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Erano le cinque e un quarto quando inviai i conti a Celeste. Le mie sorelle se ne erano andate già da dieci minuti, come la maggior parte delle altre ragazze ed io, finalmente, potevo spegnere il computer.

Sistemai la scrivania e me ne andai da lì, diretta verso la gioielleria.

Nonostante questa volta mi fossi ricordata di prendere l'ombrello, ad ogni passo che facevo le mie scarpe affogavano nelle pozzanghere ed i pantaloni di Jocelyn diventavano sempre più umidi a causa della pioggia incessante. Camminare divenne presto un'esperienza poco piacevole, ma Cross Jewelers non era distante e non mi andava di prendere un altro taxi.

Non mi arresi nemmeno quando un colpo di vento mi spruzzò in viso una marea di goccioline ed io iniziai a domandarmi perché continuassi a reggere l'ombrello sopra la testa se, ormai, ero di nuovo fradicia. Poi, quando svoltai l'angolo e mi ritrovai in Congress Street, iniziai ad accelerare il passo e mi fiondai dentro la gioielleria.

Un campanellino tintinnò annunciando il mio ingresso ed io appoggiai il mio ombrello accanto all'entrata per non farlo sgocciolare dentro tutto il negozio.

Il signor Bailey, con i suoi occhialetti tondi e la fronte stempiata, mi venne incontro personalmente.

«Signorina De' Preziosi! Vedo che ce l'ha fatta nonostante il maltempo» mi salutò con un sorriso.

«Sì, eccomi qua» risposi con un risolino imbarazzato. Non sapevo cosa dire dato che era stato lui a chiamarmi.

Saettai in giro con lo sguardo notai che, sebbene non fosse ancora arrivato l'orario di chiusura, non c'erano clienti nella gioielleria. Nessuno al bancone, nessuno ad ammirare le vetrinette con gli anelli, nessuno impressionato di fronte alle parure che stavano nella teca in fondo al negozio. Probabilmente quel giorno la pioggia aveva convinto tutti a rimanere a casa.

«Allora, come sta?» mi chiese il signor Bailey.

«Ehm... bene, grazie».

«E le sue adorabili sorelle?».

«Anche loro stanno bene» dissi con un sorriso educato.

Tutte e tre frequentavamo la gioielleria praticamente da quando ci eravamo trasferite nel Maine. Era un posto dove rifarsi gli occhi, per me come per loro. Certo, bisognava dire che avevamo tutte gusti diversi: Gemma comprava qualsiasi tipo di gioiello con delle pietre preziose, mentre Elisabetta aveva un debole in particolare per i diamanti.

Ma, se il signor Bailey aveva voluto vedere me, significava che si trattava senza dubbio di perle.

«Allora, vuole vedere subito la chicca che ho per lei?» domandò con fare ammiccante.

«Non vedo l'ora» dichiarai.

«Signorina» iniziò a raccontare mentre si avvicinava zoppicando alla porta che dava sul retro del negozio «appena è arrivato ho pensato: "se la signorina De' Preziosi lo vedesse, impazzirebbe di gioia"... Will, potresti venire qui e portarmi il braccialetto che ti ho chiesto di tenere da parte?» "Will" era diminutivo di Wilson, suo figlio; lo avevo visto in negozio molte altre volte, ma non sapevo altro di lui a parte che doveva avere sui trent'anni e lavorava lì.

«Quello di perle?» udii rispondere dopo qualche istante.

«Sì... mi scusi, signorina, adesso arriva».

A quel punto il signor Bailey tornò indietro e si diresse dietro il bancone. Io andai a mettermi dall'altra parte e lui riprese a parlare.

«Le dico, in tutta onestà, che non sto cercando di venderle niente. Ma in questi anni le sue lodi per i miei gioielli hanno rallegrato le mie giornate e mi sono affezionato a lei come a una cara amica. So che in quanto a perle è una vera esperta e spero in un suo parere da estimatrice riguardo questo pezzo da collezione» mentre parlava a ruota libera, il figlio era entrato in negozio e aveva appoggiato tra noi una scatoletta di velluto blu.

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