Quattordicesimo

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Per tutto il tempo Steve e Bucky avevano mentito davanti a tutti, apparendo come due buoni amici, come se nulla fosse mai accaduto. Ogni sospetto era totalmente impensabile, così bravi a fingere e a nascondere i propri baci; si, su quello erano davvero dei maestri. All'inizio l'idea di ripetere quel gesto intimoriva Steve, che preferiva farlo la notte, quando tutti dormivano, alzandosi dal suo letto nella totale oscurità, camminando in punta di piedi sul pavimento scricchiolante per poi sedersi sopra il busto di Bucky, che lo aspettava con dolcezza ed impazienza, trovando fra il totale buio, solamente orientandosi con il rumore del suo respiro, quelle tenere labbra che lo accompagnavano con più foga e passione, stringendosi l'uno fra le braccia dell'altro, per poi sussurrare ogni notte :
«Buonanotte Buck.»
«Buonanotte mio dolce Stevie.»

La primavera aveva lasciato posto ad una calda estate di città; finalmente la scuola era finita, e le condizioni di James erano migliorate di netto, quasi non si notava più la sua andatura zoppicante.
Le vacanze estive a Brooklyn non erano proprio il massimo per due adolescenti. I ragazzi più benestanti si spostavano verso i lussuosi hotel del centro città, mentre per i poveri comuni mortali, una fiera dell'usato una volta ogni tanto era tutto ciò che poteva rendere le loro vacanze indimenticabili.
Steve e Bucky erano soliti a stare in casa. I signori Rogers lavoravano comunque, non potevano permettersi giorni di ferie, avevano una famiglia da mantenere. Poteva sembrare egoista pensarlo da parte dei due, ma i loro lunghi turni lavorativi non gli dispiacevano affatto, anzi, avevano tutto il tempo a disposizione per loro due: per dedicarsi a battaglie con aeroplani di carta, per scoppiare a ridere fra scherzi e battute, per rincorrersi come due bambini per le scale, ma soprattutto, per sdraiarsi sul pavimento fresco e baciarsi, incrociando i polpacci fra le gambe di ognuno, creando un groviglio indistruttibile.
Certe volte, rimanevano solamente in mutandoni bianchi, quando il sole di mezzogiorno rendeva le case dei forni.
Bucky restava seduto di spalle sul pavimento, con le gambe incrociate, a creare bizzarre cerbottane spara-palline di carta. La muscolosa schiena del quindicenne, lucida di sudore e scolpita da un fascio di nervi perfettamente armoniosi nel corpo di quel ragazzo, incantavano Steve, che restava ore a fissare quello spettacolo, studiando ogni ombra e linea della muscolatura, per riprodurla più e più volte sul loro quaderno. A lavoro finito, mostrava il disegno a matita a Bucky, che restava sempre allibito da così tanta bravura e maestria da parte del minore.
Era un tremendo ed afoso giorno di giugno, quando due stupidi adolescenti soli a Brooklyn ebbero la felice idea di portare i cuscini del divano nella loro stanza, e disporli in una fortezza polverosa. Perché mai avrebbero dovuto entrare fra quelle fonti di carole estreme come quando erano bambini, e soffocare nell'afa? Nemmeno loro lo sapevano, ma non la reputarono affatto una cattiva idea, per il semplice fatto che ebbero l'opportunità di stringersi a torso nudo, sudati e accaldati, fra quelle stoffe scure.
«Buck, ho un regalo per te.» disse soavemente ed imbarazzato il biondo, con la fronte sudata.
Il maggiore si drizzò, girandosi verso il compagno, che prese dal quaderno un foglio stracciato.
Le mani umidicce di Bucky lo aprirono davanti ai suoi occhi, esaminando con stupore un bellissimo disegno che ritraeva due ragazzi, due uomini stretti insieme, fatto con l'inchiostro nero che accentuava i punti di chiaroscuro fra le sovrapposizioni dei due soggetti.
