Ho paura.

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-'Dylan? Ci sei?'

-'Ei piccola, sono qui. Come stai?'

-'Si, senti.. l'ho detto a mia madre. Di noi, intendo. '

-'Oh bene! Come l'ha presa?'

-'Bene, era contenta, un po' dispiaciuta perché gliel'ho detto solo ora. Comunque posso venire con voi a Natale..'

-'Sono contento anche io. Piccola, tutto bene?

-'Si tranquillo.. Vuole solo che prima di partire tu venga a cena da noi, per una pizza. Domani sera a dire il vero.'

-'Domani? Si va bene, porto qualcosa?'

-'No, Dylan. Vieni tu e basta.'

Non ha risposto per qualche istante, sentivo rumori, ma non la sua voce.

-'Dieci minuti e sono da te. Fatti trovare pronta che andiamo a mangiare il gelato e magari mi spieghi anche cosa ti prende.

Ha riattaccato.

Come aveva detto, dieci minuti dopo la telefonata era davanti a casa mia in macchina, che mi aspettava. Sono salita in auto, non ci siamo parlati, neanche guardati, tantomeno salutati. Ha acceso il motore, e siamo arrivati al supermercato. Ha fatto tutto lui, camminava svelto, ha preso due barattoli di gelato, non uno, come sempre. Io lo seguivo, non dicevo nulla, dove andava lui andavo io.
Siamo andati in cassa, la cassiera ha avuto la faccia tosta di provarci con lui, con me dietro, ma Dylan non la guardava, non l'ascoltava. È di nuovo salito in macchina e siamo arrivati a casa sua. Eravamo insieme da più di mezz'ora e non ci eravamo rivolti ancora mezza parola. Non c'era nessuno a casa, dopo che siamo entrati ha sbattuto la porta, sono sobbalzzata.
Ha preso un cucchiaio solo, un barattolo e se n'è andato in camera sua. Io ho fatto lo stesso. Ma come mai ha preso due barattoli? E un solo cucchiaio? Perché è andato in camera e non è rimasto in sala sul divano?

La porta della camera era aperta, ma io non c'ero ancora mai entrata. Camminavo lenta, osservando le pareti arredate da foto, poster e dediche, osservavo la collezione di videogiochi e i libri che aveva sulla mensola. Quella camera lo descriveva alla perfezione, parlava di lui, di ogni sua piccolezza, di tutti i suoi segreti. Mi ha portata in camera sua perché voleva che lo vedessi per com'era davvero, anche se non ce n'era bisogno, io lo conoscevo già. In quel momento ha tolto la corazza, mi ha mostrato il suo lato fragile, si stava aprendo con me. Questa volta era lui quello che voleva essere capito, rassicurato e aiutato.

Mi sono seduta sul letto affianco a lui, mentre mangiava il gelato. Teneva lo sguardo fisso sul barattolo, e io su di lui. Ho posato il "mio" barattolo sul pavimento e mi sono accovacciata su Dylan, lo abbracciavo e lui non ha mosso ciglio. Siamo rimasti in silenzio, ho pensato che se voleva parlare l'avrebbe fatto quando si sarebbe sentito pronto, non potevo forzarlo. Fissavo la sua mano posata sul barattolo, tremava leggermente e si stava irrigidendo, probabilmente dal freddo. Gli ho sfiorato la mano, ho preso il barattolo e l'ho posato a terra. L'ho guardato negli occhi e in quel momento sembrava un bambino che aveva bisogno della sua mamma. Gli ho preso la mano, fredda e rigida, e l'ho portata sulla mia guancia. Lui stava fermo senza dire o fare nulla, così mi sono avvicinata al suo viso e poi mi sono accoccolata fra le sue braccia. Non abbiamo detto nulla per qualche minuto, nessun fiato. Dylan è stato il primo dei due: 'Ho paura.'
Gli accarezzavo la mano, e mi sono fermata. Mi sono alzata e l'ho guardato in faccia. Aveva lo sguardo fisso sulla parete davanti al letto, quei suoi stupendi occhi blu erano vuoti. L'ho costretto a guardarmi dritto negli occhi, e poi con un filo di voce ha ripetuto 'ho paura'.
-'Dylan, ci sono io qui. Con me non devi avere paura.'
-'E se non le piaccio? Se cambia idea e non ti fa venire con noi? Se decide che non dobbiamo più vederci? Io che faccio senza di te?'
Aveva paura di mia madre? -'Dylan, non mi interessa di quel che pensa lei, e non deve interessare neanche a te. Tu stai con me, tu piaci a me. Se non mi vuole più far venire da voi, vorrà dire che mi verrete a prendere mentre lei dorme. E se non vorrà più che ci vediamo, io scappo di casa.'
Ho sorriso, cercando di tranquillizzarlo, ma non sono brava con ste cose.
-'Sono serio, Emma.'
-'Anche io.'
Ha accennato un sorriso
-'Allora scapperesti con me?'
Ho abbassato lo sguardo, poi l'ho guardato negli occhi: 'Fino in capo al mondo.'

Ho sentito una macchina fermarsi davanti a casa. -'Mammaa?! È arrivatoo. Scendi!'

-'Ciao Dylan.'
Avevo un sorriso come non mai. Ci siamo baciati, ed ecco che è scesa mia madre.
-'Ah.. Dylan, giusto?'
-'Oh si, buonasera signora! Le ho portato un dolce fatto da mia madre, con le mandorle.'
Gli tremavano le mani.
-'Per favore, niente "signora" e dammi del "tu", su. Ringrazia tua madre, lo mangiamo dopo, va bene? Ora tutti a tavola che la pizza è già arrivata.'
-'Ah, mamma, non le puoi mangiare le mandorle, ricordi?' Dylan è sbiancato
-'Oh, non le può mangiare? Mi dispiace, vado a prendere del gelato se volete. Cioccolato? Torno fra dieci minuti.'
Era agitatissimo. Dalla cucina mia madre si è messa ridere -'Dylan vieni qui! Non ti preoccupare! E dammi del "tu"!'
È stata une bella serata, tutto sommato. Mia madre non ha esagerato come temevo. Dylan dopo poco si è tranquillizzato ed era sereno. Dopo che Dylan era tornato a casa, mia madre è venuta in camera con un grande sorriso.
-'Cosa c'è mammaa?'
Ho detto sbuffando, anche se in realtà sorridevo come una scema.
-'Dylan, bello come nome. È molto carino, sai?'
-'Non ho bisogno che me lo dici tu. E non è "carino". Lui è bellissimo. Hai visto che occhi? Io mi ci perdo solo a guardarli.' E sorridevo, sorridevo e mi rigiravo nel letto mentre mia madre rideva.
-'Si hai ragione, è proprio bello. Vabbe amore, ti lascio dormire. Se non lo vedo prima, digli di trattarti bene a Natale, o i suoi occhioni blu diventeranno neri!'
-'Dai mamma! Buonanotte, e grazie. Ti voglio bene.'
Prima di uscire mi ha guardata e con un filo di voce ha detto: 'Ti voglio bene anch'io.'

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