12.

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Sentii la porta del bagno aprirsi, ma non mi voltai , perché pensavo fosse un'altra ragazza che si ritoccava il trucco, come le due precedenti.
Strofinai forte la faccia, in modo da togliere i residui di sugo, ma per la maglietta non c'era nulla da fare.

Non riuscivo a credere a ciò che era appena successo, non me ne capacitavo. Mi sembrava di essere stata catapultata in un film o un libro.

"Ciao" riconobbi all'istante quella voce.

"Ash, vai via, torna a ridere con la tua ragazza" non ero neanche più arrabbiata, solo stanca, di tutte queste persone finte che fingevano di essere qualcun altro.

"Non è la mia ragazza"

"Comunque non mi interessa, per favore, vai via" ero frustrata, non volevo vedere nessuno,avevo solo  la necessità di stare sola a pensare, era da molto tempo che non lo facevo.

"Allora tu starai da sola e io starò da solo. Ma staremo da soli insieme, non ci credo che ti piace stare sola" invece lo adoravo, nessuno che gridava, parlava o semplicemente respirava, solo silenzioso silenzio, ed io lo amavo, mi permetteva di fare il punto della situazione della mia vita e in questo momento ne avevo bisogno.

"Sei incorreggibile" dissi, e mi sembrò di sentire nascere un sorriso sulle sue labbra mentre mi insapono le mani.

"Sai, mi hanno detto di peggio" rigirò la frase che avevo detto all'ora di Alvin Superstar, non mi ero resa conto che ci fosse anche lui.

"Dai, Ash, per cosa sei venuto?" Lui alzò un braccio e mi mostrò una felpa bianca. "Sono venuto a portarti questa"

"Sai, non me l'aspettavo"affermai, mi scappò un sorriso guardandolo. Era buffo con il braccio alzato mo' di attaccapanni e un gigantesco sorriso in faccia.

"Ho una cosa da proporti" affermò, se possibile, allargando il suo sorriso.

"Dovrei preoccuparmi?"

"Forse. Ricominciamo da capo" non era una domanda ma un'affermazione.

"Va bene"

"Ciao, io sono Asher Boulvuar, tu chi sei?" Non potei far a meno di ridere, perché era veramente buffa come situazione. Un ragazzo con una felpa, nel bagno delle ragazze, che la porge a una ragazza imbrattata di sugo dalla testa ai piedi.

"Catherine Hocking"

Allungò una mano verso di me, e io gliela strinsi. "Un vero piacere conoscerti"

"L'onore è tutto mio" dissi e questa volta ridemmo insieme, io, per un momento, mi persi a guardarlo, adesso i suoi occhi scuri non sembravano più così duri e spaventosi, sembravano uno di quei posti bui, che vuoi esplorare, anche se fanno paura perché non sai cosa potrai trovare. E io ero sempre stata un incosciente e forse era questo che mi ci voglio perdere.

"Quindi Catherine, raccontami di te" disse sedendosi con la schiena contro le piastrelle fredde del bagno, io feci lo stesso, sedendomi nel muro davanti a lui.

"Sono nata a Roma, poi ho vissuto con i miei nonni da quando avevo dodici anni, e da poco più di una settimana sono venuta a Seattle da mio zio" raccontai brevemente cosa era successo nella mia vita, omettendo la parte prima dello schianto dell'aereo, e anche quello. Cosa cambiava da dire una bugia o omettere la verità?
Non cambiava niente, solo che nella seconda opzione avevi meno sensi di colpa, e riuscivi a dormire la notte.

"Bello. Io sono nato e cresciuto qua, e ho imparato a fare skate per distrarmi dal grande casino che era la mia vita" una strana sensazione si insidiò nella mia pancia, a sentire che la nostra passione più grande, era nata quasi nello stesso modo. Ci eravamo aggrappati a una tavola e quattro ruote come se fosse la nostra ancora di salvezza, il nostro appiglio. Tremai nel sentire quanto eravamo simili, a sentire quanto ci voleva poco a finire nel baratro e uscirne grazie a un pezzo di legno.

"Com'è nata la tua passione per lo skateboard?" Chiesi curiosa di sapere sempre di più su questo ragazzo dallo sguardo buio e tenebroso.