«So' che non è molto, e sono sicuro che sia venuto talmente sgorbio che Leonardo Da vinci si sia rivoltato nella tomba, ma l'ho fatto pensando a noi.» spiegò con un mezzo sorriso, guardando il ragazzo che continuò a fissare incantato quel foglio a righe.
«No, è perfetto. Il regalo più bello che potessi farmi.» sussurrò sospirando, bagnandosi le labbra secche.
Steve sorrise imbarazzato, ricevendo una marea di cuscini in testa quando James scattò in piedi, affermando sicuro: «Vestiti, Rogers! Stasera andiamo al ponte vicino il fiume!»
Steve rise, amava ogni idea che passava nella testa di quello squilibrato, di quel meraviglioso ragazzo che si piegò e sfiorò le sue labbra, con gli occhi chiusi, per affondare con più piacere in quel sogno che era la sua bocca.
I genitori di Steve avevano il turno di sera quel giorno, i due adolescenti avevano il permesso di uscire in loro assenza, a patto che avessero rispettato il copri fuoco stabilito. Calò la sera, finalmente si respirò aria fresca, e le cicale nei pochi alberi e siepi delle strade strillarono in maniera insopportabile.
Bucky corse, seguito da Steve, verso il luogo in cui aveva promesso di portarlo. Un ponte umidiccio in pietra nella strada di campagna che portava nel loro posto segreto fra le spighe gialle; sotto di esso scorreva un fiume, che in realtà era un piccolo ruscello cristallino che tracciava il sentiero fra le rocce e il muschio.
Si inoltrarono sotto il fresco riparo, che in confronto al loro castello di cuscini afoso, era un'osai. Fecero attenzione a non cadere nell'acqua, ma il buio rendeva difficile non inciampare fra i ciuffi d'erba.
Alla fine, riuscirono a sedersi sani e salvi sulle sponde del corso d'acqua. Il rumore del ruscello solleticava le orecchie, un personale concerto dedicato ai due ragazzi.
L'erba umida sporcava i loro pantaloncini scuri, e le ginocchia avevano preso la stessa tonalità della terra. La luce della luna era l'unica cosa che permetteva ai due di guardarsi negli occhi, come se quei due zaffiri cobalti riuscissero a far respirare l'altro.
Bucky si avvicinò a Steve, gli accarezzò dolcemente il collo, tanto da fargli socchiudere gli occhi e farlo respirare con le labbra semichiuse, mentre il minore si avvicinava sempre di più al calore di James, che sorrise dolcemente quando Steve poggiò una mano sulla sua gamba.
Nascosti da tutti, sicuri, in quel piccolo angolo di paradiso che sarebbe potuto diventare anche il loro inferno, si baciarono quasi come fosse la prima volta. I baci che si davano di solito erano brevi e frettolosi, per la paura di essere scoperti, per il costante timore del giorno; ma lì, in quel meraviglioso luogo, riuscirono a liberare tutto l'amore che avevano represso per tutto quel tempo.
I loro fiati si separarono a pochi centimetri di distanza, lasciando sulle loro labbra dolci e ingenui sorrisi, che solamente due giovani innamorati potevano creare, guardandosi negli occhi con l'aiuto della luna che continuava ad illuminarli, Bucky disse:
«Allora, siamo fidanzati?»
Steve lo guardò ancora, sorrise mordendosi il labbro inferiore, accarezzando i capelli scuri di Barens, annuendo:
«Si, siamo fidanzati.»

Tornarono a casa al solito orario, anche se la notte era ancora giovane, ma rispettarono senza troppo e storie le regole date dai genitori di Steve. Chiusero la porta alle loro spalle, ridendo e scherzando entusiasti, quando il signor Rogers andò da loro, serio e freddo.
I due si pietrificarono immediatamente a quell'insolito comportamento, chiedendo con lo sguardo cosa c'era che non andasse.
«James, abbiamo spostato la tua camera in soffitta.» avvertì gelidamente l'uomo, incrociando le braccia.
«Cosa?» chiese aggrottando la fronte Steve.
«Smettete di comportarvi da bambini, oggi avete lasciato i cuscini del divano in camera di Steve, sarebbe ora di uscire con delle ragazze.» la sua risposta fu come una coltellata al petto. Era un chiaro messaggio di avvertimento, sospettava qualcosa, e non potevano permettersi di commettere un tale errore.
L'espressione del figlio era visibilmente ferita e terrorizzata, se non fosse stato per Bucky, che sdrammatizzò con più naturalezza possibile:
«Ha ragione, signor Rogers! Ci dispiace di aver lasciato quel caos, avevamo solamente fretta di uscire. È stata una buona idea separaci, ormai abbiamo bisogno ognuno della nostra privacy.» sorrise serenamente, come se quella situazione non l'avesse ferito minimamente. Sorrise un'ultima volta, salendo le scale e chiudendosi in soffitta. Steve restò un istante soltanto ancora in mobile, sforzandosi di trattenere la sua delusione, di mascherare il dolore nei suoi occhi, ispirando con calma e andando in camera sua.
Rogers diede una pacca sulla spalla al figlio, scrollandolo disse: «È ora di crescere, figliolo.»
Steve serrò le labbra, annuendo sicuro, camminando a passo veloce e sbattendo la porta alle sue spalle.
Si chiuse a chiave nella sua camera, guardando lo spazio vuoto, lì dove prima c'era il letto di Bucky. Con gli occhi lucidi, sopraffatto dalla paura di essere scoperto e dalla tristezza di non sentire più la splendida voce di James nel buio, e di non baciarlo prima di addormentarsi, iniziò a piangere silenziosamente. La punta del naso era diventata rossa, così come le orecchie, di quel colore che Bucky amava così tanto. Ebbe un singhiozzo così forte da provocargli una fitta al petto. Doveva trattenersi, Bucky non avrebbe mai voluto vederlo piangere, non poteva farsi mancare il respiro.
Pensò all'estrema calma delle parole del moro, divorato dal dubbio che forse James pensasse davvero quelle cose, pensasse davvero di dover frequentare delle ragazze.
Lanciò la prima cosa che trovò a portata di mano, il loro quaderno.
Il labbro inferiore stava quasi per sanguinare a furia di morderlo per la rabbia e nel tentativo di trattenere i singhiozzi, che si fermarono quando dal quaderno aperto uscì un foglio con un disegno a matita.
Quello che aveva fatto non molto tempo prima, due volti così familiari e fini, sfumati, che ritraevano loro due. Con un sorriso che dava profondità al disegno più delle sfumature. Si inginocchiò sul pavimento, raccogliendo con dolcezza quei fogli di carta, sfiorando con più cura quel disegno. Lo amava, e nessuno avrebbe mai potuto divederli.
Si gettò sul letto, affondando il viso sul cuscino, sperando che quella solitudine non sarebbe mai stata disturbata.
Bucky si trovò in quella buia soffitta, un po' polverosa e opprimente, d'altronde....
Si sedette sul bordo del letto, poggiando una mano sulla testa, ed imprecando.
Tirò fuori dalla tasca il piccolo pezzo di carta che aveva piegato con cura, quello su cui Steve aveva ritratto quel disegno dei due ragazzi, di loro.
Terrorizzato dal pensiero che qualcuno potesse trovare quel regalo meraviglioso, si alzò di fretta, tastando il muro, e strappando un piccolo pezzo di carta da parati nella parete davanti al letto, creando come una piccola sacca.
Fissò un'ultima volta il disegno per marchiarlo a fuoco nella sua mente, ed infine lo nascose tra la carta da parati.
Si sdraiò sul letto con le mani dietro la testa, fissando quel piccolo rigonfiamento, e non riuscendo a smettere di pensare a come si sentisse amareggiato il suo Steve in quel momento.

Brooklyn ||Stucky|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora