Sedicesimo

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Effettivamente fu come aveva predetto Steve: quel magico momento di passione aveva lasciato il segno. Poteva sembrare esilarante ed imbarazzante allo stesso tempo, ma il biondo non riuscì molto bene a nascondere quel dolore causato dal suo compagno, che si sentiva tremendamente dispiaciuto. Ma a Rogers non importava, era la cosa migliore che avesse mai fatto in tutta la sua vita, qualcosa che gli sarebbe rimasta impressa nella mente per sempre, che nessuno dei due sarebbe mai riuscito a dimenticare.
Riuscivano a gestire bene la scelta del padre di Steve, ma certe volte, quando le sere estive diventavano più afose e insonni, ciò che ai due mancava di più era la semplice presenza nella loro stanza l'uno dell'altro. Solamente quella divisione imposta poteva separarli, per quanto il mondo trovasse dei modi contorti per allontanarli, Steve e Bucky si ritrovavano sempre, riuscivano a rimanere insieme.
Le vacanze estive, e i turni di lavoro estenuanti dei coniugi, permettevano ai due una libertà quasi paradisiaca, fra quelle mura grigiastre, le giornate trascorrevano fra risate, carezze e baci.
Non era stato semplice riflettere su quello che avevano fatto; quando avrebbero fatto ancora sesso? Dove lo avrebbero fatto? Quando? Come? Tutte domande che continuarono per pochissimo tempo, trasformate in fatti quando Bucky e Steve trovarono quel loro posto segreto a Brooklyn, nel vecchio hotel abbandonato, e diedero inizio ad un'altra irrefrenabile valanga di sesso, ogni giorno, senza sosta. Da quel momento in poi, la vergogna di fare l'amore come chiunque altro innamorato del mondo non li intimoriva più, quando la foga li coglieva, in solitudine, e la loro pelle umida di sudore si fondeva assieme ai loro respiri, si sentivano al sicuro nel posto appartato in cui avevano trovato la pace, e che avevano fatto proprio.
La strategia di Steve di cercare una ragazza non era ancora stata messa in atto da Bucky. Rimandava sempre le proposte del minore, forse perché semplice non voleva farlo, non se la sentiva di tradire in quel modo il suo ragazzo, non aveva il coraggio di guardare negli occhi una ragazza e di negarle le normali avance e carezze che faceva al suo soldatino dalla pelle chiara.
La scuola sarebbe ricominciata a breve, poche settimane al massimo, un contesto perfetto per cercare di allontanare l'attenzione di tutti su di loro. Quella sera il piccolo cinema del centro città avrebbe trasmesso un film sulla prima guerra mondiale in anteprima. Un fenomeno straordinario per quei tempi, per due ragazzi appassionati dalla battaglia.
Bucky colse il suo Steve intento a maneggiare le sue scarpe di seconda mano.
«Cosa diavolo stai facendo?» domandò ridendo, gesticolando con le braccia aperte, mentre il biondo continuava il suo lavoro dando le spalle al maggiore.
«Avanti, punk, cosa combini?» insistette avvicinandosi a lui, con impertinenza.
Steve cercò di allontanarsi, stringendo al petto le scarpe color nocciola, strappando con le ginocchia dei fogli di giornale messi sul pavimento.
«D'accordo! Se proprio insisti!» si lamentò il più piccolo, mettendosi a gambe incrociate con le calzature sulle ginocchia e la carta appallottolata fra le mani.
«Le scarpe di papà mi stanno troppo grandi, per non farle uscire metto i fogli di giornale...» spiegò irritato, con le guance rosse dall'imbarazzo da quella ridicola azione. Bucky si inginocchiò, accartocciando un foglio su cui c'era stampata a caratteri cubitali la cronaca sulla politica, e riponendola con cura dentro la scarpa di Steve.
«Credo che sia la cosa più ingegnosa e dolce del mondo. Chi mai riuscirebbe ad escogitare una cosa del genere?! E poi, sei consapevole del fatto che non riesco a resistere ad ogni tua idea....» disse Bucky, facendo arrossire ancora di più il biondo, come se fosse la prima volta che il suo Bucky gli dicesse qualcosa di carino.
James si alzò in piedi ammiccando e lanciando al ragazzino due piccoli ritagli di carta rosa. Rogers li prese confuso, leggendo ciò che c'era scritto.
