Non farmi del male.

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Non ho idea di quanto tempo io sia rimasta immersa sott'acqua, ma credo parecchio. So che mi pulsava la testa, non arrivava ossigeno al cervello, ma ero stanca: stavo affogando.
So di esserci rimasta abbastanza da far preoccupare Dylan, il quale si è inginocchiato affianco alla vasca e mi ha tirata fuori.
Ho iniziato a fare grossi respiri, la testa mi girava un po' ma appena mi sono ripresa ho notato di avere le mani di Dylan aggrappate alle mie braccia e i suoi occhi puntati su di me. Mi sono soffermata ad esaminare i suoi occhi: l'iride blu come sempre, la cornea rossa, corrosa dalle lacrime. Erano gonfi per il mancato sonno e il troppo pianto. Ho scrutato l'intero volto, sconvolto e consumato dalla stanchezza.
Mi si sono inumiditi gli occhi un'altra volta, gli ho sfiorato la guancia con le dita, poi, il mio sguardo si è posato sulle sue labbra, screpolate dal freddo e leggermente violacee. Ho alzato lo sguardo, e l'ho guardato dritto negli occhi. Eravamo deboli e stanchi.
Ho riportato la mia attenzione sulle sue labbra, e dolcemente le ho baciate.
Ci siamo poi guardati nuovamente negli occhi, per chiederci scusa, per tutto quanto. In seguito ha dato un'occhiata alla porta e ha fatto un cenno con la testa 'ti aspetto di là', voleva dire. Ho annuito e l'ho seguito con lo sguardo mentre lasciava la stanza da bagno.
In tutto quell'arco di tempo nessuno dei due aveva emesso un fiato. Ci sono stati sguardi più forti di ogni parola. Non abbiamo fatto uscire alcun suono dalle nostre labbra, ma abbiamo parlato tanto, in realtà.

