Le cose stavano cambiando più velocemente di quanto Steve e Bucky potessero rendersene conto;
Il funerale del signor Rogers era stato tremendamente straziante. Non tanto per la funzione della cerimonia, più per lo stato d'animo di Sarah. Avere Steve e Bucky al suo fianco non le dava molto aiuto, ormai l'amore della sua vita se n'era andato, e i due potevano solamente immaginare cosa potesse provare.
Nonostante tutto, la donna non smetteva di lavorare, prolungando i suoi orari per cercare di arrotondare lo stipendio. James lavorava fino a sera tardi, e Steve aveva trovato altri lavori da fattorino che gli occupavano tutta la giornata.
La guerra li stava colpendo più di quanto potessero immaginare.
La sera rientravano a casa stremati, e spesso Sarah restava per i turni di notte al pronto soccorso.
I due ragazzi si sedevano intorno al tavolo di legno, una fioca luce illuminava di poco la stanza, sorseggiavano qualcosa di caldo quando ne avevano l'occasione, e poi andavano a dormire.
Bucky giocherellava con il bicchiere di vetro che aveva fra le mani, il contenuto era quasi finito -birra, l'unica cosa che riusciva a dare tregua al ragazzo- gli occhi erano stanchi, il viso segnato da occhiaie scure, ma i suoi lineamenti giovani e scattanti continuavano a dargli la sua solita espressione furba.
Steve aveva i gomiti poggiati sul tavolo, le mani magre e fredde arruffavano i capelli chiari;
«La prossima settimana richiederò l'arruolamento.» disse il moro, ed anche se Steve stava praticamente dormendo ad occhi aperti dalla stanchezza, prestò attenzione alle parole del compagno, senza dare all'occhio le sue emozioni.
Annuì, bagnandosi le labbra secche; «Già, mi sembra una buona idea.»
Bucky alzò le sopracciglia in modo ingenuo, e pensare che si sentiva tremendamente in colpa, aveva paura di dirglielo, di poterlo ferire, di poterlo fare sentire in qualche modo abbandonato.
«Verrò con te.» quell'affermazione sicura da parte di Steve, fece tramutare il viso di Barnes.
«Come scusa?» domandò lui aggrottando la fronte e scrollando la testa.
«Verrò con te, mi arruolerò anch'io. Cosa credi? Che io rimanga a distribuire giornali mentre uomini coraggiosi continuano a morire sul campo di battaglia? Io voglio contribuire a questa guerra, voglio dare il mio aiuto. Ho tutti i requisiti di un bravo soldato; sono coraggioso, sono ostinato...»
Bucky non gli lasciò concludere la frase, non pensando minimamente a ciò che stava dicendo, posseduto dalla preoccupazione:
«Ma non hai la forza.»
Un tremendo silenzio li inghiottì per pochissimi istanti, ed immediatamente Bucky si pentì delle sue parole, divorato dagli occhi increduli e delusi di Steve.
«Mi hai sempre detto di non sottovalutarmi. Che ero forte più di chiunque altro. E adesso? Te ne esci fuori con questa storia? Non mi importa di ciò che pensi, io andrò in guerra costi quel che costi, come chiunque altro.» rispose Steve in cagnesco non scomponendo il suo tono autoritario.
«Infatti è ciò che continuo a pensare, ma non resisteresti un giorno in missione! Come farai se una crisi d'asma ti cogliesse nel bel mezzo della notte? Oppure i tuoi reumatismi! Sai benissimo che con le temperature basse riesci a stento a reggerti in piedi, figuriamoci a correre armato in mezzo alla neve! O la tua sinusite, Dio Stevie, potresti anche morire con una delle tue palpitazioni cardiache!»
Steve sbattè le mani sul tavolo, facendo strizzare gli occhi al maggiore, per il rumore che aumentò il suo mal di testa.
«Sarebbe finalmente ora! Almeno morirei coraggiosamente, morirei per una causa giusta, morirei combattendo piuttosto che marcire su un letto senza poter respirare!» sbraitò esasperato.
«Tu combatti ogni giorno, razza di idiota! Possibile che non te ne renda conto?!» quando Barnes alzò la voce, la durezza nel volto di Steve si sciolse; «Combatti la tua guerra a testa alta, sfidanti tutto e tutti! Sfidando il tuo corpo, sfidando la gente che ogni giorno si approfitta di te, sfidando il mondo intero! Ad esempio, io e te: chi sarebbe in grado di fottere il sistema in questo modo? Chi riuscirebbe a mantenere la calma davanti al proprio ragazzo che filtra con una gallinella qualunque pur di tenere salvo il nostro rapporto?» disse Bucky, concludendo la frase sorridendo per sdrammatizzare, allargando quelle dolci e carnose labbra.
Steve abbassò gli occhi, rispondendo con voce roca: «Non è questo il punto, Buck. Sono stanco di tutto questo. Voglio essere qualcuno.»
La mano forte e calda di Bucky strinse dolcemente quella fredda e magra di Steve, che si irrigidì di colpo cercando di fare il duro. Ma il calore di quel tocco era come un anestetico.
«Tu sei qualcuno, per me. Tu sei il mio mondo.» il moro annuì con dolcezza, mentre Steve sospirò stanco.
Stava per rispondere, ma il rumore della porta che si aprì attirò l'attenzione dei due.
La madre di Steve era tornata, poggiò il giaccone strappato sull'attaccapanni. Steve non l'aveva mai vista ridotta in quello stato. I capelli chiari crespi, in disordine, sfuggiti dall'acconciatura improvvisata, alcuni incollati alla fronte umida di sudore. Gli occhi spenti, ormai privi di vita, distrutta dal dolore e dalla stanchezza. Era più magra del solito, non era mai stata una donna in carne, e in quel periodo, dopo la morte del marito e il lavoro massacrante, il cibo era solamente una priorità che la sosteneva per affrontare la giornata. Ma quell'eccessiva magrezza, quel colorito grigiastro, erano innaturali.
Non ebbe nemmeno il tempo di posare la borsa in terra, che una tosse catarrosa quasi la soffocò, solo a sentire quell'assordante verso la gola faceva male. Una mano tremolante era poggiata sul petto, che sobbalzava senza controllo a causa della tosse, evidentemente le faceva male, non lo diceva, ma non poteva mascherarlo.
Steve si avvicinò a lei, poggiandole una mano sulle fronte:
«Scotti, sicuramente hai la febbre. Ti accompagno immediatamente a letto.» disse preoccupato il figlio, prenderla sotto braccio.
Bucky andò avanti, preparando velocemente il letto per la stanca donna malata, che si schiarì la gola dolorosamente, dicendo a bassa voce e con gli occhi socchiusi:
«Mi hanno spostata al reparto tubercolosi.»
Steve si fermò di colpo, guardandola serio e preoccupato; «Da quanto tempo?» le domandò.
La donna sorrise stanca, forse per colpa della febbre, rispondo: «Una settimana circa... Non preoccuparti Steve, sono solamente un po' stanca....»
Il ragazzo si voltò immediatamente verso la porta, trascinando la madre controvoglia, che voleva solamente riposare.
«Dobbiamo portarti in ospedale.» Bucky li raggiunse velocemente, avvolgendo la fragile donna fra le braccia.
«Steve ha ragione, non c'è tempo da perdere.» James disse ciò, e Sarah crollò fra le sua braccia, svenuta.L'ospedale era un posto grigio e affollato; tutte le infermiere erano in servizio per prestare soccorso ai numerosi malati, che sostavano persino nei corridoi. Immediatamente un medico di mezza età portò con se la signora Rogers, lasciando i due ragazzi in sala d'attesa, o almeno, somigliava ad una sala d'attesa, riempita di pazienti sofferenti.
Rimasero in silenzio, preoccupati e stanchi, seduti su due sedie di legno con le spalle al muro giallastro.
«Era... Era da tanto tempo che non venivo in ospedale.» Steve parlò con la voce roca, sforzandosi di sorridere amaramente, aveva un tremendo bisogno di parlare, di sdrammatizzare quella situazione.
Bucky gli sorrise, guardandolo negli occhi, con i gomiti poggiati sulle ginocchia;
«Beh, meglio così, non credi?» cercò ancora di sorridere, per tirarlo su di morale, ma il labbro del ragazzo si era serrato, e la paura aveva ormai preso il sopravvento.
Bucky gli poggiò una mano sulla spalla, massaggiandola con sicurezza, avvicinandosi di più al suo viso:
«Ehy, vedrai che andrà tutto bene. Tua madre è una donna forte, sicuramente è solo un po' di febbre...»
«Non posso perdere anche lei, Buck.» nella voce di Steve si percepì una disperazione che James non sentiva da tanto tempo. Avrebbe voluto avvolgerlo fra le sue braccia e stringerlo forte, senza lasciarlo mai più, ma con tutta quella confusione, con tutti quegli occhi puntati contro, doveva tenere tutto dentro, come sempre.
No.
Bucky era stanco, stanco, Steve aveva bisogno di lui, come amante, come compagno, come amico, come supporto. Così, fece un gesto che lasciò allibito il minore.
Poteva sembrare una cosa tremendamente stupida, magari alcuni non ci avrebbero fatto caso, o altri ancora avrebbero pensato che fosse solo un gesto di fratellanza, due fidati amici d'infanzia che si supportano a vicenda.
Bucky avvolse con in braccio il collo del ragazzo, spingendolo sul suo petto, e chiudendo il pugno, come per solidificare quel legame, per rendere il tutto più ingenuo possibile.
Steve restò rigido, era la prima volte che osavano un contatto fisico così vicino davanti a così tante persone, e non sapeva proprio come reagire in risposta. Decise di restare fermo, di sentire con ogni suo centimetro di pelle, quel braccio stretto sulla sua nuca, che lo costrinse a poggiare la testa sulla spalla del maggiore.
Chiuse gli occhi solo per un momento, inspirò il profumo dolce della camicia di Bucky, quel profumo che hanno le cose buone, quel profumo che ti fa' sentire a casa.
Steve sospirò, stringendo i pugni, e sentendo solleticare l'orecchio quando Barnes gli sussurrò: «Ci sono io, tu non mi perderai mai. Troverò sempre un modo per ritornare da te.»
Senza nemmeno rendersene conto, si erano addormentati su quelle scomode sedie, in quella sala che odorava di umido. Il vocio continuo dei pazienti e dei medici non li aveva infastiditi, erano crollati dallo sfinimento, con la testa contro il muro, le braccia conserte, e la spalla di Bucky come cuscino per il capo biondo di Steve.
Un'infermiera li svegliò imbarazzata, facendoli sobbalzare immediatamente.
Il moro si asciugò la bava che gli colava dal bordo della labbra, probabilmente erano le sette del mattino, e il ciuffo castano sulla sua testa somigliava ad un nido di rondine.
La ragazza era molto giovane, la sua divisa bianca era sporca sulla gonna da qualche macchia rossa e gialla, probabilmente lasciatagli come ricordo da qualche paziente. Fra le mani aveva un foglio, forse due, e in viso un'espressione disagiata ed imbarazzata.
«Il signor Rogers?» domandò lei, rendendo serio il ragazzo che cercò di sistemarsi la cravatta, anche se ad aiutarlo era sempre stato Bucky, lui era bravo in certe cose.
Il minore annuì, guardando l'infermiera con serietà.
«Mi dispiace molto. Sua madre non ha superato la notte.»
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Brooklyn ||Stucky|| ✔
FanfictionErano giovani, erano spaventati, erano ridicoli, erano avventati, erano sbagliati, ma avevano ragione. Prima che i fantasmi di Bucky lo trasformassero nel soldato d'inverno, prima che Steve diventasse Captain America, i due ragazzini di Brooklyn nas...