Ottavo

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«Stevie...» una voce stridula e bassa chiamò Rogers, sdraiato sul letto, addormentato beatamente fra le coperte. La primavera era iniziata, il gelido freddo che abbatteva il piccoletto stava pian piano scomparendo, ed il caldo sole di marzo riscaldava le strade.
Steve mugugnò, strofinando con il polso la punta del naso che solleticava. Aprì gli occhi, un po' annebbiati dalla dormita, trovando Bucky seduto accanto a lui con le gambe incrociate, scattante e allegro, con una spiga di grano in mano.
«Buck, cosa...?» disse mettendosi seduto e scrollandosi di dosso le coperte, grattandosi i chiari capelli scompigliati.
«Alzati dormiglione! È sabato! E fuori c'è un sole che spaccava le pietre, andiamo a giocare!» esultò saltando giù dal letto con il suo vecchio berretto da generale impolverato; alcuni oggetti personali di James erano stati presi da casa sua, dopo il funerale dei suoi genitori la casa era stata messa all'asta, dato che nessun parente lontano aveva contatti con la famiglia Barnes. Bucky aveva chiesto di poter prendere giusto gli oggetti a cui teneva di più; alcuni vestiti, il berretto, la sua vecchia palla impolverata, una giacca di suo padre e la collana di sua madre, quella con cui adorava giocherellare da bambino quando la donna lo prendeva in braccio, e lui poteva sentire il buon profumo dei suoi vestiti.
Steve, ancora per metà nel mondo dei sogni, si abbottonò la piccola camicia bianca, guardando meglio Bucky che teneva tra le labbra la spiga gialla.
«Dove l'hai presa quella?» domandò.
Il moro fece spallucce sarcasticamente: «In un posto segreto.»
Steve, ingenuamente, si fece avanti, curioso: «Posto segreto?» replicò.
Bucky annuì a braccia conserte, continuando: «Sveglia, cretino, oggi compi 14 anni! Devo portarti a vedere la sorpresa che ti ho preparato!» allargò le braccia verso l'alto gesticolando allegramente, lasciando Steve senza parole.
Ogni anno era sempre la stessa storia, al biondo non importava tenere conto dei giorni che mancavano al suo compleanno, per lui era una festa inutile, lo pensava perché alle feste che organizzava sua madre nessun ragazzino del quartiere o compagno di scuola si presentava, nessuno tranne Bucky. Ogni anno James escogitava diverse sorprese, sapendo soprattutto, che il festeggiato prendeva alla leggera il proprio compleanno, rimanendo, come fosse la prima volta, sempre sorpreso.
Bucky aveva compiuto 15 anni. Quell'anno non era proprio buono per festeggiare, dopo l'incidente, qualcosa in lui era cambiato, qualcosa lo aveva reso più autonomo e maturo. Steve gli aveva regalato un sacchetto di caramelle; purtroppo il suo regalo avrebbe dovuto essere un altro, una bicicletta esposta alla vetrina del negozio di articoli sportivi giù in centro. Buck aveva da sempre adocchiato quel veicolo a due ruote di color rosso, lanciando uno sguardo all'articolo ogni volta che passavano di lì di ritorno da scuola. Steve voleva a tutti i costi regalargliela, se lo meritava, così il più piccolo si rimboccò le maniche e, di nascosto da tutti, escogitò diversi modi per raccogliere il gruzzoletto necessario per la bicicletta. Dopo scuola, tutti i giorni, diceva a Bucky che avrebbe sostato un'ora dalla signora Manson per prendere ripetizioni scolastiche, quando in verità andava a smistare i sacchi di lettere alla posta; la mattina usciva mezz'ora prima di Bucky, andando a distribuire i giornali per i quartieri più vicini. Alla fine, dopo quasi un mese di duro lavoro era riuscito a raccogliere la somma necessaria per il regalo, ma arrivato al negozio, la bici non c'era più. Il figlio del banchiere l'aveva già comperata la mattina, quando lui era a scuola. Era arrivato troppo tardi. Un senso di delusione e rabbia aveva annebbiato la mente di Rogers; Perché? si era domandato; Perché non poteva sdebitasi in qualche modo con Bucky? Per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto per lui, per renderlo felice dopo la morte dei suoi genitori, per veder semplicemente le sue dolci labbra alzarsi in un sorriso, imparare a memoria la linea degli spigoli della sua bocca che si alzavano verso le stelle, così da poterlo disegnare.
Rassegnato, alla fine aveva comperato solamente un sacchetto di caramelle colorate, qualcosa che Bucky amava, senza dubbio, ma non fu quello che avrebbe voluto Steve.
Scesero le scale di corsa, fermandosi al certo della strada riscaldata dai raggi del sole, godendo il calore della luce sui loro visi.
«Vieni!» Bucky lo prese per mano e lo trascinò a passo veloce verso il centro della città, davanti al negozio di dolciumi: «Dato che per il mio compleanno mi hai regalato quella montagna deliziosa di caramelle, tocca a te scegliere quale zucchero deve cariarti i denti!» annunciò cercando di essere serio, rubando un sorriso a Steve.
«È questo il posto segreto di cui parlavi?» domandò curioso.
«Certo che no! Questa è soltanto la prima parte della mia sorpresa!» esultò entusiasta, fermandosi però al suono di un lamento.
Entrambi sentirono ancora una volta quei vagiti.
«Lo senti anche tu?» chiese Bucky. Steve annuì, socchiudendo gli occhi ed avvicinandosi al vicolo dietro il negozio, cercando di seguire la natura di quel rumore.
Nella strada umida e puzzolente un vocio di ragazzini divertiti rimbombava; cinque ragazzi dell'età di James erano messi in cerchio, intorno a qualcosa che emetteva i lamenti.
«Cosa state facendo?» Steve alzò la voce, autoritario, stanco ormai di essere sempre lo scarto debole della situazione.
Tutti si girarono, guardando di malo modo i due, che notarono cosa stavano calciando con tanta perspicacia; un cane color miele, un bastardino probabilmente, simile ad un labrador, però più tozzo e basso, malnutrito e tremolante, era rannicchiato su se stesso, in cerca di ripararsi dalle pedate dei suoi aggressori.
«Qualche problema, tappeto?» il capo di quel branco di teppisti si fece avanti, il figlio del banchiere, lo stesso che aveva rubato il regalo di Buck.
«A dire la verità si, perché stavate picchiando quel povero animale?» continuò Steve, non accennando paura per la pericolosa vicinanza dei cinque, coperto alle spalle da Bucky, che si mise subito sulla difensiva.
«Fatti gli affari tuoi, asmatico, e torna con la tua amichetta a cucire gonnelline.» il ragazzo con i capelli leccati da chili di gel, rispose con un tono simile ad una canzonetta, facendo ridere i suoi amici.
«Steve, forse è meglio andare.» gli sussurrò all'orecchio Bucky, ignorato completamente dal sorrisetto ostinato del biondo che disse: «Perché non te la prendi con qualcuno della tua taglia?»
Delle sgradevoli e grasse risate stonarono le orecchie dei due, irritati sempre di più.
«Con chi dovrei prendermela? Con te, storpio?» il ragazzaccio ricevette senza aspettarselo, un pugno in faccia; il riccone si accasciò dolorante in terra, a causa della botta sul naso, imprecando sottovoce, facendo segno ai suoi compagni di tenere fermi i due.
I quattro massicci ragazzi bloccarono per le braccia Steve e Bucky, che si dimenavano come due animali intrappolati.
«Ti insegno io a caricare un pugno, stronzetto» ringhiando quelle parole, il ragazzo con il naso umido di sangue, tirò un pugno al centro del volto di Steve, che per poco non perse i sensi.
«No! Lasciatelo!» urlò Bucky scalciando con tutta la forza che aveva.
La vista di Rogers si fece doppia, vedendo ben due ragazzi che tirarono un calcio al suo stomaco. Steve tossì, sputando della saliva, rimasto senza fiato.
«Bastardo, prenditela con me!» continuò a sbraitare Bucky, pieno di ira, ma soprattutto paura, sicuro che quei colpi avessero ucciso il suo fragile Stevie.
Il minore, respirando a fatica, alzò tremolante il capo, il suo ciuffo biondo sugli occhi rossi, umido di sudore, gli solleticò la fronte, una piacevole sensazione distrutta da un altro colpo in viso;
Si inginocchiò, sputando un grumo di sangue ed ansimando senza respiro; "dannato asma" pensò "non è il momento"
Un altro doloroso pugno era pronto per essere ricevuto da Steve, quando un tonfo interruppe tutto. Steve aprì gli occhi, almeno, quello non gonfio dall'attacco, sentendo che la presa dei ragazzi si era allenata alle sue braccia, e che difronte a se, il ragazzo era a terra, sottomesso dal peso di Buck, che dava pugni e gomitate al ragazzino, che implorava perdono come una femminuccia.
Quando nemmeno i suoi amici riuscirono a levargli di dosso James, e le sue nocche furono doloranti e sporche di sangue, Bucky si alzò, strattonandolo per il colletto della camicia, e costringendolo a stare in piedi.
Steve era in ginocchio con il fiato corto, gli altri ragazzi erano pronti a dileguarsi, terrorizzati da Barnes.
«Avvicinanti un'altra volta a noi, e ti mando a far compagnia a mio padre.» gli ringhiò all'orecchio, mentre il ragazzino ansimò con il sangue che colava dal labbro, terrorizzato e quasi sul punto di scoppiare in lacrime. Bucky lo spinse, facendolo scappare come un codardo seguito dei suoi amichetti.
Immediatamente il moro si precipitò da Steve;
«Oh merda Stevie, che ti hanno fatto?!» disse infuriato, massaggiando la schiena del compagno, che si agitò in un vano tentativo di respirare normalmente.
Steve tossì, sputando altro sangue, fissando in terreno in cerca di fermare tutto intorno a se, che girava in maniera vorticosa per i colpi alla testa.
«Steve?!» la voce di Buck lo stava chiamando, lui avrebbe tanto voluto rispondere, ma i capogiri erano talmente forti che un tentativo di movimento minimo lo avrebbe messo al tappeto.
«Ti porto a casa, d'accordo? Starai bene.» sussurrò, caricando il gracile biondo ferito fra le braccia. Steve non capì molto, di sicuro ebbe alcuni mancamenti nella strada per tornare a casa, ma qualcosa lo teneva sveglio, continuava a farlo lottare: il calore e la stretta delle mani di Bucky sulla sua schiena, l'immagine del suo volto affannato dalla corsa, sfocato alla vista di Steve, ma riconoscibile anche in capo al mondo per il suo ciuffo scuro.
«Resta sveglio Steve.» sentì assieme ad un ronzio acuto;
«Non puoi lasciarmi.»
Un sorriso dolorante ed ebete illuminò il biondo; «Sei l'aria che respiro.»
Poi il silenzio.

Brooklyn ||Stucky|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora