2.

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"Stiamo per atterrare" avvisó una voce metallica, io mi guardai attorno e vidi tutti i passaggeri allacciarsi la cintura di sicurezza così lo feci anche io.

Una turbolenza mi fece conficcare le unghie nel sedile, dopo quella ne arrivò un altra e un'altra ancora, la gente cominciò a urlare e scesero le macchinette per l'ossigeno.

Cominciai ad agitarmi, ma mi ripetevo che non si stava ripetendo quel giorno.

Altre turbolenze fecero scatenare ancora di più il panico, e le poche hostess ancora nei paraggi corsero ai loro posti.

A quel punto mi spaventai.

Mi affacciai al finestrino e vidi le eliche del motore andare a fuoco.

Quel giorno si stava ripetendo.

Mi svegliai di soprassalto, sudata e confusa.

"Signori siamo atterrati" un sospiro di sollievo uscì dalla mia bocca. Era solo un incubo, niente di diverso.

Mi slacciai velocemente la cintura e scesi dall'aereo, aspettai le mie valige e corsi fuori dall'aeroporto. A stare in quel posto mi veniva da vomitare. Il sogno aveva fatto riemerge tutti i ricordi.

Mi guardai in giro per cercare zio Alec, ma non lo trovai da nessuna parte.

Il trillio del mio cellulare attirò la mia attenzione e quando lo presi in mano vidi che era Alec.

Da: Alec :)

Sono fuori.

Alzai gli occhi dallo schermo del mio cellulare e lo vidi, bello come sempre, nella sua giovinezza, per essere uno zio era molto giovane, avevamo solo nove anni di differenza, ma guardandolo avevo capito quanto era stato obbligato a crescere troppo in fretta. Era appoggiato al cofano della sua BMV nera, indossava una semplice t-shirt bianca che aderiva perfettamente ai suoi muscoli, le maniche corte lasciavano scoperti i due tatuaggi che aveva sulle braccia, aveva dei jeans scuri e larghi, molto vecchio stile e le air max nere.

Se qualcuno in quel momento lo avesse guardato, non avrebbe mai immaginato che fosse a capo di una delle maggiori aziende di trasporto italiane e che proprio una di queste sia tra quelle più conosciute e richieste in tutto il mondo.

Alla fine non importa quanti soldi abbiamo, l'importante è essere felice e nessuno della nostra famiglia non lo è da molto tempo.

Io avevo perso una madre e un padre, Alec una sorella e un amico, i miei nonni una figlia.

Questo avvenimento ci aveva fatto riavvicinare tutti, ma soprattutto ci aveva insegnato qualcosa, ci aveva insegnato a non dare mai nulla per scontato, che quando abbracci una persona può essere l'ultima volta che lo fai, che quando baci, ami, odi e vuoi bene alla persona può essere sempre l'ultima. Ultima chance e poi game over.

Io e Alec eravamo molto vicini, eravamo tra i più piccoli della famiglia e anche i più simili caratterialmente e mentalmente, lui era un maschiaccio e io pensavo come lui, insieme facevamo i peggio scherzi.

Corsi verso di lui, lasciando le valigie in un punto indefinito della strada, era un anno che non lo vedevo.

"Alec! Prendimi" il suo sorriso si spense e lasciò spazio a un'espressione terrorizzata, sapevo di non avere più sei anni, ma mi mancava fare queste cose.

Mi prese per un pelo all'ultimo secondo. rimanemmo abbracciati così per un po'

"Anch'io sono felice di vederti! Ora scendi che mi stai uccidendo" Cominciai a ridere e lo strinsi più forte a me, lui era una delle uniche persone che mi rimanevano.

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