«Stasera ti porto al cinema!» la voce squillante e sicura del moro tolse le parole di bocca a Steve, immensamente felice per quell'invito speciale. Amava il cinema, aveva visto si e no due film in tutta la sua vita, per lo più cortometraggi, ma quell'atmosfera di buio in sala, quelle proiezioni sullo sforno difronte a lui, gli trasmetteva un senso di magia.
Bucky scese le scale con disinvoltura e sicurezza, seguito da Steve che, emozionato e spaventato, gli disse: «E se ci scoprissero? Noi due soli al cinema? Non...»
Il moro si voltò alzando le sopracciglia; «Quale ragazza verrebbe a vedere un film di guerra? Coraggio, siamo solo due amici che fanno a botte da bravi maschiacci.» ammiccò lui in risposta, indossando la giacca marrone.
Steve si fermò, annuendo sarcasticamente: «Le botte che mi dai tu sono abbastanza diverse da quelle degli altri maschiacci.»
Bucky sorrise scrollando la testa e chinando in capo divertito, prendendo il berretto di Steve fra le mani: «Vuole che le metta anche la giacca, signora, o possiamo andare?»
Steve sbuffò, rimanendo al gioco con un mezzo sorriso imbarazzato, allacciandosi le scarpe e seguendo il suo compagno fuori di casa.
Fuori, il vocio della città era animato, la luce dei lampioni e dei negozi accecava gli occhi, mentre la notte lontano dai palazzi inghiottiva ogni cosa. Per raggiungere il cinema avrebbero dovuto prendere la metropolitana. Giunti alla stazione un improvviso senso di ansia e terrore persuase Barnes. Era la prima volta che ritornava in metro dopo l'incidente, erano passati anni, i lavori di ristrutturazione avevano cancellato ogni traccia di quella tremenda tragedia, ma nella mente del ragazzo le immagini di quel giorno in cui aveva perso i suoi genitori continuavano a navigare senza controllo.
Iniziò a palpitare, come un animale spaventato, i pugni stretti che rendevano le nocche bianche. Steve notò immediatamente lo stato d'animo di Bucky. Si avvicinò di più a lui, tranquillizzandolo a bassa voce:
«Buck, se vuoi possiamo tornare a casa.»
Avrebbe tanto voluto stringergli la mano, dirgli che andava tutto bene, stringerlo al suo gracile petto e massaggiargli la schiena. Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa per consolarlo, ma davanti a tutta quella gente, tutto doveva rimanere freddo e tristemente malinconico.
Il maggiore regolò il suo respiro, guardò gli occhi smeraldo al suo fianco, che valevano più di mille strette di mano o abbracci. Si fece coraggio, doveva dare un taglio a quel stupida fobia, doveva comportarsi da uomo, da vero soldato, da vero coraggioso. Doveva farlo per Steve.
Annuì sorridendo dolcemente, riacquistando un colorito roseo, e continuando: «Coraggio, muoviamoci o arriveremo tardi!»
Il viaggio in metro fu breve, la caviglia di Bucky era ormai guarita, ciò significava che le corse scatenate ed euforiche del ragazzo avevano ripreso a trascinare con sè il minore.
Arrivarono giusto in tempo, prima che lo spettacolo iniziasse, erano seduti nelle comode poltrone in alto, quelle più vicine al proiettore, che li separava completamente da tutto il resto del pubblico.
Si sentivano sereni, si sentivano loro stessi. Le luci si spensero, i titoli di coda comparvero sulla sfondo bianco, e Bucky ne approfittò per sussurrare a Steve con un mezzo sorriso: «Sai... A volte penso che se non avessi me, non ci sarebbe una sola persona al mondo in grado di capirti veramente.»
Quella voce bisbigliata con sincerità e sicurezza lasciò a Steve un segno indelebile. Era la prima volta che Bucky si sbilanciava così tanto in un luogo così affollato. Certo, nessuno era riuscito a sentire quelle parole, tantomeno Buck aveva urlato di amarlo alla follia, ma Steve, lui sapeva perfettamente il vero significato di quella frase. Lo sapeva, e lo amava.
Tornare a casa quella sera, dopo il film, fu meglio di qualsiasi dolce carezza di cui il padre li aveva privati separando le loro camere. Era questo che a loro bastava, spesso la gente non apprezza la bellezza delle piccole cose. Ogni piccolo gesto per i due ragazzi era prezioso come l'oro.

Brooklyn ||Stucky|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora