugni.
«Hai fatto tutto il possibile.»
Una lacrima rigò la candida guancia del capitano alle parole di Carter; no, non aveva fatto il possibile. Lui sapeva che Bucky era terrorizzato all'idea di fare una missione così ravvicinata contro il teschio rosso, eppure non lo aveva assecondato.
E lo aveva perso per sempre.
«Credevi nel tuo amico? Lo rispettavi. Allora smettila di incolparti.» Steve cacciò un'occhiata fulminea alla donna: «Non era un amico.»
Peggy andò oltre quell'affermazione, continuando: «Lascia a Barnes la dignità della sua scelta. Lui era convinto che per te ne valesse la pena.»
Il biondo non diede ascolto alle belle parole di consolazione di Peggy, diventando più duro, e convinto. Il viso gli si colorò di rosso per la frustrazione e l'ira:
«Io darò la caccia a Smith. Non smetterò finché tutta l'HYDRA non sarà distrutta.»
Peggy si spinse in avanti: «Non sarai solo.»
Un breve momento di silenzio li colse, poi, le mani di Steve premettero conto il suo labbro umido, che tremava senza controllo.
Prese un respiro per contenersi, non poteva lasciarsi andare così difronte a qualcuno. Qualcuno che non fosse Bucky.
«Sai Peggy, io non ho mai amato nessuno, ma lui.» fece una breve pausa che catturò una risata isterica e roca «Oh Dio, l'ho amato davvero tanto.»
L'agente lo guardò imbarazzata, chinando lo sguardo.
«Ti dispiace lasciarmi da solo?» lo domandò senza cattiveria, in lui parlava solo il dolore e l'innocenza. Perché Steve Rogers non era mai stato così vulnerabile in vita sua.
Peggy annuì, alzandosi in piedi e uscendo dal locale abbandonato.
Cap era di nuovo solo, con la sua mente, che continuava a torturarlo.
Lasciò il bicchiere di vetro, e con due dita uscì dalla tasca della sua giacca la foto ingiallita fatta non poco tempo prima. Era la cosa più bella che potesse avere, vedere il viso di Bucky davvero, che non fosse quello inciso nella sua mente, alleviava di poco il suo dolore.
Poggiò i gomiti sul tavolo, tenendo difronte a se la piccola fotografia. La sua mano gli copriva il mento, si lasciò sfuggire una risata scrollando la testa, liberando le labbra dalla sua stretta, e parlando:
«Sai perché rido, Buck?» guardò il sorriso del moro in foto, come se lo avesse presente in carne ed ossa in quella stanza; «Perché penso alla lettera che mi hai scritto prima di partire.»
Iniziò a piangere, silenziosamente, ma con in gola ancora troppe parole;
«Non riesco a smettere di pensarti. Certe volte, quando stavi sotto il sole, i tuoi occhi verdi prendevano le sfumature dell'azzurro, come quello del cielo.-singhiozzò aggrottando la fronte- l'azzurro del mare posso toccarlo tutti, ma quello del cielo potevo raggiungerlo solamente io in te. Come posso vivere senza cielo? Senza il mio cielo?»
Passò una mano lungo il suo ciuffo biondo, piangendo come non aveva mai fatto.
«Ti ho dato la mia vita, e tu che ci fai? Scappi e la porti via con te, per sempre.»
Gli occhi rossi, straripanti di lacrime.
«Vaffanculo Bucky!» sbottò a denti stretti, strizzando gli occhi e mordendosi il pugno.
Riprese a respirare, era come se i suoi vecchi attacchi respiratori fossero tornati. Non era il siero che lo aveva reso invincibile, era sempre stato Bucky. E adesso che non c'era più, Steve era tornato ad essere vulnerabile.
«Cosa credi che possa fare adesso?! È solo colpa mia!» abbassò il capo e lo tenne stretto con le mani, poggiando la foto sul tavolo.
Lanciò uno sgabello al suo fianco, scaraventandolo più lontano possibile.
«Non può finire così, Buck.» singhiozzò con la testa fra le mani, bagnando il legno su cui era poggiato.
«Io ti amo.» si mise dritto, riprendendo aria, asciugandosi il viso con i palmi. Gli occhi gonfi, ancora troppo pieni di dolore, trasformatosi il lacrime.
Respirò con le labbra semichiuse, umide, arrossate, e salate per colpa del suo pianto.
«Aspettami, ti prego.» prese la foto dal tavolo, la guardò un'altra volta, sfiorando la figura di Bucky con i polpastrelli, prima di rimetterla in tasca.
«Tornerò da te.»

Brooklyn ||Stucky|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora