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«Preparami quei conti entro la giornata».

Mi alitò in viso, con il suo fiato da fumatrice e la voce roca, Celeste, il mio capo.

Mentre usciva dal mio ufficio, mi chiesi perché avevo scelto quel lavoro. Non ero un po' troppo giovane per occuparmi di tutta la contabilità della signorina Celeste? Signorina poi, insisteva per farsi chiamare così, io le avrei detto piuttosto zitella Celeste... Alla sua età era più adatto. Forse non era neanche tanto vecchia, ma il fumo le aveva ingiallito la pelle. Era inevitabile fare questi pensieri quando la si osservava.

Ad ogni modo avvicinai a me la pila di fogli che mi attendeva ed iniziai a fare i miei conti.

Fuori dalla finestra il vento autunnale ululava portando con sé le foglie secche, che si appiccicavano ai vetri. Si stava avvicinando un temporale.

Quando uscii in strada per la pausa-pranzo il cielo era ancora più scuro e minaccioso. Con la mano che tenevo in tasca, torturavo la penna di madreperla, sperando di tornare in ufficio prima che scoppiasse il temporale. Non avevo portato neanche l'ombrello, che, tra l'altro, aveva un fantastico manico intarsiato di perle.

Le perle erano la mia passione. Tutto ciò che avevo, era fatto di madreperla oppure era intarsiato con le perle. Una vera e propria mania, forse ai miei genitori era stato profetizzato perché mi avevano chiamata proprio Perla.

Entrai in un ristorante non troppo lontano dall'ufficio.

Mentre leggevo il menu, una folata di vento mi fece rabbrividire. Mi voltai automaticamente verso l'ingresso.

Un ragazzo attraversò la soglia proprio in quel momento.

Il motivo per cui non mi decidevo a tornare a leggere il menu, riguardava solo il suo abbigliamento. Non che fosse vestito male o stravagante, ma indossava solo indumenti neri. Neri! Non avevo mai indossato qualcosa di nero. Pensandoci bene l'unico colore che avessi mai indossato oltre il bianco era il grigio, grigio perla naturalmente.

Rimasi imbambolata a fissarlo per un po' di tempo. Poi anche lui mi vide ed i suoi occhi neri incrociarono i miei azzurrini.

L'imbarazzo mi fece distogliere lo sguardo e, finalmente, tornai a scegliere cosa mangiare. Che figura! Non era educazione fissare le persone come avevo fatto. Ma dovevo ammettere che la mia curiosità era stata fortemente stuzzicata da quell'estraneo vestito di nero.

Anche Alessandra non si era mai vestita interamente di nero e, a parer mio, era quella che si vestiva in maniera più sconcertante delle ragazze che conoscevo. Sembrava una combinazione tra un'artista del circo e una spogliarellista con i suoi raccapriccianti top semitrasparenti, le gonne striminzite e le calze fluo.

Cercai di dimenticare ed ordinai il mio pranzo.

Mentre pensavo ai conti da terminare che mi aspettavano, osservai sovrappensiero la cameriera che si allontanava. Il ragazzo di poco prima le piombò addosso.

Doveva avere circa la mia età.

Abbracciò la cameriera e le disse qualcosa, ma da dove ero io non riuscivo a sentire nulla.

Non riuscivo a credere a quello che mi stava succedendo. Stavo diventando una impicciona maleducata. Non erano affari miei quello che facevano loro e mi avevano pure distratta dai miei pensieri.

Eppure quel tipo attirava la mia attenzione come se fosse una calamita. Mi chiesi se avesse forse subito un lutto recentemente, ma poi cercai di guardare altrove.

Dopo un po' di tempo tornò la stessa cameriera per servirmi il pranzo. Fortunatamente il servizio era veloce, avrei potuto tornare al lavoro in breve.

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