"Avevo all'incirca dodici anni, un mio amico ne aveva uno, e io per essere uguale a lui, ho pregato mio padre per comprarmelo" si perse fra i ricordi, ricordando una vita, che forse, non era così male. "Lui il giorno dopo me lo ha fatto trovare in giardino, e io sono andato a provarlo, sono caduto appena ho appoggiato il piede, ma mi sono rialzato. Lo avevo abbandonato per un anno quasi, poi un giorno avevo litigato con la mia famiglia, non avevo un mezzo di trasporto essendo piccolo, allora l'ho trovato nella mia stanza e sono uscito con quello. Andavo sempre più veloce, l'aria sbatteva sul mio viso con violenza e sentivo la libertà e l'adrenalina scorrermi nelle vene, quella sensazione di poter fare qualsiasi cosa e non fermarsi mai mi aveva completamente rapito, da quel, giorno non ho più smesso. Ormai lo skate è la mia fuga dal mondo" terminò il suo discorso e lasciò andare la testa contro il muro freddo, sembrava quasi impossibile, ma avevamo quasi la stessa età quando abbiamo cominciato a fuggire, l'unica differenza è che eravamo nelle parti opposte del mondo. Magari se io fossi stata qua o lui a Roma, saremo scappati insieme, avremo mollato la realtà per qualche ora, ma insieme. Lui come me, aveva bisogno di qualcuno a quel tempo, e non averlo trovato ci aveva reso ciò che eravamo. Forse ora capivo perché i suoi occhi erano così scuri, dietro c'era una storia tutta da scoprire, e forse io ero stata fortunata a scoprirne un piccolo pezzetto.

"Anche io avevo dodici anni, mio zio si stava allenando per il campionato mondiale, e io sono andata da lui e ho preteso che mi insegnasse, la prima volta traballavo, ho fatto una decina di metri e poi sono caduta sbucciandomi tutte le ginocchia. Ero molto testarda al tempo, e nonostante mi facessero male le ginocchia sono risalita. Sono caduta tantissime volte quel giorno, ma mi sono sempre rialzata e ricominciato. Forse è proprio questa la vita, cadere, farsi male e poi provare a rialzarsi, ricordando i graffi della volta precedente per non cadere nello stesso punto" lui mi guardava rapito e forse confuso, quando iniziavo a parlare non la smettevo più, e molte volte mi capita di dire qualcosa di troppo.

"Sai" disse. "sei testarda anche adesso"

Asher's pov

La guardavo rapito dal suo discorso, era così strana questa ragazza, prima dolce poi acida, prima menefreghista e poi profonda, ti veniva voglia di prenderla a schiaffi e abbracciarla subito dopo.

"Ti piace stare qui?" gli chiesi la prima cosa che mi viene in mente, in modo da non sembrare un deficiente totale.

"Qua, lì, un posto vale l'altro, tanto saremo sempre sei piccoli puntini neri su uno sfondo bianco." sospirò e fece spallucce. Ecco cosa dicevo, cambiava umore repentinamente, dovevi stare attento quando le parlavi, la minima cosa sbagliata poteva farla chiudere a riccio e poi farla circondare nuovamente dal suo muro. Quando parlava sceglieva attentamente le parole, come se le avesse già scritte e provate a casa, per non far capire qualcosa di troppo. Non voleva farsi conoscere e non ne capivo il perché.

"Non farlo ancora" le dissi.

"Fare cosa?"

"Metterti sulla difensiva. Ho sentito ciò che hai detto a casa tua quando eravamo in garage, con me puoi parlare, non voglio farti male"

"Tutti fanno male, anche quando non vogliono" era tornata fredda, lo sguardo cupo e calcolatore, quello che ti ghiacciava sul posto come se ti avesse lanciato qualche strana maledizione. Lei si alzò ed uscì velocemente dal bagno.

Mi lasciò solo, nel bagno delle ragazze, appoggiato a un muro freddo di piastrelle bianche, confuso e con mille domande.
Ogni volta che ti aspettavi qualcosa lei faceva il contrario, pensavo che ora mi avrebbe parlato, invece lei era andata via come se nulla fosse, come se non avessimo parlato per un ora.

Lei fuggiva, non sapevo da cosa, ma fuggiva. Sarei scappato con lei, ma stavo già scappando da solo.

Lei era uno di quei puzzle formati da mille piccoli frammenti, e io, non ero mai stato bravo a rimettere insieme i pezzi di qualcosa.

Però che lei si alzasse e se ne andasse, dopo aver detto una frase misteriosa, che lasciava intendere qualcosa che la rendeva misteriosa più di quanto già non fosse, proprio non me l'aspettavo.

Chi era questa ragazza? E perché ero cosi ostinato a scoprirlo?

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