Capitolo Tredicesimo

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L'ascia era conficcata nel prato, il sangue colorava i sottili fili d'erba.
Mi allontanai da essa, mentre riccioli di vento prodotti dal movimento delle piume mi accarezzavano il viso.
Avevo così tante domande.
La nebbia nella mia testa che prima si era diradata, in quel momento sembrava essersi infittita. Avrei pagato oro pur di stare sola, in quel momento.
Sentivo lo sguardo di Evan fisso su di me.

-Le tue ali...- allungò una mano verso di esse, sfiorando una piuma. Faceva molto male, tanto da farmi scappare un piccolo gemito di dolore. Si ritrasse.
-Scusami, non pensavo che...-
Non gli lasciai finire la frase. Iniziai a camminare.
Non mi importava dove, bastava che fosse lontano da lui. Lontano da tutto.
Eppure, il ragazzo mi seguiva.
Perché non capiva? Non lo vedeva? Volevo stare sola. Perché non mi lasciava in pace?
Perché il mondo non mi dimenticava, per una buona volta?

-Ctor?- la mano di Evan mi sfiorò il braccio. Mi scostai bruscamente.

-Voglio stare sola.- esclamai, iniziando a correre.
Potevo solo immaginare il suo viso sorpreso, la sua mano a mezz'aria e i vestiti appesantiti dalla pioggia. Potevo solo immaginare i suoi occhi brillanti fissarmi, i suoi capelli schiacciati sulla fronte.
Potevo solo immaginare, non volevo voltarmi.

Corsi a perdifiato sotto la pioggia finché un briciolo di rabbia non mi abbandonò.
Mi sedetti a terra, a stento riparata da un salice. Avevo le ali fradicie e pesanti, come d'altronde i capelli e i vestiti. Gli anfibi neri erano sporchi di fango, e certo tenerli in una pozzanghera non avrebbe aiutato... Ma non era che l'ultimo dei miei problemi.

Avevo bisogno di pensare, dare sfogo a quelle attanaglianti emozioni che avevano ormai invaso la mia anima. Eppure, per quanto volessi concentrarmi su ciò che mi stava accadendo, non riuscivo a distogliere l'attenzione da un unico pensiero: Alexandra.

-Che fine hai fatto, sorella?- sussurrai, in modo quasi del tutto inaudibile a causa della pioggia.
Ripensai a tutti i bei momenti passati insieme, a tutte le risate, le lacrime e gli abbracci. Ripensai a quel legame così forte che ci univa, oltre al vincolo di sangue e all'affetto.

Eravamo complementari, parti di una stessa anima.

E io l'avevo persa.
L'avevo lasciata andare.
Era tutta colpa mia.

Piansi, distrutta da quei pensieri, e sentii un forte dolore a quelle nuove appendici che spuntavano dalla mia schiena.
Mi piegai verso terra, senza fiato per la sofferenza. Mi voltai quel tanto che bastava per vedere un uomo mascherato che schiacciava la mia ala destra con uno scudo. Sentivo quasi le ossa rompersi e il sangue riversarsi a terra.
Lo guardai, con la vista appannata e un grido che mi moriva in gola.
Era un uomo dalla stazza massiccia, coperto con un grosso mantello scuro e portatore di una strana maschera nera che lasciava scoperti solo gli occhi.

-Chi...?- sussurrai. Ogni respiro causava nuova agonia.

-Non vedo l'ora di vederti bruciare viva.- sussurrò, mettendosi lo scudo a tracolla.
Lo sentivo così distante, sembrava avesse la voce distorta. Stavo soffrendo così tanto... L'uomo, evidentemente scocciato dal mio sguardo confuso e allertato, si avvicinò al mio viso, stringendomi il mento con due dita.

-Ascoltami bene, bambolina-riuscivo a vedere ogni sfumatura dei suoi occhi, da quell'angolazione. Erano così familiari... -Non sono stupido, nessuno di noi lo è. E tu faresti meglio ad avere paura, sai?-
Si scostò bruscamente.
Ero senza fiato.

-Spero che usino la legna verde.- sibilò.
Sconvolta, cercai di allontanarmi da quell'uomo così familiare, ma non riuscii a fare altro che peggiorare le cose. Caddi supina a terra, schiacciando l'ala spezzata con il mio stesso corpo.
Urlai.

-Mi spiace deluderti, mostro, ma non useranno alcun tipo di legna.- ribatté qualcuno al di fuori del mio campo visivo.

-Chi ha parlato?- domandò l'uomo, spaesato. Mentre continuava a girare la testa per capire da dove arrivasse la voce, una freccia gli si piantò nel petto. Cadde a terra, mentre il mantello si sporcava di sangue.
Incatenò quegli occhi orribilmente familiari nei miei, facendomi venire i brividi.
-Il fuoco ti divorerà, e allora il mondo avrà giustizia!- sibilò, mentre percepivo la vita abbandonarlo.
Era come se vedessi la sua anima staccarsi dal corpo e unirsi al vento.

La testa girava, il cuore batteva all'impazzata, non riuscivo a respirare. Sentivo a stento la pioggia che cadeva, imperterrita, sul mio corpo.
Delle braccia mi tirarono a sedere, scontrandomi la schiena. Urlai di dolore.

-Va tutto bene, Victoria, va tutto bene.- sussurrò una voce femminile, la stessa che aveva confuso lo sconosciuto.
Alzai lo sguardo. Avevo gli occhi appannati per il dolore, ma riconobbi subito la figura che mi stava davanti, inginocchiata a terra.
Era fradicia, ricoperta di terra e fango e con un labbro spaccato, ma era impossibile non riconoscerla.
Socchiusi la bocca, ma ne uscì solo un piccolo gemito.
Piegai la testa in avanti. Ero accaldata, la testa sembrava volermi scoppiare.

-Victoria...-

Alzai gli occhi, incrociandone due azzurrognoli.

-Mi dispiace.- sussurrò la ragazza.

Chiusi gli occhi.
Sentivo a stento qualcuno che mi stringeva a sé.

La mente sfuggì al mio controllo.

Qualcosa mi stava trascinando a fondo, sempre più a fondo.

Non avevo la forza di oppormi.

Svenni.




Spazio autrice:
Oè, fanciulli! Spero che la storia vi stia piacendo.
Fatemi sapere, vi va?

Un bacio,

-Reyna.

Midnight: Death is coming.     _Sospesa._Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora