Capitolo 1

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Driin Driin
<<Papà il telefono!>>
<<Sono occupato cara, vai tu!>>
Sbuffai e appoggiai le posate sul tavolo che stavo apparecchiando.
<<Buonasera sono Ines di Dr. Pizza, come posso aiutarla?>> Chiesi al cliente in modo cantilenante.
Presi l'ordinazione sul blocchetto e dopo aver riagganciato la cornetta del telefono, mi diressi verso la cucina.
<<Ramòn! Un' Hawaiana, due margherite, una peperoni e un patitine e chili per le sette di sta sera... Ma quello é uno spinello?>> Gli chiesi io strappandoglielo di mano.
<<Ma quale spinello! Sono troppo vecchio per certe cose !>>
<<Ramòn...>> Lo ripresi, scrutando a fondo la sigaretta scura e leggermente oleosa.
<<Ok Ines, ma non dirlo a tuo padre o quello mi scuoia vivo! A proposito puoi fare un tiro se vuoi... >>.
<<Sei troppo vecchio per queste cose accidenti ... >> Scherzai, aspirandone il fumo denso per poi spegnerlo sotto la suola della scarpa e allontanarlo con un calcio.
Ramòn rise e mi strizzò un occhiolino, mentre Eddy e Dino, intenti a lavare le verdure, fecero finta di non vedere, fischiettando canzoni diverse.
Feci una smorfia a Ramòn, presi le pizze incartate sul bancone e mi dileguai dalla cucina. Lo ammetto, non sono proprio dei dipendenti normali, sono come parenti per me. Ramòn è il più squilibrato di tutti, ma non possiamo licenziarlo: si è trasferito con noi da Cuba quindici anni fa, è un amico d'infanzia di mio padre, il suo migliore amico.
Eddy viene, invece, dalle Filippine ed è arrivato qui in California pochi anni fa; si è presentato con la sua roba dentro un sacchetto di plastica e un cappellino con la visiera sfilacciata. Nessuno sa quanti anni ha o se ha dei precedenti penali; meglio così. Infine c'è Dino, anche lui cubano, il più vecchio della "combriccola", come la chiama mio padre. Anche lui aiuta in cucina: è il lavapiatti. Dopo aver ricevuto la pensione ha pensato bene di girare il mondo e sperperarsi tutto il fondo al gioco d'azzardo. Ora ha qualche problema con le banche, così mio padre lo ha assunto in nero da qualche anno. Dimentico qualcuno? Ah si! Mio fratello maggiore Raul detto anche "il bacchettone", cura le attività finanziare del locale e qualche volta fa le consegne. Mio padre ci ha portati qui a San Jose, quando avevo tre anni, dopo la morte di mia madre. Ci disse che ci avrebbe fatto bene cambiare città, forse più a lui però. Ad Avana, la nostra città natale, c'erano troppe cose che gli facevano ricordare la mamma: le macchine d'epoca dai colori sgargianti, le strade affollate, l'aria calda e frizzante cubana, la musica per le strade, tutto insomma.

Uscii dal locale, misi i cartoni nel porta-pizze del motorino, agganciai il laccio del caschetto sotto il mento e partii.
San Jose di sera è bellissima piena di luci, gente, colori, forse un po' trafficata; d'altronde è la terza per popolazione dopo Los Angeles e San Diego.
Alzai lo sguardo verso gli enormi grattacieli per perdermi nelle loro altezze infinite ed è proprio lì che mi rendo conto tutte le volte di quanto possa essere piccola ed insignificante la mia vita. Mi piacerebbe essere molto di più di una semplice pizzaiola di quartiere, vorrei essere a capo di uno di quegli enormi edifici un giorno e poter dire a me stessa e agli altri di avercela fatta. Non chiedo tanto, forse un po' si. Cosa ci posso fare, sono una sognatrice di sogni irrealizzabili.
<<MA TI VUOI SVEGLIARE RAGAZZINA? È VERDE CAZZO!>> Irruppe nei miei pensieri sognanti la voce infuriata di qualcuno dalla macchina dietro di me.
<< Rompicoglioni >> Sussurrai a denti stretti.
Alzai la mano per chiedere scusa e ripartii.

Quella sera tra servire le pizze ai tavoli e consegnarle fuori, tornai a casa esausta.
Avete presente quelle notti in cui siete troppo stanchi e non ce la fate ad addormentarvi? Mi capita da quando faccio sia la mattina che la sera al ristorante, da circa due settimane credo. Mio padre dice che devo tenere duro fino all'inizio della scuola e poi farò solo il turno pomeridiano e le sere del fine settimana. Non possiamo permetterci un altro dipendente, per questo lavoro così tanto.
Mi svestii, sciacquai la mia uniforme, la stesi fuori e mi coricai nel letto. Fissando il soffitto, pensai a quanto sarebbe stato bello avere una vita diversa, una vita migliore. I soldi non sono tutto nella vita, è vero, ma la rendono più facile alcune volte.
Fra tre giorni sarebbe ricominciata la scuola ed è sempre stato il mio forte anche se odiavo andarci, soprattutto per quelle teste di cazzo dei miei compagni. Gli insegnanti dissero che avevo la memoria fotografica o roba simile, quindi lo studio è sempre stato facile per me.
Verso l'una di mattina, la stanchezza sopraffece la mente, così girai il corpo dall'altra parte, infilai un braccio sotto il cuscino e chiusi gli occhi.

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