Capitolo sei

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Non feci in tempo ad aprire la porta di casa che mia madre si gettò verso di me.

"Ciao tesoro, com'è andata la giornata?" chiese con voce innocente

"Bene" risposi in tono piatto e andai in camera mia.

Era molto arrabbiata così gettai il mio zaino per terra e mi fiondai sul letto. A piangere però non ce la facevo più.

Sentii la porta di casa aprirsi seguita dalla voce di mio padre.

"Sono tornato!"

Io non avevo intenzione di andare a salutarlo.

Non sapendo cosa fare presi un libro a caso della mia enorme libreria e cominciai a leggere. Dopo qualche pagina però dovetti fermarmi: era ambientato in Germania.

"Non è possibile!" esclamai e chiusi il libro con forza. A quanto pare quel paese aveva deciso di perseguitarmi.

Tutto d'un tratto qualcuno bussò alla mia porta.

"E' permesso?" chiese gentilmente mio padre.

"No!" urlai io "Va' via!"

"Jess, devo parlarti..."

Jess. Lui non mi chiamava più così da quando avevo circa dieci anni. Quella parola fece smuovere qualcosa dentro di me.

"Entra" dissi alla fine ma ancora in tono arrabbiato.

Aprì lentamente la porta e la richiuse senza far rumore. Si avvicinò a me e si sedette sul bordo del mio letto. Mi guardò per un po' e dopo sospirò.

"E quindi?" gli domandai spazientita.

"Vedi, quando avevo più o meno la tua età i miei decisero di trasferirsi in Italia, naturalmente io dovevo andare con loro anche se sarei potuto benissimo restare dai miei nonni. E' stato difficile i primi tempi, non conoscevo bene la lingua e le abitudini. Poi Roma... La città capitale, una città viva!" parlava con passione e con lo sguardo perso "Sai, avevo persino tentato di scappare di casa pur di non abbandonare la mia vita lì, però fui costretto a farlo.

"I miei primi mesi qui progettavo già la mia vita da diciottenne, tornare in Germania, riscattare la nostra casa, iniziare a lavorare, ritrovare i miei vecchi amici... Però non lo feci. Con il passare del tempo incominciai a trovarmi sempre meglio finché un giorno abbandonai completamente i miei piani.

"Giunsi alla conclusione che ormai la mia vita me l'ero costruita qua, che una volta tornato in Germania non sarei stato nessuno, che molto probabilmente i miei vecchi amici si erano scordati di me."

Guardò me ed io guardai lui. Nei suoi occhi potevo notare un velo di amarezza.

"Perché mi stai dicendo queste cose?" chiesi fingendo di non aver capito.

"Lo sto dicendo solo perché ti posso capire. Ho passato il tuo stesso, se così vogliamo definillo, inferno."

"Allora se sai che è un inferno, perché me lo stai facendo vive?"

"Non posso farne a meno..." mormorò senza guardarmi negli occhi "In Germania ti troverai bene, potrò guadagnare di più! Se vorrai, a 18 anni, potrai tornare qui"

"Non papà, è diverso! Non è che voglio tornarci, proprio non voglio andarmene!"

"Beh," disse assumendo un tono freddo "sappi che partiremo a luglio perché agosto ci serve per poter sistemare un po' le cose prima dell'inizio del nuovo anno scolastico." 

"Perfetto. Mi perdo la notte di San Lorenzo e Ferragosto" dissi a denti stretti.

"Ah, e frequenterai il Ginnasio Unificato, un po' come un liceo in Italia"

Poi uscì dalla mia stanza lasciandomi sola, nuovamente con quel dolore nel petto che mi lacerava da dentro.

Le lacrime iniziarono a scendermi da sole, mentre io prendevo il cellulare.

IO:

Parto a luglio. Non voglio. Non posso. Voglio morire

Aspettai qualche minuto e subito Samuel mi rispose

SAMUEL:

No, non lo accetto.

IO:

Se è per questo nemmeno io.

SAMUEL:

Non ti porteranno via

IO:

Invece sì

SAMUEL:

Non lo permetterò.

Alla vista di quelle parole scattai

IO:

Samuel cazzo. Smettila, lo sai benissimo che non puoi fare niente. Mi porteranno via. Punto. Accettalo una volta per tutte.

SAMUEL:

Perché devo accettare qualcosa che non me sta bene!

IO:

Perché non puoi fare nulla per cambiare la situazione. Basta, è così!


Lui visualizzò e non mi rispose. Spense il telefono. Alle volte mi faceva davvero imbestialire.


Le lacrime ormai rigavano il mio volto mentre guardavo le foto dell'estate scorsa sul mio portatile. Non volevo accettarlo, ma dovevo.


Rimasi sveglia fino le due di notte a piangere, alla fine stremata m'addormentai come la notte scorsa: con le lacrime agli occhi, i vestiti ancora addosso, il dolore nel petto.


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