Neanche una decina di minuti dopo sono uscita dal bagno e mi sono diretta in sala, per andare nell'alta camera e vestirmi. Appena affacciata alla porta della camera dei ragazzi ho visto che erano tutti lì, in silenzio seduti chi sul divano, chi su una sedia e chi in piedi ad aspettare.
Li ho guardati velocemente, un po' imbarazzata e in seguito mi sono diretta rapidamente nella 'mia' stanza.
Dopo aver chiuso la porta alle mie spalle ho tirato un sospiro di sollievo.
Rapidamente mi sono vestita e quando sono stata pronta mi sono piazzata davanti alla porta della camera, con la maniglia in mano. Ho tirato un altro sospiro, di incoraggiamento questa volta. Ho contato fino a tre e poi sono uscita.
Senza dire nulla sono andata in sala e mi sono seduta su una sedia. Ero di fronte a tutti i ragazzi, parevano schierati. Li ho guardati rapidamente e sembravano confusi.
Ho chiuso gli occhi un istante poi cercando di essere il più serena possibile ho detto 'via con le domande', come se fossimo in un interrogatorio.
I ragazzi si sono guardati un istante perplessi, poi John ha rotto il ghiaccio.
-'Insomma, dovremo ricoverarti in psichiatria?'
Ha accennato un sorriso, scherzava, ovviamente. Ho sorriso anch'io.
-'Non ancora. Almeno spero'.
Anche Michael e Ryan hanno sorriso, Dylan è rimasto impassibile.
Michael dopo qualche istante ha preso la parola:
-'In realtà credo che nessuno di noi abbia delle reali domande. Siamo solo stupiti e un po' sconcertati. Non ce lo saremmo mai aspettati, come puoi immaginare. Comunque..'
-'Da quanto tempo?'
Dylan l'ha interrotto. Non ero ancora riuscita a guardarlo dritto negli occhi dal momento in cui mi sono seduta su quella sedia, ma avendo parlato e posto una domanda, il mio sguardo si è posato su di lui, come quello di tutti gli altri. E come tutti gli altri, ho notato che aveva nuovamente, o ancora, gli occhi lucidi.
-'Da quanto cosa?'
Ho chiesto, domanda banale, siccome il tema del discorso lo sapevamo tutti. Non a caso mi ha trafitto con gli occhi, come per dire 'non fare la furba, lo sai.' Ma ha posto la domanda in modo più chiaro comunque.
-'Da quanto tempo sai di soffrire di.. depressione bipolare?'
Ho alzato le spalle e ho sentito il bisogno di distogliere lo sguardo dal suo.
-'Tre anni, probabilmente.. Forse quattro.'
Si è morso le labbra. Tratteneva i singhiozzi.
-'Perché non ce l'hai detto? Perché non me l'hai detto? Sono il tuo ragazzo infondo, o no? Che c'è, non ti fidi di me?'
Non ho risposto subito, ho esitato un attimo.
-'La fiducia non c'entra niente. Mi fido di te, di voi. È solo che..'
mi sono interrotta, ho abbassato la testa e ho alzato le spalle.
-'Solo che cosa? Avanti, dillo.'
Mi stavo irritando parecchio.
-È solo che avevo paura, va bene?'
-'Ah, la solita carta della paura. Pensavo si dicesse solo nei film. Invece guarda, pure la mia ragazza che si riduce a queste banalità.'
Era piuttosto incazzato, e lo capivo, ma quelle parole mi ferivano. Le mie non erano solo parole, non era un copione o quant'altro.
Stavo per sbottare, stavo per dire nuovamente tutto quello che pensavo, tutta la verità che nascondevo. Ma ormai ero stanca, non ne avevo neanche voglia, e poi stava reagendo come temevo.
Con gli occhi lucidi che fissavano i suoi e le labbra chiuse in una smorfia ho alzato le spalle e con un filo di voce ho sussurrato 'come credi.'
Non ho retto la tensione, mi sono alzata e mentre mi dirigevo in camera ho nuovamente sussurrato. 'Scusate', questa volta.
Ho indossato un maglione, preso il pacchetto di sigarette e l'accendino e sono tornata in sala. Sono passata davanti a tutti che non si erano ancora mossi di mezzo centimetro, ho aperto la porta e sono uscita, senza dire niente a nessuno.
Appena qualche metro lontana da casa ho sentito la porta aprirsi, ho accelerato il passo.
-'È così allora? Vuoi scappare di nuovo?'
Appena sentito la voce mi sono immobilizzata: era Dylan.
Mi sono voltata, ho alzato le spalle e ho detto solo 'Voglio fare una passeggiata'
-'Vengo con te.'
-'Voglio stare sola.'
-'Non ci sei già stata abbastanza?'
E mentre mi parlava si avvicinava sempre di più a me.
Non riuscivo a muovermi, più si avvicinava e più vedevo i suoi occhi riempirsi di lacrime.
Quando è arrivato ad un passo da me, nessuno dei due ha avuto il coraggio di dire nulla.
Siamo rimasti un istante a guardarci negli occhi, inondati da lacrime salate.
Ho indietreggiato un po', stavo per andarmene quando mi ha fermata prendendomi una mano, come la prima volta che ci siamo baciati. E come quella volta con l'altra mano mi ha accarezzato la guancia ormai bagnata e mi ha asciugato un po' le lacrime. Poi ha appoggiato la sua fronte sulla mia, istintivamente abbiamo chiuso entrambi gli occhi, e ho sentito che stava bisbigliando qualcosa.
-'Non farmi questo.. non farmi del male.'
Non avevo mai pensato di stargli facendo del male. Non pensavo fosse possibile. Ho sempre creduto nell'amore, per gli altri. Non ho mai creduto qualcuno potesse amare me, e da quando è arrivato Dylan, ho avuto paura. È stato tutto nuovo, ed ho avuto paura. Ma questa paura lo stava facendo soffrire, e non potevo permettere che qualcuno, anzi, che Dylan soffrisse per causa mia.
Ripeteva la stessa frase, piangendo "non farmi del male". Fino a quel momento non mi ero mai resa conto di quanto fosse vulnerabile Dylan.
-'Mi dispiace. Ti prego, perdonami. Io non.. io non voglio farti soffrire, non l'ho mai voluto. Ti prego credimi, mi dispiace. Mi dispiace..'
E sono scoppiata in un pianto fragoroso.
Mi sono rifugiata fra le braccia di Dylan che mi diceva di smetterla.
-'Basta, ti prego.'
Ha preso una pausa.
-'Smettiamola di farci del male.'
Ho annuito.
Poi ho alzato la testa e inevitabilmente l'ho baciato.
Ci siamo baciati appassionatamente, fra le lacrime, fra 'Ti amo' sussurrati nelle orecchie dell'altro e fra sorrisi di commozione. Siamo stati travolti da un'emozione strabiliante, forte e resistente. Siamo tornati ad essere noi stessi.

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